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Vado… ma dove?

Marta Diotallevi, in questo lavoro, riscrive in un’edita prospettiva la lettera di Didone tratta dalle Eroidi di Ovidio, nell’ambito del seminario: Scritture del desiderio, parallelamente al corso di Letterature comparate della Prof.ssa Chiara Lombardi, 2021/2022

“Lo avesse fatto un uomo sarebbe stato un gran furbo però, vero? Rideremmo e gli faremmo pure i complimenti. Bravo, bravo. Invece lo ha fatto una donna che si è dimostrata un po’ meno ingenua e un po’ più scaltra, un po’ più forte e un po’ meno misera”.

*

Personaggi:
Direttore d’orchestra
Direttore artistico
Professor d’orchestra della sezione archi
Didone
Osmida
Enea

Scena. Stanza di un teatro. Pomeriggio tardo. I personaggi sono intenti a imbastire l’allestimento dell’opera la “Didone abbandonata” (1747) di Niccolò Jommelli e Pietro Metastasio e si confrontano sull’aria finale di Didone “Ah che dissi infelice!”. Affrontando delle difficoltà interpretative, il gruppo inizia una discussione sulla figura di Didone e sul tema dell’amore.

(Didone canta l’aria “Ah che dissi infelice!”)
“Ah che dissi, infelice! A qual eccesso mi trasse il mio furore?
Oh Dio, cresce l’orrore! Ovunque io miro,
mi vien la morte e lo spavento in faccia:
trema la reggia e di cader minaccia.
Selene, Osmida! Ah! tutti,
tutti cedeste alla mia sorte infida:
non v’è chi mi soccorra, o chi m’uccida.
Vado… Ma dove? Oh Dio! Resto… Ma poi… Che fo?
Dunque morir dovrò
senza trovar pietà?
E v’è tanta viltà nel petto mio?
No no, si mora; e l’infedele Enea
abbia nel mio destino
un augurio funesto al suo cammino.
Precipiti Cartago,
arda la reggia; e sia
il cenere di lei la tomba mia.”

Direttore d’orchestra    No! No! Così non va!

Direttore artistico    Cielo, non ne posso più.

Direttore d’orchestra    Cos’è? Una puntata di Febbre d’amore? Per fare una cosa fatta a metà io non la faccio. Né tanto meno ci metto la faccia, chiaro?

Direttore artistico    Si ma tra un po’ più che la Didone abbandonata facciamo la Didone sfiancata!

Didone    No dai, rifacciamola un’ultima volta. Ci sono quasi, devo solo concentrarmi meglio.

Professor d’orchestra    Ma non è questione… è che ce ne manca un pezzo.

Enea    Ma più d’uno direi!

Professor d’orchestra (rivolgendosi a Didone)    E’ quel Vado ma dove? che non funziona. Va bene tutto, va bene calarsi nella parte, lo sconforto,… ma lei un’idea di quello che sta facendo ce la deve avere? Se no facciamo prima ad andarcene tutti a casa e tanti saluti!

Osmida    Ma non credo che Didone non sapesse cosa fare. Penso che già lo avesse deciso che si sarebbe fatta fuori e tanti saluti a Enea.

Enea    Ma va! È Enea l’unico che sapeva cosa fare.

Osmida    Infatti! Lui sa di doversene andare. E Didone sa che troverà un’altra e che, anche se nessuno lo amerà mai quanto lei, Enea sarà felice. Ma lei si chiede: e io? Adesso? Cioè lui se ne va via, ma io? Dove vado senza di lui?

Enea    Ma perché vuole supplicarmi di restare!

Osmida    Ma cosa stai dicendo! Didone dice Non ti permetterò di restare. Anzi di fatto si accolla l’incarico di cacciarlo in mare senza che si spezzi il collo tra un’onda e l’altra. Che razza di sconsiderato. La poveretta gli chiede solo di aspettare un po’, giusto che il mare si calmi e che lei si abitui all’idea dell’abbandono.

Direttore artistico    Non tutti sono egoriferiti come te Enea.

Osmida    Va beh non ci allarghiamo! Anche Enea ha il suo destino insomma.

Direttore artistico    Ma guardala! Prima fa la paladina della giustizia poi però getta subito la mano.

Direttore d’orchestra    Si dice lanciare il sasso e nascondere la mano.

Direttore artistico    Si dice vivi e lascia vivere una buona volta!

Professor d’orchestra    Ma non parlerei di abbandono… Quanto più di partenza. Il centro di questo amore sta nel viaggio. Nasce da un viaggio! Didone gli chiede Dove scappi? Vedete che è un amore sempre con la valigia in mano, pronto a partire pronto in ogni momento ad andare da un’altra parte?

Didone    Ma assolutamente no! Io direi proprio che la pianta in asso lì per lì, senza neanche pensarci due volte. Si immagina sua moglie che una mattina si sveglia e le dice: “Caro mi spiace ma questa sera non ci sono per cena perchè devo compiere il mio destino.” Saluti e baci e non la vede mai più. Il viaggio sarebbe più sereno se lui fosse meno crudele con lei e aspettasse. Ma Enea vuole andare in mezzo a una tempesta che se non mancassero le rane sarebbe come fare un salto in Magnolia!

(Direttore artistico canticchiando e facendo il verso all’aria “Già si desta la tempesta!”)

“Già si desta la tempesta,
ai nemici venti e l’onde,
io ti chiamo su le sponde
e tu resti in mezzo al mar.”

