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Ulysses-Pericles

Linda Dellacroce, in questa sua composizione, riscrive in un’inedita prospettiva il Pericles shakespeariano nell’ottica del corso I drammi romanzeschi di Shakespeare I: Pericle e Cimbelino. Fonti e motivi, Letterature comparate B, mod. 1, prof.ssa Chiara Lombardi.

Pericle è naufragato a Pentapoli e nella desolazione della sua condizione un flusso di coscienza (sul modello dello stream of consciousness joyciano) lo porta a rivivere le scene terribili della notte passata. Sopraggiungono tre pescatori che lo informano dell’esistenza della corte del re Simonide e del torneo indetto per scegliere lo sposo della figlia; improvvisamente trovano impigliata nelle loro reti l’armatura che il padre di Pericle gli aveva lasciato in eredità prima di morire. 

*

Whooosh. Whiiiish. Giù e su giù e su poppa prua poppa prua, whoooshh. Il vento era proprio forte. Avrei potuto cadere da un momento all’altro e via di nuovo con un’altra onda, whooooshh. E c’erano anche delle altre persone con me, dove sono finiti tutti? Due persone. No, quanti erano? Forse tre. No due, ne vedo due, boh non so non so dove sono.

Pelliccia, Pezzalculo, hanno poi dei nomi strani, mamma mia che onde alte che c’erano. Le stelle non si vedevano più. Da piccolo mi piaceva guardare le stelle, cercavo sempre Orione. Che poi davvero sarà stata una cintura? La mia cintura se l’è mangiata la focena. Ah magari loro la trovano la focena, hanno una rete bella grossa, ma poi cosa me ne frega a me per me posso anche morire tanto a Tarso mica ci arrivo più, però sento delle voci boh avrò le allucinazioni whooosh whiiiiish whoooosh non ci sento più c’era troppo rumore con quelle onde.

Cos’è che dicono? Che le balene stanno sulla terraferma? Si mangiano le parrocchie? Io non me le mangerei le parrocchie devono essere indigeste con tutti quei mattoni e quei libri e quegli organi però gli organi hanno proprio un bel suono, ci assomiglia un po’ alle onde, erano assordanti come l’organo. Se voglio starmene qua devo pure trovarmi qualcosa da fare sto a sentire questi che dicono che mi sembra divertente stanno mettendo insieme i sacrestani con i pesci però anche di pesci stanotte mi sembrava di vederne tanti, in tutto quel whiiiish whoooosh, la focena che mi ha mangiato la cintura no però di balene manco sembravano pesci fatti d’acqua o era l’acqua sulla prua o era il mare sulla poppa o ero io dentro il mare? Non so adesso dicono dindondan come fanno le campane, e Simonide. Simone? No no ho sentito bene, boh chissà sarà il nome di un pesce. Mi sembra gente che di pesci ne ha visti tanti chissà quanti ne pescano in quelle reti, però io Simonide un pesce ecco io non lo chiamerei mai, tanto non ci puoi neanche parlare col pesce che senso ha dargli il nome.

Non ho ancora capito se parlano a metafore o cosa, cos’era già la metafora? Ah sì giusto, i capelli di grano, il mare di pece, che poi di solito mica è vero il mare non è così però ieri sera whiiiish whoooosh sembrava una metafora adatta. Questi qui poi Pelliccia Pezzalculo come si chiamano stanno dicendo cose sensate vedono solo i pesci tutto il giorno però c’hanno poi ragione che le balene sono anche sulla terra. Ma quasi quasi gli parlo tanto cosa mi cambia per stare qui a crepare solo posso crepare di fianco a loro magari mi buttano in mare insieme ai pesci così poi faccio whiiiish whooosh insieme alle onde e vado a riprendere la cintura.

Cos’è? Il mare è ubriaco? Sì può anche darsi visto che mi ha vomitato qui. Non sarò stato facile da digerire, mi è successa una volta la stessa cosa però avevo mangiato anche trenta pasticcini che buoni che erano ce n’era uno che me lo ricordo come fosse ieri aveva tutto quello che poteva esserci su un pasticcino era proprio un pasticcino al quadrato al cubo il pasticcino dell’Iperuranio dei pasticcini ne vorrei proprio uno adesso non so da quanto non mangio ho freddo ho fame aiutatemi.

