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Simone Massi: come un artigiano lavora in bottega

Il regista e illustratore marchigiano Simone Massi, riconosciuto a livello internazionale, esordisce con il lungometraggio d’animazione Invelle, prodotto da Minimum Fax e rilasciato nelle sale il 29 agosto, una storia che annette tre eventi del Novecento, una dichiarazione su quanto sia importante preservare la memoria.

Sinossi
1918. Zelinda è una piccola contadina che deve affrontare la perdita della madre e la partenza del padre per la guerra. È necessario che diventi adulta prima del tempo, lo fa durante la fiera del paese, proiettando il suo sguardo altrove. Così prosegue la sua infanzia che diventa facilmente maturità poi anzianità mentre l’attenzione si sposta su Assunta, un’altra piccola contadina che vede materializzarsi le peggiori previsioni: i bombardamenti, la dittatura, le leggi razziali, la nuova guerra. Ma il Novecento non ha risparmiato nessuno, compreso il piccolo Icaro, bambino ingenuo che vede la madre e il padre lambiccarsi per portare il pane a tavola. Mentre le speranze diventano disillusioni e agisce lo spettro degli anni di Piombo.

Breve recensione
voto 8/10

L’abitudine è quella di considerare la Storia e i suoi effetti. Simone Massi dimostra interesse per una s meno ingombrante, minuscola. È così che i suoi oggetti appaiono nel piccolo, vittime indifese di un destino segnato che mantengono la loro robustezza, nel momento in cui agiscono per un sentimento comune alla Resistenza: la dignità. Ciò che è avvenuto in una sopita provincia marchigiana è avvenuto in qualsiasi arroccato comune italiana.
Il regista gestisce il legaccio con le proprie tematiche (la terra, il mondo contadino, la memoria) tramite una esposizione visiva totalizzante. Esposizione che diventa politica nel momento in cui gira il filo rosso dei Partigiani, cromaticamente evidenziato, e che prosegue con la scelta linguistica di usare il dialetto. Invelle – in marchigiano, “in nessun posto” – è una parola sepolta e ne viene riaffermata la potenza arcaica. Così il film stesso diventa una eco sul passato, perché alcune storie è bene si tramandino a voce. Dopo una serie di pluripremiati cortometraggi, Simone Massi si misura con una trama estesa, disegnando come un artigiano sopito nella sua bottega. Siamo riusciti a raggiungerlo in un sospeso “fazzoletto di terra”, come lui stesso lo chiama, feroce e autentico, come lui stesso è.

Intervista a Simone Massi
1. Come sempre, iniziamo con i numeri. Lucky Red ha selezionato 8 illustrazioni per una collezione esclusiva ma per realizzare Invelle quante tavole sono state disegnate? Quanto lavoro c’è dietro questa rappresentazione?

La produzione parla di 40.000 tavole. Lo confesso, io ho contato solo quelle a cui ho messo mano e sono oltre 4.000. I numeri possono servire a dare una vaga idea ma il lavoro effettivo, la fatica (sia fisica che psicologica), i problemi, lo stress, le tensioni non si possono raccontare. Realizzare Invelle è stata una vera e propria impresa, umana prima ancora che artistica.

2. Lei padroneggia la tecnica della stop-motion che rende il suo cinema una esperienza visiva ricca di stimoli. Cosa ha visto in questa modalità narrativa, quali sono le sue potenzialità?

Penso che il cinema di animazione sia una forma d’arte completamente differente rispetto al cinema dal vero. Per quanto i film di finzione siano sempre più in mano alle macchine, pieni di effetti speciali o scene realizzate al computer, l’animazione rimane altra cosa, è un terreno di fantasia, popolato di personaggi di carta, un cinema che si muove in uno spazio sconfinato e che spinge alla ricerca, invita ad osare.

3. Invelle, “in nessun posto”, qual è il significato di questo titolo?

Viene da lontano, dalla locuzione latina ubi velles / in de ubi velles, «dove tu voglia, in qualunque parte». In seguito l’espressione si è volgarizzata in induvèlle, invèlle, con il significato che si ribalta e diventa «in nessun luogo», «da nessuna parte». L’ho scelto come titolo del film per rappresentare uno dei tanti territori che vengono lasciati morire perché per lo stato non hanno nessuna importanza, nessun valore. Considerati non-luoghi quindi popolati da non-persone, buone per i lavori nei campi o come carne da macello.