Direttore d’orchestra    Qualcuno spenga il jukebox per favore!” (Poi rivolgendosi al direttore artistico) “Ci provi gusto ad essere insopportabile? Come avrai fatto a sposarti sarà sempre un mistero.

Direttore artistico    Diciamo che per amore ho viaggiato poco e non ho mai abbandonato mia moglie. Siamo una coppia semplice. Ma non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca… per cui ogni tanto cedo su delle piccole cosucce, ma solo per farla felice.

Direttore d’orchestra    Ah capito! Ecco il trucco di un amore duraturo! Sua moglie comanda e lei fa il bravo cagnolino. Altro che prendere il mare in tempesta! Ma non si vergogni. Probabilmente deve solo chiedere il permesso per guardare la partita? Poi una volta raggiunta la maggiore età magari potrà vendere anche i film con il bollino giallo.

Direttore artistico (indispettito)    Che ridere. Ma non si preoccupi che chi la fa l’aspetti.

Professor d’orchestra:    Per favore basta! Che non voglio stare qui fino a domani!

Osmida    “Però per me non si può neanche esagerare quel Vado ma dove? Vado? Resto? si rischia di cadere troppo nel lamento.

Enea    “Oh per carità! Ci manca solo un’altra Bridget Jones!

Professor d’orchestra    Ma secondo me non sarebbe neanche così male…D’altronde quello di Didone era il canto di un bianco cigno. È una preghiera fittizia. Sa che quello che chiede non si può realizzare, le sue richieste non porteranno a nessun effetto, nessun cambiamento. Enea partirà comunque per quanto lei si sforzi.

(Direttore artistico cantando)
When I am laid in earth,
May my wrongs create
No trouble in thy breast;
Remember me, But ah!
Forget my fate.

Didone    No ecco, Purcell e Dido and Aeneas lasciamoli perdere. Mi va bene tutto e sicuramente è un  eccezionale esempio di lamento. Non lo metto in dubbio e non mi permetterei mai. Ma se fatico a interpretare questa versione credo che una del genere non saprei neanche da che parte prenderla.

Enea    Si direi che Il lamento di Arianna 2 la vendetta lo facciamo la prossima volta.

Direttore d’orchestra    Che cafoni. Anche io ce l’avrei visto bene su di lei. Certo con un po’ di esercizio. Non è poi sbagliato vederci una supplica. Una donna che vuole riscrivere la storia dal suo punto di vista.

Direttore artistico    Non la dipinga come una santa però! Le cerca tutte per farlo restare. Cavolo dice di essere addirittura incinta e che Enea sarebbe stato l’assassino suo e di una vita non ancora venuta alla luce! Cioè mi sembra che la ragazza si sia un po’ spinta oltre.

Didone    Ma si sa che in amore non ci sono regole. Certo questo è giocare davvero sporco, ma mentire è poi sempre un male? Se Enea si fosse sciolto sentendo questo annuncio e non fosse partito, che male avrebbe fatto? Si sarebbe solo dimostrato un brav’uomo e un buon padre. O se partendo avesse incontrato la morte e questa bugia gli avesse salvato la vita? Nessuno avrebbe detto nulla e magari avremmo pure ringraziato Didone perché lo avrebbe salvato.

Enea    Ma stiamo scherzando? In amore se c’è una sola cosa fondamentale è l’onestà, la fiducia totale e reciproca. Non si può tollerare una cosa del genere. Se la mettiamo così allora dico che Enea ha fatto bene ad abbandonare una pazza del genere!

Osmida    Lo avesse fatto un uomo sarebbe stato un gran furbo però, vero? Rideremmo e gli faremmo pure i complimenti. Bravo, bravo. Invece lo ha fatto una donna che si è dimostrata un po’ meno ingenua e un po’ più scaltra, un po’ più forte e un po’ meno misera.

Direttore artistico    Sapete chi è un’altra donna forte e indipendente?
Mia moglie! Quindi visto che non stiamo combinando niente di che e si è fatta una cert’ora, io andrei a cena o al posto di Didone l’unico abbandonato sarò io.

Su Medea e l’immortalità

Sofia Crea, in questa composizione, nell’ambito del seminario: Scritture del desiderio, parallelamente al corso di Letterature comparate della Prof.ssa Chiara Lombardi, 2021/2022, riscrive il dialogo del Simposio tra Socrate e Diotima sul desiderio di immortalità degli uomini, portando a esempio la storia di Medea.

“E appunto in questa maniera ogni cosa mortale si mette in salvo, ossia non già con l’essere sempre in tutto il medesimo, come ciò che è divino, ma con il lasciare in luogo di quello che se ne va o che invecchia, qualcos’altro che è giovane e simile a lui”.
(PLATONE, Simposio, 207 E – 208 C)

*

SOCRATE       Ma quindi, o Diotima, tu sostieni che nella ricerca degli uomini di essere immortali, la generazione possa, in parte, assolvere a tale spinta?

DIOTIMA       Certamente. La brama dell’immortalità è insita nella natura mortale, e per soddisfare tale desiderio l’uomo fa in modo di lasciare dopo di sé un altro essere che gli somigli, affinché possa mettersi in salvo.

SOCRATE       Solo così è possibile che ciò avvenga? La gloria conferita dalla memoria viene realizzata solo tramite il partorire, come dicesti tu, di nuovi esseri, per coloro la cui fecondità risiede nel corpo, o di saggezza e virtù, per i gravidi nell’anima? Non altre possibili soluzioni vengono offerte all’uomo?