Grazie del mantello è proprio caldo adesso sto già meglio cos’è? carne pesce sanguinaccio frittelle? Sono ospitali davvero tanto questi Pelliccia Pezzalculo e l’altro che non ha un nome ah forse è lui quello con il pesce che si chiama Simonide. Tornano in mare con le reti ma chissà che sperano di pigliare che il mare si è già mangiato tutto lui stanotte e ha vomitato gli scarti però questo qui adesso si è messo a chiamare il suo pesce ah no forse no, cos’è? Persepoli? Costantinopoli? Ah no Pentapoli. E il pesce che c’entra? Ah no è un re ora torna tutto ecco perché mi sembrava proprio strano che fosse il nome di un pesce bel nome Simonide anch’io mi chiamerei così se fossi un re. Simonide di Pentapoli e io sono Pericle di niente perché il mio regno chissà dov’è chissà se c’è ancora sarà sparito pure lui sotto tutto quel whiiiish whoooosh meglio per me che mi faccio amici sti pigliapesci che almeno loro sanno pescare sennò qua mi resta solo da mangiare la sabbia. Però ecco una visita a Simonide potrei anche farla quanto ci si mette a piedi? Mezza giornata? Deve essere poi grande sto regno per l’amor di Dio a me sembra una spiaggia senza nessuno invece ecco c’è pure un re sono stato fortunato nella sfortuna come si dice la speranza è l’ultima a morire. Cosa dice? Un’amabile figlia? Allora la forza nelle gambe posso pure trovarla per vedere la bella principessa sarà poi bella davvero ma sì tutte le principesse sono belle e faccio pure il torneo e la sposo così ritorno ad essere Pericle di qualcosa Pericle di Pentapoli mica male c’è pure l’allitterazione spero che lei si chiami Penelope così facciamo proprio una coppia perfetta sarebbe un nome perfetto Penelope come quella di Ulisse, così io sono Ulisse e lei Penelope e anche Ulisse ora che ci penso aveva viaggiato per mare ed era naufragato due tre volte anche di più boh chi si ricorda però alla fine a casa ci era tornato e Penelope c’era ancora magari vuoi vedere che non muoio? Speriamo proprio si chiami Penelope sennò non importa io nemmeno mi chiamo Ulisse ma sono Ulisse lo stesso. Oh ma quelli hanno preso un pesce bello grosso, vuoi vedere che è la focena che si è mangiata la mia cintura? Non le ho mai viste le focene non so manco che forma abbiano però ecco le squame di ferro devono essere belle dure da digerire non credo che ne mangerò mai una guarda come brilla al sole ci faranno i soldi con quella roba lì anche se non è che sembri proprio un pesce sembra un’armatura un’armatura sì ma è proprio quello che mi serve per vincere il torneo e tornare con la mia Penelope. Mi spiace per i pigliapesci che non potranno mangiarsi niente stasera però in compenso hanno il sanguinaccio io ho la corazza è quella di mio padre la riconosco, beato sia tu Pelliccia o Pezzalculo o come ti chiamavi che l’hai trovata in fondo al mare chissà se il mare di pece ha vomitato pure quella insieme a me dopo tutta l’indigestione e il whiiiish whoooosh di stanotte l’hanno portata via a lui e adesso la riportano a me questa sì che si chiama provvidenza. Così sembro davvero Ulisse che combatte contro la sorte, sorte avversa maledetta che non vuoi farmi trovare la mia Itaca ma il mare che mi ha odiato stanotte adesso mi ama e mi aiuta e cavalcherò il cavallo e sconfiggerò tutti e mangerò al banchetto tutti i sanguinacci che si mangeranno questi pigliapesci qui.

Le onde, le onde, le onde. Whiiiish Whoooosh. E un’altra onda ancora, ma ora mi rialzo.