4. E invece il suo rapporto con le Marche, questa terra ruvida, dimenticata eppure bellissima?

Le Marche, ad eccezione di qualche città della costa, sempre “Invelle” sono. Nessuno ne parla, nessuno viene a girarci i film o a farci le vacanze, quattro treni in croce da prendere nei binari ovest, nelle periferie delle stazioni, con cambi infami e corse per non perdere le coincidenze. Poi ci sono Marche e Marche, quelle bagnate dal mare ricche, popolose e piene di servizi, quelle delle colline e dei monti che vengono lasciate morire un poco alla volta, così nessuno si lamenta e protesta e il giorno che si è morti del tutto non servirà più a niente lamentarsi e protestare. Il fazzoletto di terra che mi è toccato in sorte è fatto di gente strana, mite, sonnolenta e fatalista, diffidente e criticona. Persone che parlano anche poco, faticano a capire il mare e le cose. Perlopiù alzano le spalle, come a dire “Va così, che ci posso fare?”.

5. Il suo lungometraggio racconta un microclima che riesce a espandersi e ci fa riflettere su quanto stratificata la provincia sappia essere. Come impatta la Storia su questi personaggi nascosti?

La Storia entra dentro le case e le brucia. Fino a qui sono d’accordo con De Gregori e poi ognuno per la sua strada. Perché per me la ragione non è mai stata spartita equamente e il torto è tutto sempre e solo dalla parte dei disgraziati.

6. All’interno di Invelle, il piccolo Icaro è un bambino contadino ipnotizzato dal mito del figlio di Dedalo. Da cosa deve volare via?

Dal sangue, dalla follia, dalle menzogne, dall’ipocrisia, dall’ingiustizia, dalla violenza, dalla prevaricazione, da un mondo, quello dei grandi, che non capisce e che non è (ancora) il suo.

7. Zelinda, la sua protagonista, figlia donna madre nonna impatta i colpi di un secolo feroce. È anche lei parte della Resistenza italiana?

Senza ombra di dubbio.

8. Invelle è quindi un’opera romantica o politica? Una dichiarazione d’amore o una presa di posizione?

Di mestiere faccio il disegnatore e il cantastorie, lo faccio al meglio delle mie possibilità e rimanendo all’altezza del mio pubblico, di chi decide cioè, guardando e ascoltando, di condividere un pezzetto di tempo e di strada con me. I miei racconti non sono lezioni di storia o di antropologia, sono semplici filastrocche e come tali non hanno alcuna pretesa se non quella di smuovere qualche pensiero o ricordo. Nel film – nella storia, nei disegni – ci sono molti spazi vuoti: non si chieda a me di riempirli.

9. Alcuni attori che han prestato la voce per il film sono Marco Baliani, Toni Servillo, Filippo Timi, Luigi Lo Cascio, Neri Marcorè (con cui ha più volte lavorato), gente che col talento va d’accordo; quanto è importante avere dalla sua parte il riconoscimento degli addetti ai lavori?

Ecco, questa è stata una bellissima e inaspettata sorpresa, che mi ha fatto contento. Perché non sono un nome noto e non faccio niente per diventarlo. Esco raramente dal mio territorio e di conseguenza non potevo immaginare che il mio lavoro, il mio nome appunto, fosse così conosciuto e apprezzato da spingere attori tanto importanti a partecipare al mio lungometraggio d’esordio.

10. «Ai primi di gennaio, gli uomini entrano nella stalla dove tengono a ricovero il maiale e lo legano per il muso. Mentre viene trascinato fuori per essere macellato, il maiale ha modo di vedere il cielo e le cose del mondo» dal suo corto Dell’ammazzare il maiale, David di Donatello 2012 per il miglior cortometraggio. Quali sono le cose del mondo che Simone Massi non può fare a meno di guardare?