DIOTIMA      Forse tu non credi che ciò non sia abbastanza? Non è forse vero che padri anziani abbiano fatto affidamento sui figlioli più giovani e robusti di loro per la sopravvivenza della dinastia? Non hanno forse, grandi poeti, lasciato ai posteri le opere frutto dei loro anni migliori acciocché queste vivano per sempre nella mente di coloro che le leggono? Non hanno forse recato vanto alla poetessa di Lesbo i suoi versi, lei a cui la bellezza non è stata data, ma il cui nome è da tutti conosciuto per le sue parole? Non ti sembra vero tutto quanto da me detto?

SOCRATE       Assolutamente.

DIOTIMA       Riconosci, allora, o Socrate, che quanto mi hai chiesto non sia già sufficiente? Hai detto bene che concordi con me ma vedo in te la scintilla del dubbio. Codesta scintilla io voglio spegnere perché tu ti senta fermamente convinto che ciò che ho detto non sia altro che la Verità.

SOCRATE       [A parte] E avendo parlato la straniera di Mantinea si fermò un attimo, come a voler raccogliere i propri pensieri.

DIOTIMA      Due sono le cose che ho intenzione di portare alla tua attenzione, o Socrate, e spero che queste ti persuadano. Come già affermato da me, agli uomini è concesso di mantenere vivo il loro ricordo per mezzo della generazione. Si prenda ora il primo caso, quello dato dalla fecondità nel corpo, e a dimostrazione di quanto detto porterò l’esempio della figlia di Eete, re della Colchide, che concesse i suoi favori a Giasone e dalla loro unione due figli furono generati. A tutti è noto il triste destino di Medea, lasciata dall’amato, il quale nessuno scrupolo si fece nell’abbandonare la moglie e i figli per sposare la figlia di Creonte. Quale altro mezzo aveva, l’innamorata, per far pagare all’ignobile ingrato la colpa commessa, lei che aveva tradito il padre e abbandonato la patria per seguirlo? Bastarono forse le terribili minacce? Di certo, la rabbia e passione tradita non furono placati solo con lo sfogo verbale, o questo è ciò che credi, o sapiente Socrate?

SOCRATE       Non lo credo.

DIOTIMA       Fai bene, perché questo non è ciò che accadde. L’amore della fanciulla, così come ardeva di desiderio per Giasone quando questi con lei rimase, di furore bruciava al momento dell’abbandono; scacciata dal palazzo di Esone e esiliata, a lungo si tormentò la povera infelice, divisa dalla passione che ancora nutriva per l’infedele e il desiderio di vendetta. A lungo maledisse la sua bocca menzognera, struggendosi giorno e notte. A quale gesto estremo arrivò, dunque, la povera scellerata? Si limitò all’uccisione di colei che aveva profanato il suo talamo? O andò oltre? A dimostrazione di quanto detto da me precedentemente, la giovane donna, guardando i figli, rivedeva nei loro volti la somiglianza con l’uomo tanto odiato. Nei due fanciulli Giasone aveva lasciato una parte di sé e la furia che ormai dominava la madre era tale da farle dimenticare l’affetto che provava per i due innocenti, colpevoli solo di essere nati da un padre tanto vile. Dominata dalla passione, e dopo un lungo conflitto interiore, la fanciulla di un crimine tremendo si macchiò: l’uccisione dei giovani figli.

SOCRATE       Credevo che tale delitto fosse rivolto alla privazione del padre dei suoi figlioli; non li ha forse uccisi per minare l’affetto paterno?

DIOTIMA      A quale fine? O Socrate, tu dimentichi ciò che io prima precisai. Il giovane non solo la moglie abbandonò, ma con essa anche la propria prole. Dell’amore di un genitore affettuoso tu parli? No, non di questo si trattò. Come potrebbe averne sofferto colui che per primo rese orfani i due fanciulli? Orfani di padre, giacché abbandonarli non è forse uguale ad averli lasciati se fosse morto? Uguale no, perché quello che fece fu peggio: non per causa superiore a lui se ne separò, ma per sua volontà. E non fu sempre lui che spinse, con la sua crudele dipartita, la moglie folle di dolore al culmine della vendetta? Non fu anche la sua mano di traditore a compiere, complice, ciò che ogni genitore dovrebbe rifuggire? No. Non per questo fine il misfatto venne compiuto. La figlia di Eete pensava a ben altro motivo quando premeditò l’infanticidio: non all’affetto paterno mirava, quanto alla brama di immortalità che domina ogni mortale. Uccidendogli l’unica prole, non solo si slegava dal comune possesso che la legava al perfido marito, possesso che era stato frutto di lieto tempo per lei ormai passato, ma si assicurava che questi non avesse più una discendenza. Sicché, quando escogitava la vendetta che più dolore avrebbe arrecato a colui che era colpevole della sua sofferenza, non pensò di porre fine alla vita dell’ingrato, consapevole che più danno gli avrebbe procurato se fosse morto senza la consolazione di una dinastia che ne avrebbe portato avanti la memoria.

SOCRATE       Codesto il movente? Questa la fiamma che animò la sua follia? Certamente ciò che dici è il Vero, o donna di Mantinea, ma non sono del tutto persuaso. Non dicesti che due erano le cose che volevi porre dinnanzi alla mia diffidenza?