L’affittacamere

Alessandro Maria Flavio, in questa sua composizione, riscrive in un’inedita prospettiva il Pericles shakespeariano, nell’ottica del corso I drammi romanzeschi di Shakespeare I: Pericle e Cimbelino. Fonti e motivi, Letterature comparate B, mod. 1, prof.ssa Chiara Lombardi.

Il ragno indietreggiò, raggomitolandosi su se stesso, poi, quando la tela smise di vibrare, ne collegò i fili spezzati.

*

Il passo successivo andava pianificato con cura, lo suggeriva l’esperienza. Anni e anni di duro lavoro gli avevano consentito la creazione di un sistema complesso fatto di collaboratori, false promesse, strizzatine d’occhio provate e riprovate allo specchio, cavilli contrattuali sfuggiti a occhi ingenui. Ora, sotto la pioggia battente di un comunissimo mercoledì sera, si sentiva calmo e fiducioso. L’inquilino lo aveva accolto da signore: stretta di mano, “lei”, bicchiere di vino, casa linda. Si era aggirato nelle stanze con il suo timoroso accompagnatore, portandosi alla bocca il calice che reggeva con la mano a coppa. Niente di cui preoccuparsi, una macchia qui, una là. Non sono un decoratore, premetto, ma a occhio non credo ci voglia una fortuna. Avrebbe pensato a tutto lui, ma no, che grazie. Ci mancherebbe.

Salì in macchina e attivò i tergicristalli; tolse il portafogli dalla tasca posteriore dei pantaloni e lo lanciò sul sedile del passeggero. L’acqua scorreva sul vetro dell’auto, vi fu un lampo. Il bagliore illuminò un oggetto che fino ad allora non aveva considerato, un cioccolatino dall’involucro violaceo. Lo recuperò con fatica dal fondo di un vano portamonete, lo mangiò e, mentre si sfaldava nella sua bocca, accese la luce sopra il cruscotto così da stirare l’involucro e leggere al suo interno: non hai amato troppo, ma hai scelto male.

Appena entrato in casa, si buttò sotto il getto caldo e vaporoso della doccia. Chiamerò il decoratore e pianificheremo uno spettacolo di tutto rispetto, ma prima devo individuare un dettaglio rilevante che lo metta all’angolo, ma quale, quale. Alzò la temperatura dell’acqua e rilassò i muscoli delle spalle, massaggiandosi il collo. Con la coda dell’occhio colse qualcosa nell’angolo della cabina, un ragno verdognolo zampettava all’interno della sua tela, avvicinandosi. Ehi dico a te, disse, deviando qualche goccia in direzione dell’animale con una manata. Vivi qui da settimane, ma la casa è mia. Non sarai mica velenoso! Il ragno indietreggiò, raggomitolandosi su se stesso, poi, quando la tela smise di vibrare, ne collegò i fili spezzati.

Ma certo, il fumo! Guarda come si è appannato lo specchio per il vapore, lo stesso si potrà dire delle pareti che, in alcune zone, illuminate come sono, sembrano gialle. Due volte sono andato, due volte il posacenere era stracolmo; dall’odore fuma in casa. Sentì lo scatto della serratura, piedi che strisciavano sullo zerbino: sua moglie. Ripose l’ombrello fradicio ai piedi dell’appendiabiti e sospirò, sollevata. Hai visto là fuori? Una tempesta! Come no, ero nell’altro appartamento fino a mezz’ora fa. E hai appiccato un incendio per riscaldarti. C’è fumo. Sia benedetto, tesoro. Chiuse la porta del bagno e si asciugò i capelli; alle sue spalle, il ragno tesseva.

Ordinarono del cibo indiano, nessuno voleva cucinare. Ascoltarono un giornalista di un’emittente locale dire che la pioggia non sarebbe cessata nemmeno l’indomani. Allerta rossa, rischio alluvione. Un’anziana fuori col cane, dopo esser scivolata sull’asfalto bagnato, era stata strozzata dal grosso animale che, correndo a cercare aiuto, l’aveva accalappiata col guinzaglio, portandola con sé per diversi metri. Vorrei farti conoscere quel mio nuovo collega di cui ti parlavo l’altro giorno, buffo come pochi. Oggi mi ha accompagnata a casa. Perché no, certo. Se hai bisogno di uno strappo comunque chiama. Mi annoio in casa da solo. Sarei anche venuta a piedi, ma passando in macchina mi ha vista e ha iniziato a seguirmi a passo d’uomo. Signorina, diceva, le si scioglie il trucco se continua così. Penseranno che le è successo qualcosa di grave. Signorina, ma che fa, ride?