La sinossi che ho scritto io, con la collaborazione del poeta Nino De Vita era diversa “Mentre viene trascinato fuori dalla stalla il maiale ha modo di vedere il cielo e le cose del mondo.” Mi è dispiaciuto molto vedere che una persona all’interno del Torino Film Festival aveva deciso di cambiare il testo, in particolare di introdurre “essere macellato”. Ogni parola che scrivo mi costa tempo e fatica, giusta o sbagliata è la mia. Non entro nelle parole o nel lavoro degli altri. Provai a spiegarlo, a spiegarmi, ricevetti, al posto delle scuse, una risposta orgogliosa e piccata. Ognuno è responsabile di quello che fa. Poi c’è chi sa guardarsi allo specchio e chi no, c’è chi sa guardare il cielo e le nuvole, gli animali e la collina, i bambini e gli anziani. Ce chi lo sa fare e chi no.

11. Non abbiamo paura a scriverlo. Lei è uno dei più grandi registi d’animazione d’Europa. Nel testo Facciamo Finta, il cantautore Niccolò Fabi scrive “Facciamo finta che chi fa successo, se lo merita”. Lei che rapporto ha col successo?

Pessimo. Il successo non so cosa sia né mi interessa saperlo. C’è stata qualche occasione in cui mi sono dovuto mettere il vestito buono, con dei riflettori puntati contro. Ho dovuto stringere mani, fare finta di essere contento, di avere tutti i documenti in regola. Ho avuto momenti così, è vero ma è stata roba di un giorno o di un’ora. Un clandestino a bordo e per fortuna è tutto passato.

12. Al momento il cinema italiano sembra soffrire di una forte miopia. Le faccio il nome di Alice Rohrwacher, riconosciuta a livello internazionale, che con La chimera (Tempesta, Rai Cinema, Ad Vitam, Amka Films Production, 2023) ha avuto problemi di distribuzione nelle sale, come del resto il suo Invelle. Quali possono essere le cause di questi palinsesti poco lungimiranti?

Fatico a parlare di cose di cui conosco poco o niente. Il cinema italiano ufficiale, quello che muove interessi, per me è una cosa nuova perché prima di Invelle ho realizzato unicamente cortometraggi. Quello che conosco e di cui posso parlare con un minimo di competenza è, di fatto, un mondo minore, una sorta di scantinato dove non girano soldi e di conseguenza non si dà fastidio a nessuno.

13. E come riuscire ad alzare la voce?

Gli autori di un certo tipo non gridano, né sul lavoro né sulla vita. Alice Rohrwacher fa cinema di poesia perché è una poetessa e i poeti sussurrano. Ad alzare la voce dovrebbe essere la critica, i giornalisti, gli uomini di cultura.

14. Le chiediamo inoltre una opinione in merito al discusso fondo cinema. Servirebbe una maggiore previdenza per finanziare progetti – Paola Cortellesi insegna – realmente validi: qual è la sua posizione in merito?

Chi decide se è un progetto è realmente valido? Su quali basi e con quali competenze? Per me è un provvedimento pessimo che favorisce chi non ne ha bisogno e taglia le gambe alle case di produzione medio-piccole e dunque al cinema indipendente. Verrà penalizzato anche il pubblico, in quanto avrà una possibilità di scelta molto più limitata.

15. E i produttori che in qualche modo vengono protetti dai fondi pubblici come possono essere stimolati ad aumentare la visibilità di prodotti validi?

Il solo pensiero mi fa torcere le budella, non ho proprio niente da dire su questo.

16. Ultima domanda – può non rispondere! – se domani decidesse di non prendere più in mano la matita, oggi cosa disegnerebbe?

Disegnerei un bambino, davanti a una casa triangolare, sotto un sole raggiante.

A cura di Emanuele Grittani
Simone Massi: come un artigiano lavora in bottega © Emanuele Grittani, Simone Massi

“Dov’è la letteratura” – Convegno Compalit 2024

Circolazioni, istituzioni, rapporti di forza

Convegno annuale dell’Associazione di Teoria e Storia Comparata della Letteratura

Bologna, 11-13 dicembre 2024

Premessa

«A domanda sciocca, nessuna risposta», tagliava corto Gérard Genette mentre affrontava di scorcio, in modo intelligentemente scettico, la domanda-chiave dell’estetica moderna: che cos’è la letteratura? O più in generale, che cos’è l’arte? Da una prospettiva diversa, ma con una mossa retorica simile, Nelson Goodman aveva già tentato di riformulare quella domanda strutturalmente «sbagliata» in una forma più pragmatica e accessibile: When Is Art?, titolo di un influente saggio del 1977. Quando è arte? A quali condizioni, in quali circostanze, secondo quali codici e convenzioni, entro quali cornici istituzionali un oggetto inizia a (o smette di) «funzionare come opera d’arte»?