DIOTIMA      E’ così, o Socrate. Ma devi lasciarmi il tempo di creare un discorso che tale si possa chiamare, e per fare ciò ho bisogno di riorganizzare le mie idee. Per suffragare quanto da me detto, affinché possa convincere e liberare te dal demone del dubbio, la mia orazione deve essere tanto completa quanto ben strutturata. Ora, ero rimasta alla fine della possibilità di Giasone di avere il proprio nome portato avanti dalla progenie. Questa, dunque, la fine della prima parte di avvaloramento del mio discorso. La seconda parte si discosta leggermente dalla via inizialmente intrapresa ma non temere, cercherò di essere il più coincisa e chiara possibile. Tu, però, non allontanare la mente dalle mie parole: segui attentamente ciò che ho da dire e non indugiare in altre riflessioni. Abbiamo detto che la morte è temuta dagli uomini se ad essa non si accompagna la consapevolezza che una parte di loro rimarrà indietro. Prima parlammo della generazione dei corpi fecondi, ma abbiamo anche nominato la fecondità nell’anima.

DIOTIMA      E qui la parte insidiosa. Uccidendo gli unici discendenti del marito, lei, che era diventata madre nello stesso tempo in cui lui divenne padre, si privò pure della stirpe. Doppio fu il suo sacrifico: non solo uccise i figlioli a lei cari, ma rinunciò anche lei stessa alla possibilità di immortalità di cui voleva privare il marito. Tale era la sua follia! Tale il suo dolore! Tuttavia, non devi pensare, o SOCRATE    , che compì questo gesto senza la totale guida della ragione: la giovane madre era consapevole di quanto stesse lasciando per punire il perfido amato e, nonostante ciò, scelse comunque di farlo. Sapeva che pur privandosi del frutto della generazione data dalla fecondità del suo corpo, la sua memoria non si sarebbe cancellata con esso: le rimaneva, infatti, la consolazione che in molti avrebbero raccontato la sua storia. Diversi sarebbero stati coloro che, gravidi nell’anima, avrebbero partorito versi per narrare le sue gesta. Non conosciamo noi il suo destino? Non eri già a conoscenza della colpa di cui si macchiò, prima ancora che te ne parlassi, o Socrate?

DIOTIMA       Ecco dunque conclusa la mia orazione. I due punti che avrebbero avvalorato la mia tesi li ho illustrati, e con ciò spero di averti convinto.

SOCRATE       [A parte] Questo disse la sapiente Diotima, e ne fui persuaso.

Ultime lettere al di là del mare

Alessandro Santoni in questo suo racconto, seguendo lo schema narrativo della canzone “Stan” di Eminem, riscrive, nell’ambito del seminario: Scritture del desiderio, parallelamente al corso di Letterature comparate della Prof.ssa Chiara Lombardi, 2021/2022, le ultime lettere tra Didone ed Enea, quest’ultimo in quanto giovane emigrato giunto in Italia.
Eminem – Stan (Long Version) ft. Dido – YouTube

“Solo puoi immaginare il dolore che provavo quando ti pensavo sul tuo gommone trasportato verso l’oblio e la morte dalle onde di quel mediterraneo diventato come un nuovo acheronte.”

*

Lettera 1 
Caro Enea,
Ti ho scritto, ma tu non mi hai ancora chiamato. Ti ho lasciato il mio numero al fondo di tutte le lettere che ti ho inviato, ma forse non ti sono mai arrivate. Probabilmente c’è stato un errore all’ufficio postale o qualcosa del genere. Forse, per via dell’emozione del nostro amore che fa tremare questa mia mano, ho scritto male il tuo indirizzo. 
Ma ora chi se ne frega. Come stai mio amore? Sono passati ormai un paio di mesi da quando, anche se contro la mia volontà, hai intrapreso il tuo fatidico viaggio per le misteriose acque del mediterraneo.  Com’è andata l’attraversata? Sei arrivato sano e salvo in Italia? Hai fatto richiesta d’asilo? Hai trovato lavoro? Oh… scusami per le troppe domande, ma sai, le emozioni e le ansie sono troppe e l’attesa di una tua risposta mi strugge.
Non sai quante notti insonni ho passato pensando al tuo viaggio. Solo puoi immaginare il dolore che provavo quando ti pensavo sul tuo gommone trasportato verso l’oblio e la morte dalle onde di quel mediterraneo diventato come un nuovo acheronte. Fu il nostro amore a salvarmi dalla disperazione e ancora oggi esso è per me come la luce di un faro per un naufrago disperso in un oceano di timori e paure.
Ripenso a noi ogni giorno ed ogni notte.
In attesa di una tua risposta, 

La tua fedele e innamorata Dido.

