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Cieco sentimento

In questa composizione, Ambra Ceraldi racconta la storia d’amore tra Pierre de Ronsard e Cassandra Salviati, nata tra gli scaffali di una libreria di Blois di metà XX secolo, nell’ottica del corso di Letterature Comparate, Le forme del sonetto, le forme del tragico: da Petrarca a Shakespeare (Prof.ssa Chiara Lombardi).

Attraverso questa riscrittura ho avuto la possibilità di riscrivere il destino della coppia formata da Pierre de Ronsard e Cassandra Salviati: e se il rifiuto della donna derivasse da un’oscura profezia che minaccia la serenità dei due?

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PREMESSA

Il racconto descrive il primo incontro tra Pierre de Ronsard e Cassandre Salviati, avvenuto nel XX secolo in una libreria di Blois. La donna, però, non è solo oggetto dell’amore del poeta francese, ma mantiene anche le caratteristiche di un noto personaggio mitologico: la profetessa Cassandra, della quale narrano Omero e Virgilio. Il rifiuto di Cassandre nei confronti di De Ronsard è qui legato ad un’oscura profezia che riprende la tragica storia di Edipo Re.

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Vagava distratto tra le vie di Blois. Come ogni domenica pomeriggio, Pierre assaporava il suo pain au chocolat ancora caldo mentre pensava agli impegni della settimana successiva: documenti da catalogare, parenti a cui far visita, visite mediche che dovevano essere prenotate mesi in anticipo… programmava in maniera puntuale ogni singolo impegno mantenendo lo sguardo fisso di fronte a sé. Tutto, nella sua vita, era pianificato nei minimi dettagli, proprio come la passeggiata lungo Rue Anne de Bretagne che, da anni, rappresentava il momento conclusivo della sua settimana. Visitava il museo di Storia Naturale, lasciava qualche moneta al primo senzatetto che incontrava lungo il cammino e, infine, cercava classici che potessero arricchire la sua collezione nella libreria di Rue Saint-Lubin; era abituato a sfogliare solo le pagine dei volumi già in suo possesso per mantenere il brivido della sorpresa di quelli che, di lì a poco, avrebbe acquistato e poi letto sulla sua comoda poltrona.

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Pagliaccio non son

Carlotta Petruccioli dopo essersi laureata al Conservatorio di Torino, aver fatto parte del Coro di Voci Bianche del Teatro Regio di Torino per più di dieci anni e aver partecipato a centinaia di rappresentazioni ha sviluppato una grande passione, al limite dell’ossessione, in realtà, per l’opera lirica e per la musica in generale. Avendo la possibilità di rileggere a fondo l’Hamlet di Shakespeare e di stenderne una riscrittura, non ha resistito e ha scelto di coniugare le sue due passioni (quella musicale e quella letteraria) in quella che vuole essere una nuova interpretazione della tragedia shakespeariana alla luce dell’opera Pagliacci di Ruggero Leoncavallo.

Il lavoro è stato presentato nell’ambito del corso di Letterature Comparate, Le forme del sonetto, le forme del tragico: da Petrarca a Shakespeare (Prof.ssa Chiara Lombardi).

“Recitar! Mentre preso dal delirio| non so più quel che dico e quel che faccio!| Eppur è d’uopo…sforzati!| Bah! sei tu forse un uom?| Tu se’ Pagliaccio! (Canio, Atto I, Scena IV, n. 12a – Recitativo)”

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L’assedio

Questa riscrittura di Camilla Cattunar mira ad una rappresentazione concreta dell’interiorità di Petrarca attraverso l’impiego di personificazioni ispirate dal romanzo cavalleresco, facendo leva sul lessico bellico con cui l’autore caratterizza alcuni dei componimenti del suo Canzoniere, nell’ottica del corso di Letterature Comparate, Le forme del sonetto, le forme del tragico: da Petrarca a Shakespeare (Prof.ssa Chiara Lombardi).

“Ci troviamo nel profondo del cuore di un autore cardine nella storia della letteratura, qui egli non è solo, abbiamo modo di conoscere ciò che lo caratterizza, i suoi valori e la sua debolezza più grande. Viviamo con lui il suo dissidio, non più solo interiore ma reale, per quanto una riscrittura che si spinge fino al cuore di un uomo possa esserlo.”

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Amore, scintilla, grigiore

Nella seguente riscrittura, il rapporto tra vita e arte sembra indissolubile e la letteratura non trascurabile. Ripercorrendo tematiche presenti in alcuni sonetti di Petrarca, Michelangelo, P. de Ronsard e Shakespeare, argomento del corso di Letterature Comparate B della Professoressa Lombardi, gli stessi autori e temi vengono attualizzati con spunti maturati soprattutto in una certa letteratura dello scorso secolo, lasciando quasi l’inestricabile certezza che lo spirito vitale non possa sopravvivere in un mondo eternamente grigio e con rigide forme prestabilite che regolano la scansione quotidiana della vita umana.