Sciocca o sbagliata che fosse, quella domanda ha tuttavia continuato ad alimentare una serie di riflessioni cruciali sulla definizione e sull’estensione del letterario, soprattutto alla luce delle enormi trasformazioni strutturali che hanno investito le società occidentali nella tarda modernità. Sullo scorcio del millennio, nella sua monumentale Guida allo studio della letteratura, uno studioso con le antenne sensibilissime al cambiamento come Remo Ceserani lamentava la mancanza di «un’analisi attenta degli effetti che sulla produzione letteraria, sull’insegnamento della letteratura nella scuola e nell’università, sulla ricerca critica e sull’attività militante stanno avendo le grandi trasformazioni economiche e sociali del paese e del mondo». Nel frattempo, la proliferazione di metodi e campi di ricerca alimentati dalla crisi dello strutturalismo ci ha mostrato che la letteratura, oltre ad essere l’arte dello scrivere, o l’insieme dei testi verbali dotati di qualità estetiche (definizioni che hanno senso, peraltro, solo dopo la metà del Settecento, pressoché incomprensibili in età premoderna), è una formazione storica e una pratica sociale collocata nello spazio e nel tempo, esposta a un’infinità di variabili di carattere ideologico, politico, istituzionale e in senso lato pragmatico.

Compalit » Dov’è la letteratura? Circolazioni, istituzioni, rapporti di forza

❧ Segnale 1 “Non ci sono demoni”

“Sarà chiaro, a questo punto che Levi ricorre al mito come risorsa retorica della sua narrazione: lo riporta, nei casi che abbiamo analizzato, come una citazione tramite similitudine o metafora resa pressoché ovvia o quasi agli occhi del lettore, ma tenuta comunque a latere del discorso. In Se questo è un uomo in particolare c’è un contesto citazionale del mito classico in cui vengono disposti richiami iconici e icastici, diretti ma allo stesso tempo silenti, che puntellano l’opera. Sono fugaci rimandi classici fittamente intessuti nella trama dell’opera e fondamentali per la sua comprensione; solo il lettore può coglierne il mistero e tentare di scioglierlo, attivando il dispositivo intertestuale che fa luce sul vero significato di ciò che le parole di Levi vogliono dire”.

da Non ci sono demoni. Primo Levi, il Doktor Pannwitz e due figure mitiche di Mattia Cravero, Mimesis, Milano, 2021, pp. 85, p. 51.

FLASH CALL #1 FETONTE O NON FETONTE?

Di che si tratta? Di una Flash Call per Short Narrative and Poetry legata al mito fondativo della città di Torino e al personaggio mitico di Fetonte, organizzata all’intero del progetto UniTo “Miti di Fondazione”. Questa è solo la prima di una serie di Call di scrittura creativa che la nuova redazione del Blog degli studenti di Letterature e Culture Comparate intende avviare nel corso dell’anno accademico 2024-2025.

La Call è aperta a scritture, riscritture e adattamenti del mito all’origine della città di Torino e di tante altre eco testuali, musicali e iconografiche. I contributi selezionati saranno pubblicati sul Blog degli studenti di Culture e Letterature Comparate (culturecomparate.it) e verranno presentati nel corso dell’evento-mostra “Fetonte sulle rive del Po? Versi e falsi miti di fondazione” presso il Palazzo del Rettorato (Via Po, 17) all’interno della Biblioteca Storica di Ateneo “Arturo Graf” il 28 maggio 2024 (nel primo pomeriggio).

Nel corso dell’evento, a seguito di una breve tavola rotonda dedicata al tema scientifico della ‘Riscrittura del mito’, a cura della Prof.ssa Chiara Lombardi e del dott. Mattia Cravero, alcune attrici e alcuni attori leggeranno i contributi selezionati per presentarli al pubblico in sala.