Lettera 2 
Caro Enea, non hai ancora risposto alle mie lettere. Non sono arrabbiata, so che sei sommerso dagli impegni. Sono solo molto triste e questo tuo silenzio mi sconforta.
In questi giorni volevo pure darti una bella notizia… sono incinta. Lo so che è una cosa splendida, ma la felicità fatica a fiorire nella situazione che sto vivendo. Qui è tutto uno schifo: mio padre sta cercando di programmare il mio matrimonio con qualche altra nobile famiglia e mio fratello mi tiene segregata in camera allontanando con la violenza ogni mio pretendente non desiderato.
Le uniche due cose a tenermi in vita e a darmi un po’ di conforto e speranza in questi giorni sono la presenza di mia sorella Anna e il tuo ricordo, che, come vedi ancora non mi abbandona. 
Ricordo ancora alla perfezione il nostro primo incontro: rifugiati nella stessa grotta sulla spiaggia, per sfuggire da un temporale, ci mettemmo a parlare per ore.
Mi parlavi della tua vita passata e della fuga dalla guerra. Mi parlavi dei tuoi progetti e dei tuoi sogni. Volevi volare lontano come il vento. Dicevi che l’Italia era il posto giusto per iniziare una nuova vita.
Il tuo volto si illuminava quando parlavi di ciò e quella luce, che compariva nei tuoi occhi, ben presto mi conquistò.
Il cielo non fece in tempo a smettere di piangere che tu e le tue parole mi avevate già catturata.
La tua voglia di libertà e la tua voglia di prendere in mano la tua vita, di costruire il tuo destino, mi fecero provare nel medesimo istante una sensazione di invidia e ammirazione indescrivibile. 
Oh… dovevo seguire le tue parole e la forza del nostro amore, invece, le mie radici e la mia terra, mi hanno tenuta ferma qua. Intrappolata in una gabbia dal quale non posso uscire.
Da quella spiaggia, però, tu sei partito, leggero come una foglia al vento, ed io ora resto qui come un albero impossibile da sradicare. 
Hai compito il tuo destino, anche senza di me.
In attesa di una tua risposta, 
La tua triste e sola Dido.

Lettera 3 
Caro signor-sono-troppo-impegnato-per-scriverti, 
la vita qua è una merda e tu peggiori tutto.
Ma la verità è che non ce l’ho neanche con te.  È con la mia lurida e sporca terra che sono arrabbiata. 
Sono disperata Enea e sto pensando di farla finita. Le mie lacrime bagnano queste poche righe che forse tu non riceverai mai.
Il nostro amore e soprattutto il suo frutto, che porto dentro al mio ventre, sono stati un enorme errore. 
Esso mi ha sedotta ed illusa. 
Esso mi ha dato la speranza di un futuro che non vivrò mai. 
Il mio matrimonio forzato ormai è alle porte e se si dovesse scoprire del mio bambino io verrei uccisa.
Preferisco fare di mano mia questo estremo gesto.
Credevo che il nostro amore potesse essere superiore a tutto, ma non è riuscito nemmeno a piegare il tuo desiderio di fuga e ora come potrà  vincere la mia morte? 
Tu per me, Enea, sei stato come la visione del cielo stellato. 
Tu eri bellissimo e unico, ma proprio come le stelle so benissimo di non poterti raggiungere… non più.
Tu sei l’unico uomo che ho mai amato e ti amerò per sempre.
Ma tu hai fatto il viaggio verso il tuo destino e ora sono sola senza te.
Ora sono sulla spiaggia del nostro incontro e del nostro addio.
Ora in mano il coltello che mi regalasti.
Ora le fredde lacrime mi lavano il viso.
 Ora la lama fredda.
Ora il caldo sangue.
Ora più niente.
Non più in attesa di una tua risposta,
La tua amata ma ormai lontana Dido.

Lettera di Enea
Mia amata Dido,
Avevo voglia di scriverti. Non ho potuto. Scusa.
Questi mesi sono stato parecchio faticosi. Lavoro ogni giorno 12 ore sotto il sole cocente per pochi euro, ma sono felice perché li sto mettendo da parte per noi e per il nostro futuro. Ma a parte la fatica del lavoro qui è tutto splendido. È tutto come lo sognavo, ma senza te, anche questa terra perde tutta la sua bellezza. 
Sai che neanch’io passo un solo momento senza pensare a te? Ogni notte, nella quale non riesco a dormire, vado sulla riva del mare e guardo all’orizzonte, verso te. Ed è lì che io ti immagino, sulla nostra spiaggia a fare lo stesso e così, ricerco il tuo sguardo.
Ho ricevuto la notizia del nostro bambino con estrema gioia. Qui potremmo regalargli una vita più giusta e felice, appena ti invierò i soldi per farti arrivare qua. 
Purtroppo, ho letto anche la tua situazione. Ti chiedo solo ancora un po’ di pazienza, ti giuro che riuscirò a portarti via di là. Riuscirò a sradicarti da quella tua terra. La situazione non mi rassicura, anche per il fatto che, ogni giorno, ricevo terribili notizie dal vostro paese tramite le lettere dei miei compagni di viaggio e dai giornali. In questi giorni, ad esempio, una notizia che mi ha scioccato è stata quella di una ragazza che si è tolta la vita sulla nostra spiaggia. Anche lei come te aveva un matrimonio forzato in programma. Anche lei era incinta. Si è uccisa con una sorta di pugnale, mentre teneva stretta a se una lettera, ma purtroppo l’acqua l’ha rovinata e non si capisce a chi fosse indirizzata.

Fammi leggere come si chiamava. Ah, sì il suo nome era…    Suono di una penna che cade… poi più niente.

Un Simposio a New York

Anna Gribaudo in questa sua composizione proietta il Simposio platonico nella New York dei roaring twenties, nell’ambito del seminario: Scritture del desiderio, parallelamente al corso di Letterature comparate della Prof.ssa Chiara Lombardi, 2021/2022

“Penso che sia per amore infatti che sono partito per la guerra […] perché l’amore ci spinge a proteggere chi amiamo. Inutile sottolineare che la guerra è quanto ci sia di più contrario all’amore. Adesso sembra però soltanto un lontano ricordo da lasciarsi alle spalle.” 