La interruppe, facendole segno che voleva ascoltare le notizie. Inforcò un pezzo di pollo e lo immerse in una pozza di salsa piccante a margine del piatto. Pioggia, pioggia, pioggia, ancora pioggia. Prese il telefono e scrisse al decoratore: l’indomani lo avrebbe accompagnato all’appuntamento, senza entrare: il confronto doveva essere tra uno specialista e un principiante, nessun intermediario. Poi chiamò la domestica e le chiese di dare una pulita alla casa, sempre l’indomani.

Si svegliò di buon ora, ma il letto era vuoto. In cucina, arrotolato nell’impugnatura della sua tazza c’era un biglietto: cinema stasera? Scrisse un messaggio di scuse, non sapeva a che ora avrebbe finito con l’inquilino: l’appuntamento era in serata. Passò gran parte della giornata alla finestra, osservando la pioggia cadere nelle strade. La canaletta del giardino era allagata. Si puntò tre dita sullo sterno, lo sentiva oppresso. Calzò gli stivali di gomma, recuperò lo sturalavandini nell’armadio in dispensa e uscì sotto il diluvio. Lo strumento si rivelò inutile, fu necessario rimuovere fango e foglie a mano. Voleva farle una sorpresa: piombare in ufficio, caricarla in macchina, correre alla galleria d’arte di fianco al municipio, farle scegliere un quadro, comprarlo, e andare al cinema come da programma. Voleva anche dare un’occhiata al collega. Rientrò in casa e andò in bagno ad asciugarsi; alle sue spalle, il ragno tesseva.

Sotto l’appartamento, ripassò il canovaccio con il decoratore. I volti dei due uomini comparivano e scomparivano al ritmo meccanico dei tergicristalli, che la pioggia superava. Bene, vai.

L’inquilino gli mostrò le macchie individuate dal padrone di casa, una ad una, e chiese un preventivo. Il decoratore spiegò che, se avesse dato il bianco solo in quei punti, la differenza con il resto delle pareti sarebbe stata considerevole. Gli indicò una parete della camera da letto, per te è bianco questo? Crema, forse, ma bianco no di certo. Se avesse voluto gli avrebbe coperto solo le macchie, ma sarebbe stato evidente. Fare un lavoro del genere e presentarlo come proprio non gli avrebbe certo dato credito. Fece un passo verso il centro della stanza e osservò stringendo gli occhi la giuntura tra il soffitto e una parete adiacente. Fumi, vero? Guarda quella zona, è gialla. Fumando in stanza, c’era poco da stupirsi. Inoltre la clausola del suo contratto imponeva che la stanza venisse lasciata come era stata trovata, giusto? L’inquilino assentì. Effettivamente la zona individuata dal decoratore era gialla. E sia, allora. La ringrazio.

Si spartirono i soldi in auto, mentre cercava di raggiungere l’ufficio di sua moglie a una velocità ampiamente punibile per legge. Lasciò il decoratore all’incrocio a lui più comodo e proseguì. Per strada nemmeno un’anima, tombini e grondaie rigurgitavano acqua e detriti dalle bocche sdentate. Parcheggiò sul marciapiedi, giacca tesa sul capo salì le scale del palazzo. Venne fermato dall’usciere: chi era, chi cercava? Gli uffici erano semideserti, il personale addetto alle pulizie lustrava i pavimenti. Chiese di sua moglie e l’usciere riferì: uscita con quello nuovo. Non hai amato troppo, ma hai scelto male, pensò. Controllò il telefono e trovò un suo messaggio, diceva di far con calma, sarebbe andata al cinema comunque. Come poteva essere così sfacciata? Provò a chiamarla ma non rispose. Sbottonò il colletto della camicia e compose il numero di casa. Quando il telefono squillò, la domestica stava spolverando un mobile di fronte all’ingresso del bagno. La signorina? Oh, mi scusi, signora. È passata poco fa con un collega, pesavano cento chili l’uno gonfi d’acqua com’erano. Andati al cinema, quale non si sapeva; interruppe bruscamente la conversazione, la palpebra destra gli tremava. Portare l’amante in casa mentre il marito era assente, dargli la sua biancheria. La domestica stette in ascolto ancora qualche secondo; alle sue spalle, il ragno tesseva.