Il lavoro è stato presentato da Federico Cabodi per il corso di Letterature Comparate B, Le forme del sonetto, le forme del tragico: da Petrarca a Shakespeare (Prof.ssa Chiara Lombardi).

“Nell’importuna nebbia, la monotonia sembra impedire di risvegliare un amore per la vita ormai sopito da anni. Calati in una realtà distopica dal sapore malinconico, arte e amore si intrecciano nel tentativo di sconfiggere la morte, l’appassimento dell’anima causato dal tempo”.

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A nonno

Nell’importuna nebbia, la monotonia sembra impedire di risvegliare un amore per la vita ormai sopito da anni. Calati in una realtà distopica dal sapore malinconico, arte e amore si intrecciano nel tentativo di sconfiggere la morte, l’appassimento dell’anima causato dal tempo.

Margherita camminava per una via di porfido antracite. Ormai madre e moglie, appena uscita dal suo ripetitivo ufficio, era stata travolta dalle preoccupazioni delle faccende e degli impegni da rispettare, la maggior parte neanche suoi, ma degli altri componenti della famiglia. Non pensava ad altro. Il suo passo, intanto, si faceva più veloce: arrivare in ritardo non era previsto, la sua giornata era stata pensata e organizzata nei minimi dettagli, incastrata in modo tale che un ritardo non fosse possibile; perfino eventuali imprevisti   erano programmati.

Tra il grigiore cittadino, forse quella nuvola che ora passava sopra i tetti, invece che ottenebrare, offuscare e schermare i pensieri, schiarì per un attimo la sua mente. In quel barlume istantaneo le tornò alla mente ciò che in gioventù nei banchi di scuola tanto l’aveva rapita. In un lasso impercettibile di tempo, il cuore, o forse l’anima, o forse l’amore le avevano schiuso e smosso lo scrigno che non ricordava, ma in realtà non sapeva neanche più, di possedere.

Il pensiero per quel secondo si volse ad alcuni poeti che, lei era solita dire all’epoca, l’avevano elevata, o avevano ai tempi quantomeno la capacità di farlo per qualche minuto; quando l’idea era forte, può darsi che il gelo del cuore si sfacesse persino per qualche ora e lei vivesse addirittura una giornata governata dal tepore congiunto di mente e cuore.

In particolare, quella nuvola le aveva forse fatto tornare in mente un sonetto, ormai sepolto e stratificato nella sua mente, di Petrarca in cui il poeta vagava, chissà, magari circondato da tonalità cromatiche simili a quelle che circondavano Margherita in quel momento.

Solo questo, in quel secondo. Dopo tanti anni, il suo cuore, la sua anima, il suo ‘dentro’ si erano ribellati all’assordante grigio che stava al timone della sua vit… un altro lampo, un altro sussulto del cuore, a cui però Margherita non riuscì a dare seguito né ascolto e che scivolò via per sempre. La ragione aveva riconquistato il suo trono da cui era stata spodestata per un istante.

Tuttavia, la ragione è abituata a procedere per collegamenti logici, talvolta infiniti. Perciò, nonostante l’estraniazione fosse durata un battito di ciglia, il suo cervello continuò a processare pensieri che riaffioravano dal subconscio, senza che lei nemmeno se ne accorgesse.

Questo le portò, a detta sua, un inspiegabile malumore; semplicemente un piccolo scompenso che la accompagnò per tutto il giorno: fin da subito, mentre continuava a camminare per quella via, ma anche dopo, quando stava accompagnando suo figlio al corso  di teatro, o quando, la sera, stava ascoltando suo marito parlare del lavoro e dei problemi che dovevano superare per riuscire a chiudere un accordo con una grande società. L’umore scompensato di quel giorno si spense dopo che chiuse gli occhi per dormire, nonostante, nel letto, una sorta di disappunto avesse continuato a covare in lei, anche quando stava leggendo un libro sui ruoli e comportamenti giusti da adottare in famiglia e al lavoro. La sensazione era particolare: come se qualcosa dentro di lei non combaciasse.

La mattina seguente Margherita si svegliò, e normalmente andò in cucina a preparare la colazione e a consultare l’agenda che elencava, anzi dettava e scandiva la sua giornata, che la prestava anche a faccende di cui lei non era la protagonista, ma che lei sentiva terribilmente sue. Poco importava, anzi proprio niente: il suo pensiero ormai non si soffermava più su quello, … o forse non ci si era mai soffermato, cioè che fossero pressoché identiche a quelle del giorno prima… e forse anche a quelle del giorno dopo.