Questo tipo di Call sperimentale ha una scadenza molto breve: la deadline per l’invio dei contributi è domenica 19 maggio 2024 alle ore 15:00 (Per le specifiche si veda al fondo). Per ovviare alla mancanza di tempo per le vostre ricerche, in questo tipo di Call, vi saranno resi
disponibili qui di seguito alcuni materiali e spunti da cui partire.

IL MITO IN BREVE:

«Ne Le Metamorfosi di Ovidio, Fetonte è il figlio del dio del Sole e della mortale Climene che – insicuro della propria origine divina – giunge fino alla reggia “scintillante d’oro” del padre per chiedergli il governo del carro, il cui corso segnava l’avvicendarsi del giorno e della notte. La giovinezza, l’inesperienza, la natura mortale del personaggio ne segneranno il destino tragico: incapace di tenere le redini del carro del Sole, l’eroe precipiterà sotto l’impeto del suo stesso slancio, tra spaventosi bagliori di fuoco, incendiando e inaridendo parte della Terra abitata, accolto soltanto alla fine nelle acque del fiume Eridano». Potete rintracciare questa breve descrizione del mito nel pannello introduttivo della mostra “Fetonte sulle rive del Po? Versi e falsi miti di fondazione”, presso il palazzo del Rettorato, a cui vi consigliamo di fare un giro per trarre ancora più ispirazione!

La Redazione del Blog si riserva la possibilità di selezionare fino a un massimo di 10 contributi tra racconti brevi, poesie, dialoghi e forme ibride.

Specifiche per i contenuti:

  • Racconti brevi, forme ibride (come prosa poetica); MAX. 4000 battute.
  • Dialoghi; MAX. 4 pagine di testo Word.
  • Poesie numero libero di versi; MAX. invio di 3 contributi, senza particolari limitazioni
    per un massimo di 4 pagine di testo Word.


    Modalità di invio:
    Gli elaborati in formato Word (.doc/.docx) e rinominati
    [FLASHCALL#1_nome_cognome_titolo] dovranno essere inviati contestualmente al file in
    formato Word e che si trova in allegato sotto il nome ‘Delibera_Allegato B_Call Fetonte’ al
    seguente indirizzo mail:

    redazione.blogcomparate@gmail.com

    All’interno dello stesso file vi chiediamo di specificare nuovamente il vostro nominativo, titolo e
    recapito mail.

Amore, Coraggio, Passione

Recensione a cura di Lucrezia Messina della mostra di CAMERA – Centro italiano per la Fotografia – “Robert Capa e Gerda Taro: la fotografia, l’amore, la guerra” (14 febbraio 2024 – 2 giugno 2024)

Robert Capa e Gerda Taro: la fotografia, l’amore, la guerra | (camera.to)

Con le loro foto riescono a catturare grandi attimi di terrore e disperazione; tra questi 120 scatti, molti fanno tremare.

La storia dei protagonisti di questo racconto è qualcosa di sensazionale. Una storia senza mezze misure, una storia di coraggio e tanta passione. Passione in quello che si fa, passione nel vivere emozioni da cui solitamente si desidera solo scappare.
Dal 14 febbraio al 2 giugno 2024, presso Camera (Centro Italiano per la Fotografia) è possibile vivere questa storia. Robert Capa e Gerda Taro ci catapultano nel loro passato e nel passato della Storia. Una Storia con S la maiuscola, una storia che fa paura e riecheggia nel nostro presente.
Il centro Camera raccoglie sempre grandi sorprese e questa è una di quelle. Una grande mostra che racconta con circa 120 fotografie il rapporto professionale e affettivo fra Robert Capa e Gerda Taro. Robert e Gerda cercano di immortalare nei loro scatti la dura vita degli anni della guerra civile spagnola. Sono due dei più grandi fotografi bellici mai esistiti. Duro lavoro, ricco di sofferenza e pericoli. Con le loro foto riescono a catturare grandi attimi di terrore e disperazione; tra questi 120 scatti, molti fanno tremare.

Una mostra che ci fa riflettere sulla guerra e soprattutto sulla sua immensa crudeltà. Ma nonostante questo Gerda e Robert invece la cercano, la vivono in prima persona, sul fronte. Non hanno paura di quello che potrebbe succedere e combattono con i soldati a colpi di scatti e flash tra i proiettili e le bombe degli avversari.

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