Passò la serata nell’unico bar aperto, quello della stazione. Aveva bevuto quanto mai in vita sua, ma prese piena coscienza del tasso alcolico che aveva in corpo solo quando si alzò per pagare. Alla cassa, malgrado biascicasse nomi e parole irripetibili, lo guardarono rispettosamente quando aprì il portafoglio e disse rivolto al titolare: non ho amato troppo, ma ho scelto male.

Avevano spento i lampioni. Sebbene a ogni passo rischiasse di rimanere vittima dei tipici ostacoli da marciapiede quali semafori, pali della luce, piastrelle sconnesse, fantasiosi escrementi, si reputava vicino al parcheggio delle auto quando, abbracciando una transenna o renna vista all’ultimo, il portafoglio schizzò via dalla sua tasca e con un glorioso ciaf si immerse in un tombino aperto. Si accucciò, raspando alla cieca nell’acqua torbida, sempre più in profondità, fece leva con le gambe e vi si catapultò dentro, nuotando a rana con gli arti superiori e finalmente, col fiato corto, sentì di averlo preso, ma era incastrato ora, non riusciva a tirare fuori il bacino, quasi l’ingresso si fosse rimpicciolito, strinse le labbra livide e spinse più che poté, senza successo. Le gambe rigide e storte dell’uomo si immobilizzarono di colpo, rami spezzati.

Pochi minuti più tardi, la domestica vide sua moglie scendere da un auto e salutare il collega. Al prossimo film, garantì lei, sarebbero stati in tre senz’altro. Lentamente, senza essere visto, un ragno aggirò la sottana della domestica e si dileguò nel buio sottoscala. Quanta polvere e quante ragnatele in questa casa, signora!

Tg interviste Italia S07E01, Stagione 7 prima puntata completa

Giuseppina Santoro, in questa sua composizione, riscrive in un’inedita prospettiva il Pericles shakespeariano, nell’ottica del corso I drammi romanzeschi di Shakespeare I: Pericle e Cimbelino. Fonti e motivi, Letterature comparate B, mod. 1, prof.ssa Chiara Lombardi.

La mia riscrittura offre uno spunto per una rappresentazione teatrale sotto forma di intervista su stampo moderno e tecnologico anche attraverso l’uso del linguaggio e degli strumenti tecnologici del personaggio shakespeariano Pericle, principe di Tiro. Ricorrenti anche inserti tratti da Cibelino e dalla Tempesta.

*

Intervistatore
Buonasera cari telespettatori e benvenuti ad un’altra puntata del TG interviste. Oggi con noi in studio un ospite molto speciale; facciamo un caloroso applauso a Pericles il principe di Tiro.

[Applausi incontenibili accompagnati da fischi e schiamazzi accompagnano l’ingresso dell’uomo].

Pericle
Buonasera a tutti miei cari [Saluta il pubblico agitando la mano per aria].

Intervistatore
Buonasera Pericle. Come è andato il viaggio? Ti trovo in forma [Stringe la mano all’ospite].

Pericle
Sempre più è faticoso per me varcare il confine del mondo eterno e scendere nel mondo di voi mortali e nonostante le mie imprese eroiche per terra e per mare, il mio vecchio cuore mostra sempre più i segni dell’affanno. [Tossisce].

[I due si scambiano pacche sulle spalle. L’intervistatore gli fa cenno di accomodarsi alla postazione e consulta il block notes che tiene tra le mani].

Intervistatore
Pericle do you prefer to speak in English?

[L’ospite ride sotto i baffi].

Pericle
Negli anni il mio intelletto si è arricchito di idiomi, favorito anche dalle traduzioni della narrazione delle mie gesta. Ti è dunque consentito l’uso dell’italiano.

