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Properata retexite fata! La catabasi di Romeo

Chiara Giordano, in questa sua composizione, immagina ciò che accade a Romeo dal momento in cui decide di morire per poter rivedere e amare, almeno negli Inferi, la sua Giulietta,  nell’ottica del corso di Letterature comparate, Shakespeare e il paesaggio culturale italiano (Prof.ssa Chiara Lombardi)

“Cosa accade nel lasso di tempo tra la morte di Romeo e quella di Giulietta? Nella speranza di riconciliarsi alla sua amata attraverso la morte, il giovane Montecchi discende agli Inferi come Orfeo alla ricerca di Euridice. In modo differente, certo. Romeo, infatti, si è ucciso a causa dell’erronea convinzione della morte di Giulietta; Orfeo, invece, tenta da vivo di riportare alla luce la donna che ama. Mentre quello del cantore tracio è un percorso all’insegna della disperazione e di un sogno realizzabile, quello di Romeo si configura come un viaggio altrettanto disperato ma avente come meta una tragica e macabra consapevolezza.”

*

[Romeo, ormai più speranzoso che afflitto, viene condotto attraverso le acque dello Stige su una barca colma di corpi inconsistenti e volti anonimi, senza scorgere la ragione della sua vita e della sua morte]

Romeo
Non più sole, non più luce e vampa investono il mio cammino. Chi son io, pellegrino privo d’una sacra meta? Accendi, mia dolce nemica in vita, una lampada che rischiari le tenebre, non lasciare che mi perda tra i flutti di questa tempesta. Come sono asceso verso il tuo proibito amore, nel nome dello stesso mi immergo ora nell’abisso.

Caronte
Taci, arciere senza più dardi. Perché abbai? In silenzio voglio menarvi all’altra riva, da cui nessuno più fa ritorno.

Romeo
Poiché insopportabile era il giorno, mi sono addentrato ora nella più oscura delle notti. Ho rinunciato al mio nome e raggiunto il più lontano dei mari, cos’altro devo fare per poter tornare a respirare grazie a un suo bacio?

[Da un angolo della barca emerge tra le ombre Paride]

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❧ SEGNALE 3 “Il corpo della lingua” Giorgio Agamben

“Che Rabelais tenga a nominare Merlin Cocai, alias Teofilo Folengo mantovano, non stupisce, se si considera l’influenza che ha esercitato su di lui il Macaronei opus quod inscribitur Baldus, pubblicato il 5 gennaio 1521 apud lacum benacense, cioè su quella riviera del Garda dove doveva approdare secoli dopo il defunto cacciatore Gracco. Da Folengo, monaco benedettino come lui era francescano, Rabelais ha appreso a esaltare un’altra corporeità oltre a quella fisiologica del gigante, una corporeità che concerne non la sregolatezza e l’eccesso della mole, ma la dismisura e la licenza della lingua. Innanzitutto nel senso letterale, come quando un personaggio si lagna che gli abbiano senza motivo morrambouzevezengouzequoquemorguatasacbacguevezinemaffressé l’occhio sinistro (Rabelais, p. 1264) e un altro che per via dei gran pugni ricevuti si ritrova esperruquancluzelubelouzerirelu al tallone. L’idioma di Pantagruel è immenso quanto il suo corpo”.

da Il corpo della lingua. esperruquancluzelubelouzerirelu di Giorgio Agamben, Einaudi, Torino, 2024, pp. 97, pp. 6-7.

Giorgio Agamben (1942) è un filosofo italiano, ha insegnato in diverse università italiane e straniere e negli anni si è occupato delle più disparate questioni, dall’estetica alla filosofia politica, dalla linguistica alla storia dei concetti. In questo saggio Agamben torna a riflettere sulla lingua, in particolare su quella corporea, plurima e sregolata di Rabelais e Teofilo Folengo, sul suo potere sovversivo, non tanto nell’ottica dei costumi morali, ma in quella più profonda dell’identità e dell’organizzazione del mondo che la lingua struttura.

Mediante un’analisi critica dello stile l’autore sonda il testo al di là della superficie narrativa, facendo così emergere le implicazioni più profonde dell’invenzione linguistica, specialmente in rapporto a questioni culturali e opere coeve o attigue e ai fondamentali lavori su Rabelais di studiosi precedenti, quali Bachtin e Leo Spitzer.

G. Agamben, Il corpo della lingua. esperruquancluzelubelouzerirelu, Einaudi, Torino, 2024.

❧ SEGNALE 2 “Il tempo della festa” Furio Jesi

7. È probabilmente leggenda la partecipazione di Rimbaud ai combattimenti della Comune. Di quella rivolta – piú rivolta che rivoluzione – egli fu tuttavia un singolare protagonista, in vesti di profeta. Egli poteva essere solo il profeta di una rivolta, non di una rivoluzione. L’insurrezione che si articola nella effettiva simultaneità dei tre strati di significati del Bateau ivre, in ordine apparente di percezione, è fondata tatticamente sul sacrificio (mercificazione, esibizione), riscattato e reso necessario dal miraggio dell’esistenza di sovrani veggenti e soccorritori, “valorizzatori”, adulti ma adulti solo quanto alla loro potenza, “bons poètes”. L’apertura ai luoghi comuni è solo formalmente adesione alla falsa oggettività degli adulti, di coloro che esercitano il potere: di fatto essa si propone di essere accumulo di forze per la rivolta. Su codeste forze grava la crosta di peccato d’essere forze convalidate dagli adulti; ma l’esistenza di adulti da miraggio, sovrani veggenti, soccorritori contro gli altri adulti, le riscatta e le rende desiderabili, da accumulare in vista della rivolta.