*

ARTHUR Negli ultimi tempi la vita qui a New York è cambiata notevolmente: l’economia non è mai stata così florida, e in tutti sembra albergare una gioia di vivere inarrestabile, una corsa al divertimento, alle distrazioni, che si traduce nei fatti in una corsa al benessere materiale. La città è sempre più rumorosa, il jazz più movimentato, e anche le nostre idee sono in fermento. Ho avuto modo di interrogarmi su di una questione poco pratica e più spirituale, per così dire, che volevo giusto proporvi, e  vi prego di soddisfare la mia curiosità, esprimendo il vostro parere in assoluta libertà.
Ebbene, la questione è questa: secondo voi come si può definire l’amore?”

FRANCIS/Fedro Si tratta di un tema in realtà molto pratico, praticamente all’ordine del giorno, mio caro Arthur, qualcosa che ci riguarda tutti. Ecco, se siete d’accordo inizierei io, che ho già una mia opinione a riguardo. Penso che l’amore sia il sentimento più potente che ci sia, ciò’ che fa sì che la nostra vita sia virtuosa e felice. Diciamocela tutta, uscire con voi signori nei locali è uno spasso, lavorare in ufficio con i colleghi è piacevole, ma queste singole attività di per sé non danno un valore compiuto all’esistenza, cosa che invece l’amore dà.
È una forza propulsiva, che ci muove costantemente all’azione, che ci fa agire al meglio: se nella borsa di Wall Street lavorassero tutti amanti e amati, le azioni sarebbero sempre in rialzo, perché quando amiamo puntiamo al meglio, ad essere la versione migliore di noi stessi.
Per amore si può giungere anche a morire. Penso che sia per amore infatti che sono partito per la guerra. Innanzitutto per amore della mia patria, anche se all’inizio pochi erano convinti delle ragioni dell’entrata in quel lontano bagno di sangue. Ma lo feci soprattutto per amore verso mia moglie e i miei figli, perché l’amore ci spinge a proteggere chi amiamo. Inutile sottolineare che la guerra è quanto ci sia di più contrario all’amore. Adesso sembra però soltanto un lontano ricordo da lasciarsi alle spalle.

PAUL/Pausania Ben detto, caro Francis. Condivido appieno la sua idea: la guerra genera orrore e devastazione, e quindi rimanda alla morte, mentre l’amore è sinonimo di vita, perché collegato alla procreazione.
Vorrei tuttavia aggiungere un particolare. Ritengo infatti che l’amore sia un sentimento assai complesso da definire,  essendoci vari tipi di amore. Anzi, probabilmente ne potrei definire due. Esiste da un lato un amore più volgare, che ci porta a cercare e ad apprezzare la bellezza dei corpi, quindi un sentimento legato all’attrazione fisica, all’aspetto esteriore di una persona. Questo tipo di amore è per sua natura fugace, perché la bellezza sfiorisce con lo scorrere del tempo, ed è anche occasionale, al quale si fa ricorso per soddisfare essenzialmente le pulsioni del corpo. Dall’altro lato esiste un amore celeste, spirituale, che ci porta a sentirci intimamente legati all’animo dell’altro, alla sua personalità, insomma al suo essere più profondo. Questo tipo di amore è destinato a durare più a lungo perché l’anima non sfigura come il corpo con gli anni, ma non è necessariamente superiore al primo, né viceversa. Entrambi questi amori sono necessari, ma penso stia ad ognuno capire ciò che pensa di meritare, ciò a cui aspira.

MARY Apprezzo molto il suo tono aperto al relativismo, perché a volte in discussioni simili emergono soluzioni forse troppo categoriche, come se la verità fosse una sola. Come ha detto, ognuno è libero di decidere ciò è meglio per sé. Mi collego a quanto ha detto esponendo la mia opinione adesso, sicuramente al passo coi tempi.
Se l’amore fosse un salotto mondano, sarebbe uno dei pochi luoghi in cui la donna è del tutto padrona di sé e non sottomessa all’uomo di turno. È dove invece di essere comandata detta le leggi, indirizza la conversazione, promuove nuovi incontri galanti. Allo stesso modo è padrona in amore, perché è lei che la quasi totalità delle volte si fa desiderare. Nella sfera amorosa è quella in cui a differenza di quella pubblica può essere libera, indipendente. In particolare, la donna è protagonista durante la seduzione, che altro non è che la premessa all’amore, la sua porta d’ingresso, il flirt per intenderci. Se quando la coppia è fissa allora iniziano i problemi, le gelosie, invece in questo momento ibrido il desiderio è la chiave di tutto. L’uomo desidera ciò che non ha, la donna all’altro capo della sala da ballo, intenta a fumare il sigaro, che con uno sguardo ammaliante ammicca nella sua direzione. L’uomo la desidera, ma lei lo fa impazzire, sparisce, ritorna con un amante, tutto per esasperarlo, vendicare la posizione subordinata nella quale il suo sesso è da tempo costretto. Con l’amore le donne possono riguadagnare insomma un ruolo, o per lo meno avere voce in capitolo.

HARRY/Aristofane Questa posizione è del tutto nuova per me, e penso abbia un fondo di verità. Pensandoci, in fin dei conti nel nostro Paese è stato recentemente introdotto il voto per il gentil sesso, segno che la vostra causa ha sicuramente molti sostenitori.
Per quanto mi  riguarda invece, sostengo che l’amore sia un po’ come la ricerca di un buon sigaro: si spende tanta fatica, attraverso tante brutte esperienze per arrivare finalmente a capire quale fa al caso nostro. Poi, una volta trovato, non se ne può più fare a meno. È destino quindi, e il nostro compito è ritrovare la metà perduta che ci è sempre appartenuta, nella nostra vita precedente forse, come se fossimo stati divisi da un’unità iniziale.
Se ci pensate bene questo spiegherebbe perchè, dopo aver parlato un po’ al bancone di un caffè con una persona, a volte si ha la sensazione di conoscersi da una vita. È infatti per questo motivo che siamo tutti alla ricerca di un posto dove stare bene, di braccia che ci accolgano come una casa, all’eterna ricerca di una perfezione originaria. Amore è quindi mancanza e conseguente ricerca della parte mancante, perché siamo in fin dei conti esseri incompleti, come una macchina senza il sedile per il passeggero, ovvero qualcuno che ci accompagni nel lungo viaggio della vita.