Con un saluto distratto indirizzato al marito, chiuse la porta di casa. Ore 8 entrata di suo figlio Simone a scuola, ore 8.30 ufficio, lavoro.

Gianluca un giorno, quasi allo stesso modo, era in macchina, fermo a un semaforo, ai confini di una città, quella in cui lavorava da quindici, o forse sedici, anni.

Nella sua costosa macchina con il cambio automatico, frutto e compenso del suo ininterrotto lavoro di anni e anni, stava lasciando la città e imboccando l’autostrada per tornare a casa. Viveva in un paesino in provincia, può darsi che fosse stata una giovanile scelta di vita, in opposizione al trambusto cittadino, ma in quel momento probabilmente non se lo ricordava neanche più; il pensiero automatizzato l’aveva quasi sicuramente portato a pensare che viveva lì perché ci vivevano i genitori, che gli avevano destinato una piacevole villetta di fianco alla loro. Il grigio, visibile dal tettuccio della macchina, stava cedendo il passo a un colore più scuro, ma ugualmente cupo. Ormai il pomeriggio era alla fine e il crepuscolo non lasciava spazio a luci e colori, ma si chiudeva in se stesso, filtrando le tonalità scure attraverso le nuvole.

L’autoradio, automaticamente incorporata alla macchina, era sempre accesa. In realtà però Gianluca non era solito ascoltarla, come un flusso continuo le canzoni passavano ma rimanevano echi inascoltati. Piuttosto, lui era sempre abituato a essere immerso nei pensieri del lavoro, e nel viaggio d’andata e nel viaggio di ritorno, indistintamente.

I problemi erano infiniti, dall’adottare la strategia più convincente all’allargare il numero di clienti, dal rapporto di subordinazione e accondiscendenza nei confronti del capo alle scartoffie ancora da sbrigare.

Assorto tra questi pensieri, che costituivano l’assoluta priorità nella sua vita, alla radio attaccò una canzone. Bastarono le prime due note, non cantate, solo suonate, perché a Gianluca cadesse il mondo addosso. Casualmente in quel secondo le sue assillanti preoccupazioni avevano lasciato uno spiraglio alla musica. La sordità e l’immunità alle melodie erano cessate. Silenzio. Anche i pensieri si fermarono. Si insinuava in lui in quei secondi uno stato di profonda inquietudine, per lui inspiegabile.

Questo, apparentemente, travolgente sentimento fu quasi immediatamente stroncato dalla quotidianità, che tornò staticamente inamovibile e schiacciante. Tornò al pensiero di come sarebbe stata la sua giornata di lavoro all’indomani e di cosa avrebbe dovuto fare.

La canzone continuò come una semplice vecchia canzone che non sentiva da molto tempo, con un po’ di malinconia però.

Il pensiero continuo, come un filo rosso, si instillò anche in lui, anche quando la canzone finì e la trasmissione proseguì indifferentemente.

Gianluca, però, era solo, una famiglia non ce l’aveva, per ora quantomeno, anche se l’età non era più giovanissima; pertanto, a parte cosa dovesse prepararsi per cena, – le ansie del lavoro ovviamente erano immancabili e lo assillavano senza lasciarlo quasi mai per davvero- non aveva particolari urgenze.

Dunque, arrivato a casa, si accomodò sul divano e il cuore ebbe la meglio, riuscì a dar ascolto e far emergere quella controversa sensazione che aveva provato all’inizio della canzone. Le angosce del lavoro volarono via e Gianluca iniziò a indagare più a fondo come e perché quella banale canzone gli avesse scaturito un tale vorticoso vuoto dentro di sé per un istante.

Il cervello percorse a ritroso per diversi minuti la sua vita fino a giungere, fermarsi e cristallizzarsi alla sua gioventù liceale. In un baleno gli tornò alla mente un giorno, ormai completamente dimenticato e sopraffatto dalla sua quotidianità attuale, del quarto anno di liceo in cui, mentre lui e una sua vecchia compagna di classe, forse una fiamma dell’epoca, abbagliati e ricoperti dal fascino della letteratura affrontata in classe, tornavano a casa sul tram per studiare insieme Petrarca nel pomeriggio, a un signore seduto vicino a loro si accese per sbaglio la radiolina, che stava trasmettendo proprio quella canzone che ora Gianluca sapeva di aver riconosciuto prima in macchina.

Una profonda tristezza lo assalì, rimase immobile senza sapere che cosa fare. Tutta la sua giovinezza ma soprattutto le emozioni che aveva provato in quegli attimi di ormai tanti anni prima lo attraversarono e lo baciarono con un brivido che lo trapassò per tutto il corpo.