Intervistatore
Ti ringrazio, non me la cavo molto bene con le lingue. Inizio subito a porti la prima domanda: dopo la scoperta dell’incesto tra Antioco e sua figlia, quale è stata tua reazione?

Pericle
La prima volta che i miei occhi ebbero la possibilità di ammirare la bellezza di questa donna, ella mi apparve abbigliata come la Primavera, tanto bella da donare luce a tutte le creature che la circondavano. Gli dei, al momento della mia nascita, decisero di fare di me un uomo ed in quanto tale pregai loro affiche io potessi baciare tale bellezza sconfinata. La mia preghiera di certo non si fermò dinnanzi alla verità, seppur cruda e violenta questa colpì il mio cuore, io ero pronto a qualsiasi rischio. Al mio destino non fu data altra scelta se non quella della fuga così mi imbarcai ed affrontai il grande pericolo del mare. Presto il mio viaggio fu interrotto dalla tempesta, un vento impetuoso ruppe le vele dell’imbarcazione. Questa si distrusse e mi ritrovai tra tuoni e abissi. La potenza delle onde mi trascinò da costa in costa finché la Fortuna mi gettò sulla riva di Pentapoli e…

[L’intervistatore lo interrompe].

Intervistatore
Facendo confusione tra le scartoffie che ha in mano]. Bene bene stiamo perdendo le fila del discorso. Ecco la seconda domanda è questa: in che modo sei riuscito a superare le dure prove del Re Simonide e a prendere in sposa Taisa? Immagino ti sarai allenato per parecchio tempo per prevalere su ben cinque dei più forti cavalieri del tempo.

Pericle
La speranza fu la prima a guidarmi e la Fortuna l’ultima ad abbandonarmi. Questa mi permise di trovare un’armatura indistruttibile per mare; elmo, scudo, schinieri, pettorali e corazza. Mi sentii invincibile, e così fu. Sposai Taisa. La mia mente però celava ancora in segreto il ricordo della donna più bella di una dea dalla però fui costretto a fuggire. La Fortuna ancora una volta mi fu vicina, l’eros tra me e Taisa arse dopo una sola notte di fuoco.

Intervistatore
Mio caro Pericle, il primo amore non si scorda mai! Tutti i tuoi fan sono a conoscenza di ciò che viene dopo e, anche se sarà doloroso per te parlarne, e per questo abbiamo preparato dei fazzoletti proprio lì, ti chiedo di parlarci della perdita di tua moglie, seppur apparente.

[Pericle accenna un mesto sorriso, prende in mano preventivamente un fazzoletto e fa un grosso respiro. Lentamente ripercorre i ricordi].

Pericle
O Taisa, la donna della mia vita, l’unica per la quale fui “Puro e disposto a salire a le stelle” venne così strappata dalle mie braccia. Il tempo, fugace nemico, non fu dalla mia parte e non ci permise di vivere una vita serena.  Quanto dolore riporti alla mia memoria e quanta infelicità al mio vecchio cuore. [Toglie gli occhiali, si passa una mano sugli occhi e si soffia il naso]. Quell’orrida tempesta fu la causa non soltanto della morte di mia moglie ma anche della mia. Nulla più fu motivo di felicità per me e le parole di bocca non mi uscirono più. Conobbi un monaco che mi convinse a seguirlo e così feci. Il cappuccio della tonaca mi copriva il volto e gli occhi; vedevo buio come la mia amata sul fondo del mare…

[Il pubblico è in lacrime. L’intervistatore trattiene il respiro per non emozionarsi e si morde la lingua. Getta sotto la poltrona la lista delle domande preparatosi].

Intervistatore
Ti dispiacerebbe continuare a raccontare la storia, Pericle?

[Pericle si sistema sulla poltrona e accenna un freddo sorriso].