Furio Jesi (1941-1980) è stato un intellettuale e poligrafo torinese. La sua ricerca parte dall’egittologia e in generale dall’archeologia per poi spostarsi – sotto l’influenza di Kerenyi – verso lo studio della mitologia, prima in senso antropologico e poi ricercando l’applicazione delle mitologie all’interno delle opere letterarie a lui contemporanee o di poco precedenti, con un sempre maggiore impegno politico. Proprio in questa veste appare nella raccolta di saggi qui presentata, per la cura di Andrea Cavalletti, professore di Storia della filosofia medievale presso l’Università di Verona.

Uno studente di letterature comparate può trovare in questi saggi un approccio transdisciplinare e marcatamente internazionale, applicabile a testi e a pratiche lontane tra loro nel tempo e nello spazio.

F. Jesi, A. Cavalletti (a cura di), Il tempo della festa, Milano, Nottetempo, 2023

The Word to the Action The Action to the World

Dramma in tre atti di:

Martina Adamini, Rebecca Alpignano, Anita Avesani, Nicole Jasmeli Bergantino, Alessia Bersanetti, Matteo Bonino, Camilla Cattunar, Marta Costa, Rebecca Deandrea, Alessandro Dema, Letizia Desimone, Carlotta Ferrari, Giulia Frenna, Marta Gennaro, Gabriella Iannone, Francesca Isoardi, Giada Letonja, Marta Laganà, Matilda Marchese, Beatrice Vinassa, Dario Prunotto, Fabio Panelli, Anna Paruzza, Filippo Pittavino, Alice Pomero, Milena Re, Margherita Ricchiardi, Martina Ricciardi, Federica Rossi, Sara Saccone, Giorgia Stefanucci, Carolina Ughetto, Michela Voghera, Allegra Zandonai

(2023)

Materia del dramma:

The Word To the Action. The Action to The World è un play che riscrive l’Hamlet di Shakespeare dal punto di vista della compagnia

d’attori e di attrici che si reca a Elsinore per la mousetrap.
Sullo sfondo della corte di Danimarca, questa compagnia teatrale si confronta con i giochi del potere: qualcuno ne uscirà sconfitto, qualcuno trionfante e qualcun altro si lascerà corrompere.
Nel primo atto, la Balia e Orazio decidono di allietare il giovane principe, affetto da malinconia, invitando una compagnia teatrale a Elsinore, nella speranza che Amleto inizi a cimentarsi con l’arte drammatica. Galvanizzato da quest’idea, Amleto consegna alle attrici della compagnia una propria versione del dramma di Oreste, da rappresentare di fronte alla Corte.
Nel secondo atto, le attrici, resesi conto del pericolo che corrono e compreso come Amleto voglia usare la compagnia per il suo tornaconto e i suoi scopi oscuri, si ribellano: metteranno in scena una propria versione dell’Edipo.
Tra intrighi amorosi e aspri dibattiti, alcune attrici, vagando per il castello, incontrano uno spettro che, con parole oracolari, sembra rivelare loro un assassinio; dopo quell’incontro nessuno sarà più lo stesso.
Nel terzo atto, dopo aver maledetto la corte e i suoi tradimenti, la compagnia si allontana da Elsinore, riflettendo su ciò che ha veduto e che ha potuto conoscere. Nessuno sa dove risieda la verità, né desidera indagarla oltre un umano confine. Le attrici si troveranno infine a riposare in una taverna, con la consapevolezza di avere una nuova grande – e terribile – storia tra le mani.

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Lettere per vincere la morte

Aurora Costa, in questo suo lavoro, immagina che nella casa di Stratford in cui William Shakespeare ha trascorso gli ultimi anni di vita giunga per corrispondenza un carteggio contenente le epistole che il noto drammaturgo aveva inviato al giovane conte di Pembroke; realizzato nell’ottica del corso di Letterature comparate, Le forme del sonetto: da Petrarca a Shakespeare (Prof.ssa Chiara Lombardi).

“In questa riscrittura cerco di presentare in una versione inedita della discussa relazione tra William Shakespeare e il suo Fair Youth, sposando la teoria che identificherebbe quest’ultimo con il conte di Pembroke”.

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Nella primavera dell’anno 1617, mia madre Anne contrasse una forma lieve di polmonite; nulla di preoccupante ma, poiché mia sorella Susan si trovava proprio in quel periodo con i bambini in visita dai suoceri, si rese necessaria una mia permanenza presso di lei nella casa di Stratford; vi giunsi all’inizio di marzo e, su consiglio del medico, vi restai fin quasi alla fine di maggio – quando si fu del tutto ristabilita. Serbo un piacevole ricordo di quelle settimane, che furono per me come un ritorno alla gioventù prima che Hamnet morisse, quando la vita non era per noi bambini più che il fugace intermezzo tra un gioco e l’altro: ora, solo un poco più silenziosa, la casa non era diversa da quella che ci aveva visto crescere, adempiere diligentemente ai nostri studi, diventare adulti; seppellire un fratello.

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