Tutto sommato però, l’appetito non si sfama né con bei pensieri né tantomeno con la nostalgia pertanto, dopo quegli intensissimi momenti, Gianluca si alzò e andò a cenare, con la televisione accesa di fronte a lui che, quantomeno, gli faceva un po’ di compagnia.

La giornata era stata lunga e molto stancante, il lavoro gli aveva prosciugato non solo tutta l’energia fisica, ma anche quella mentale, tanto da non avere più la forza di riflettere.

La sicurezza del suo lavoro, tuttavia, gli consegnava una particolare tranquillità sul fatto che prima o poi si sarebbe concesso una bella vacanza rilassante, quindi non lo preoccupava più di tanto questa sua insofferenza nel riuscire a vivere a pieno la sua interiorità.

Conclusasi la breve serata, si diresse verso la camera da letto e si addormentò immediatamente: un’altra giornata di lavoro lo attendeva.

Così, la mattina seguente si alzò, si preparò per andare a lavoro, vestendosi con un bel completo nero, e salì nella sua spaziosa macchina, diretto verso l’azienda.

Qualche settimana, o forse anche qualche mese, dopo, un’amica -una collega- di Margherita le aveva proposto di andare a teatro una sera, per svagarsi e fare qualche cosa di diverso.

Dopo qualche incertezza, Margherita accettò. In fondo si trattava di Shakespeare, uno dei suoi poeti preferiti, almeno a scuola. Non si trattava poi di una semplice rappresentazione

di uno dei suoi drammi, ma era una novità, una sorta di intreccio tra la trama portante della tragedia e alcuni famosi sonetti, che ben si abbinavano ad alcune riflessioni del poeta.

Arrivarono a teatro. Cercarono il loro posto numerato. Si sedettero.

Mentre si stavano sistemando, arrivò un uomo che aveva il posto vicino a quello di Margherita.

Il sipario si aprì, lo spettacolo cominciò. Imprigionati in quella grande sala, era impossibile per loro fuggire i pensieri, dissimulare la realtà e non guardare in faccia la verità. Il dramma proseguiva, ma gli inserti dei sonetti erano continui e non lasciavano scampo. In particolare, ciò che emergeva era la disperata volontà di Shakespeare di non finire nel nulla, ma nel cogliere l’attimo, non sprecare il tempo devastatore della vita e accogliere e valorizzare la bellezza.

La rosa della bellezza non fa in tempo a sbocciare definitivamente che sfiorisce; così la vita stava scivolando via nelle lacrime sul volto di Margherita; il suo intelletto raziocinante non era più riuscito a bloccare sistematicamente il flusso di coscienza come in quel pomeriggio di qualche tempo prima. L’anima si schiuse e i pensieri di allora si riallacciarono a quelli che, nell’epifania di quel giorno, erano stati solo accenni, tracce di un cuore che da tempo stava pulsando sempre più forte per emergere.

I pensieri continuavano a sopraggiungere uno dopo l’altro e nel frattempo la consapevolezza di sé cresceva, fino a diventare insopportabile e insormontabile.

In quell’istante, con un gesto istintivo, come per voler distogliere l’attenzione da quello spettacolo che la stava letteralmente travolgendo e attenuare la tensione, si girò, smettendo per un attimo di guardare il palcoscenico, dirigendo lo sguardo verso destra, dove era seduto l’uomo che aveva notato prima.

Lo guardò, lui se ne accorse e fece lo stesso e, non appena Margherita vide le stesse lacrime anche sul suo volto, i due si riconobbero a vicenda: quell’uomo era Gianluca.

Forse questa messinscena aveva toccato quelle loro corde che, ai tempi del liceo, vibravano all’unisono nei momenti così densi di pathos, indubbiamente aveva risvegliato i loro sensi assuefatti. Gianluca e Margherita continuarono a guardarsi negli occhi e in quel frammento, con un’espressione di struggimento unita a un sorriso accennato, compresero che, ognun per sé, non erano riusciti a dar forma alla propria vita, proprio come Michelangelo, in uno dei suoi sonetti, temeva di non riuscire a dar la giusta forma al marmo.

Nel presente articolo, Sofia Ranca (Università degli Studi di Torino) analizza e indaga la scrittura del sé nell’opera del premio Nobel Jean-Marie Gustave Le Clézio

(Settembre 2023)

Davanti allo specchio tropo bianco della pagina vuota

Davanti allo specchio troppo bianco della pagina vuota, sotto il paralume che diffonde una luce segreta
(Jean-Marie Gustave Le Clézio)

Introduzione

Il Dio della Bibbia è un Dio che parla, un Dio che incarna la parola. L’incipit del vangelo di Giovanni lo sottolinea con forza quando afferma che «in principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio»[1]. La legge del Dio giudaico è infatti la Legge della Parola che illumina il caos originario dell’indifferenziato, e dona vita al creato:

Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu[2].

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