GARY Che immagine affascinante! Davvero suggestiva. Spiegherebbe molti racconti di storie d’amore durevoli e gratificanti, nati all’improvviso e durati una vita intera, un po’ come quelli che troviamo nelle pubblicità.
La mia idea  probabilmente è meno poetica a confronto. Ritengo infatti che l’amore sia amore di ciò che è bello, nuovo. Potremmo pensarla così: tutti ci siamo ritrovati negli ultimi tempi a comprare l’ultimo prodigio tecnico, la radio, insieme a  moltissimi vestiti, scarpe, perché aspiriamo al meglio. E questa nostra società ci fa desiderare sempre di più, ci avete mai fatto caso? I grandi magazzini sono sempre più imponenti, i cataloghi dei prodotti più lunghi, le rate alla portata di tutti. Dopo aver comprato un’auto se ne desidera subito un’altra, più costosa e più bella, che è appena stata prodotta, e poi un’altra ancora. È una corsa infinita, un desiderio inesauribile. Ebbene, allo stesso modo è l’amore.
Appena soddisfatto un desiderio, ecco che non ci basta più e ne nasce un altro. Questo può portare a non voler stare con una sola donna, ma a volerle un po’ tutte, anche se già impegnate. Anzi, soprattutto in questa evenienza. Funziona probabilmente come con gli alcolici al giorno d’oggi: secondo delle leggi discutibili, un po’ come quelle sul matrimonio, non si potrebbero consumare. È come se fosse stato sottratto l’oggetto del desiderio a un assetato, e questo non fa che fargli desiderare l’oggetto bramato ancora di più. Ecco spiegato il perché delle reputazioni di molti uomini (e anche di molte donne) dagli amori molteplici. Semplicemente si ama l’amore.

ARTHUR Forse avete tutti ragione o tutti torto, per fortuna non sta a noi deciderlo. Dal nostro piccolo dibattito è emerso che l’amore è un ripiego per alcuni, un’illusione per altri, un’abitudine per molti, una salvezza per qualcun altro, ma le cose stanno così: senza di esso la vita sarebbe più vuota, priva di significato. Innamorarsi può infatti cambiare il nostro destino. È un viaggio alla scoperta di sé stessi e dell’altro, fatto di burrasche, vento e tuoni, ma che non ha eguali in gioia e soddisfazione quando il cielo si fa luminoso.

La rivolta di Briseide

Gaia Garofali e Clara Vallauri, in questa composizione, riscrivono un’inedita Briseide in ribellione nei confronti di Achille. Il testo è stato sviluppato nell’ambito del seminario: Scritture del desiderio, parallelamente al corso di Letterature comparate della Prof.ssa Chiara Lombardi, 2021/2022

 “L’elaborato seguente nasce per volontà di riscattare la figura di Briseide che si rende gradualmente conto di essersi innamorata di colui che l’aveva privata del proprio corpo, della propria famiglia e della propria libertà.  Finalmente la ragazza prende coscienza del proprio ruolo come sacerdotessa di Apollo e sente di meritare di più rispetto ad essere una schiava di un vanitoso Acheo.”

*

SCENA: Sera. Accampamento di Agamennone.

 ATTO PRIMO

 Briseide giace a terra, lo sguardo fisso su Euribate e Taltibio che sono ormai figure lontane.

BRISEIDE Queste lacrime che mi rigano il volto sono lo specchio della mia sofferenza.  Ma saranno le ultime, lo giuro, che io, Briseide, sacerdotessa del Dio Apollo verserò per un uomo così indegno.  In Lui credevo di aver ritrovato l’abbraccio di una madre, la protezione di un padre e la passione di un marito. Mi sbagliavo. Tutti vedono in lui un eroe, invece non è altro che una cinica macchina da guerra. Egli, infatti, si lancia in battaglia non per amore della sua patria, ma per decantare il suo primato in forza.  Chissà quante altre schiave come me si sono infatuate del proprio tormentatore, vedendo in lui una figura salvifica. Dobbiamo renderci conto della bassezza di essere bottino da guerra, futile merce di scambio. Il nostro carnefice non può essere l’unica salvezza che ci rimane. Dobbiamo trovare il modo di ribellarci a questa condizione umiliante, ma come? Non attraverso le armi perché, per via del loro burbero cuore non avremmo pari possibilità. Forse scappando alla ricerca di un futuro migliore?  Si, forse è la soluzione scappare, e affidarci ai numi celesti.

Briseide lentamente si alza e tende le braccia verso il cielo.

ATTO SECONDO

Mattina. Briseide dopo una notte insonne di preghiere rivolge l’ultima invocazione ad Apollo.

 BRISEIDE Io, come tua devotissima ancella, ti invoco, o Dio delle arti e della medicina, se mai hai sofferto pene d’amore, ascolta questo mio cuore lacerato, tanto distrutto quanto sincero.

Qualche dimesso singhiozzo interrompe la sua supplica.

BRISEIDE Come tu, o luminoso, non fosti ricambiato dall’amore carnale di Dafne, così io soffro per le menzogne di Achille che in realtà non ha mai corrisposto il mio sentimento. Infatti, fui la sua schiava e più volte a lui mi unii, ma scoprii di essere solo un suo effimero piacere. Ricordo con amarezza quelle volte in cui mi esortava con gentili parole ad uscire dalla tenda per poter accogliere il suo amato Patroclo. Ed io, in disparte, senza neppure una coperta per ripararmi dal freddo, con gli Achei che si facevano beffe di me, rimanevo ad attendere, per un tempo che sembrava essere infinito, il richiamo del mio carnefice. Adesso mi rendo conto di quanto vana e superflua fosse la mia vergogna di fronte alle urla dei combattenti: il vero disonore  è quello che mi arrecò Achille, preferendo la compagnia di Patroclo alla mia.

In nome di quel tormentato amore che lui stesso aveva vissuto e riconosciute le sofferenze della giovane fanciulla troiana, Apollo discese dal Parnaso, avvolto da una nube luminosa. Briseide, alla vista di cotanta luce fu costretta a coprirsi gli occhi.

APOLLO Mia fedele servitrice, i tuoi lamenti mi hanno commosso. Anche tu, come Criseide meriti la tua vendetta. Ai Greci non sono bastate le morti provocate dai miei dardi fatali.

BRISEIDE Sono grata della tua bontà d’animo e stupita della compassione che rivolgi verso un umile mortale.  O dio che porti l’arco d’argento, scaglia ancora una volta la tua ira contro questi tracotanti invasori. Presta particolare attenzione verso colui che ha preferito al profumo e alla morbidezza di una donna il sudore e il corpo d’acciaio di un uomo.

APOLLO Mia cara Briseide, ciò che mi chiedi è un’ardua impresa, poiché Achille dal piede veloce è stato immerso nello Stige dalla madre Teti. Tuttavia, il tallone non è il suo unico punto vulnerabile: egli si strugge per Patroclo come tu stessa notasti. Solo privandolo del suo amato compagno riusciremo a turbare l’imperturbabile figlio di Peleo. Ma tu, degna sacerdotessa di un dio clemente, non devi temere: verrai presto vendicata per affronto.  Al calar della sera una pestilenza di ratti invaderà l’accampamento greco e tu non dovrai far altro che cogliere il momento di confusione generale per scappare. Io ti aspetterò laddove sono attraccate le triremi nemiche. Adesso va, fanciulla dalla guancia graziosa, e non turbare oltre la tua anima. Chi ti ha offesa avrà quello che si merita. Le mie parole ti siano di conforto.

Queste furono le ultime parole del dio che se ne andò, portando con sé la sua immensa luce.

ATTO TERZO

Apollo mantiene la sua promessa e un’invasione di ratti ricopre il suolo fuori dalle mura della città, mentre Briseide attua la sua fuga.

BRISEIDE Il momento propizio è giunto, mentre gli occhi inorriditi degli stranieri sono occupati a fissare l’invasione delle bestie senza sapere come liberarsene, finalmente mi riprendo la mia libertà. Ecco il seduttore Achille, questa sarà l’ultima occasione per affrontarlo.

BRISEIDE Tu che ti credi superiore persino agli dei, voltati e guardami per l’ultima volta.

ACHILLE Come osi rivolgerti al tuo padrone ed amante con questo tono sprezzante. Non ho ancora trovato il modo di riscattare te, il mio bottino che mi spetta di diritto, da Agamennone.

BRISEIDE Non fingere che questa lontananza ti rattristi, stai indugiando perché preferisci startene disteso con il giovane Patroclo! E non provare a negarlo, è più che evidente.

ACHILLE Mia dolce Briseide, come puoi rivolgere proprio a me tali accuse? Io che ti ho accolto tra le mie braccia, quando, stremato, tornavo dai campi di battaglia. Tu confondi la compagnia del mio più fedele amico e compagno di armi, poiché sei accecata dalla gelosia. Torna in tenda e vai a ripararti dall’invasione.

BRISEIDE No, nelle vostre sudicie tende giammai ritornerò. Me ne vado, ancora una volta sottovalutate il potere di una sacerdotessa. Sono stata io ad invocare su di voi questa nuova sventura. Adesso che Ettore è morto ti credi invincibile, ma sappi che perirai sotto la rocca di Priamo, colpito in un punto che per te sarà fatale. Nello Stige raggiungerai le anime da te martoriate. Addio.

Nel momento in cui Achille stupefatto stava per replicare le parole della donna, sentì in lontananza la voce di Patroclo chiedere disperatamente aiuto. E Briseide sparì, inghiottita dal caos, compiaciuta dell’opera del divino Apollo.

ATTO QUARTO

Briseide arriva alle Triremi greche.

APOLLO Briseide, dalle guance purpuree, non hai più patria, né famiglia e sei stata coraggiosa a seguire le mie parole. Adesso non ti resta che venire sul Parnaso con me, lì potrai dimostrarmi la tua infinita gratitudine. Visto che ti sono venuto in soccorso per le tue sofferenze d’amore così tu mi appagherai, seminando attorno alla mia dimora un’infinità di allori che mi ricorderanno ogni giorno la mia amata Dafne. Ti dovrai prendere cura delle mie piante predilette e vivrai il resto della tua vita libera dal talamo nuziale.