Pericle
La cassa nella quale si trovava Taisa galleggiò sul mare per tre giorni e tre notti finché non approdò sulle coste di un’isola. Ancora i miei pensieri sono incerti sul nome di questa, nel mediterraneo, tra Italia e Tunisia, ma chi aprì la cassa e riportò in vita mia moglie mi fu subito chiaro; Prospero il suo nome. Colui di cui vi parlo è il sommo mago; incantesimi, trucchi cui è impossibile disobbedire ed altre maleficenze del mestiere sono la sua specialità, egli è dotato perfino dalla capacità di evocare le anime. Panni e fuoco ci vollero per risvegliare la mia Taisa, aria, musica rozza e lamentosa, tanta. In questo modo Prospero riuscì a risvegliarla dal suo sonno mortale e di ciò io gli sarò eternamente riconoscente.

Intervistatore
Sono sicuro sia un tuo ottimo amico. Dunque dopo aver commosso l’intera sala facciamo tutti un grande applauso al nostro ospite [Applausi acclamanti]. Adesso posso finalmente dirtelo Pericle, fremo dalla voglia da quando sei entrato. Abbiamo preparato per te una sorpresa che ti lascerà a bocca aperta, te lo assicuro. Chiudi gli occhi e riaprili solo quando te lo dico io e, mi raccomando, non sbirciare!

[Pericle si copre gli occhi con le mani, una poltrona viene sistemata tra i due uomini e Marina viene fatta entrare in punta di piedi].

Intervistatore
Adesso puoi aprire gli occhi!

Pericle
For God’s sake! Long time no see! Vieni tra le braccia di tuo padre e mostrami la tua bellezza. Mia cara figlia, sangue del mio sangue, guardati, sei una donna ormai!

Marina
Caro padre troppo tempo è passato dall’ultimo nostro incontro nell’oltretomba.

Intervistatore
Quanta bellezza in studio! Quante emozioni ci regala questa famiglia! Marina chiedo a te adesso, spiegheresti al pubblico il significato del tuo nome?

Marina
Come immagino già sappiate la mia nascita avvenne in mare durante un naufragio nel quale mia madre perse la vita. Io riuscii a sopravvivere e mio padre [Stringe la mano del padre] mi diede in dono questo nome. Io appartengo al mare. Il mio nome nasconde delle caratteristiche del mio essere; sensuale, passionale, energica e sensibile son io.

Intervistatore
Riprendiamo adesso con momenti tragici e crudi mia cara, racconta al pubblico in che modo sei riuscita a non farti possedere in quel bordello nel quale ti mandò Dionisa, invidiosa della tua bellezza.

Marina
Oh quel posto, che orrore, che atrocità! Dell mia bellezza vollero approfittarsi e vendere il mio corpo a degli uomini! Rendo grazie agli Dei, a mia madre e a mio padre per avermi concesso l’abilità della danza e del canto. Cantai come un immortale e danzai simile a una dea sulle sue ammirate melodie. Queste arti ammutolirono chiunque io avessi dinanzi e nessuno mai ha osato poggiare dito sul mio corpo.

Pericle
Che ripugnanza, figlia mia!

Marina
E’ vero padre, ciò che non uccide fortifica ed io adesso mi sento invincibile.

Intervistatore
Accidenti io amo i happy ending! Concludiamo questa bellissima ed emozionante puntata del tg interviste con un’ultima domanda a te, Pericle. Ti chiedo di farci commuovere un’ultima volto con un altro tuo racconto ovvero quello dell’incontro con tua figlia e tua moglie…ah quasi dimenticavo, ragazzi dello staff, facciamo entrare l’altra sorpresa!

[Lo staff sistema un’altra poltrona e fa partire la sigla].

[Entra Taisa]

Intervistatore
Tale madre tale figlia. Buonasera Taisa sei splendida! Accomodati pure.

[Taisa abbraccia Marina e Pericle e si siede].

Pericle
Fu il giorno più bello della mia vita. Non potetti credere alle mie orecchie quando sentii quel canto proveniente dalla sua bocca. In un primo momento non capii bene chi io avessi dinnanzi, poi tutto mi fu chiaro. A partire dal suo nome, Marina, alla sua storia della nascita in mare compresi che la fanciulla che mi stava difronte era la mia amata figlia. Rinacqui. Come Taisa fu salvata dal mago anche io ripresi a respirare, il cuore rinsanì d’un colpo e le mie labbra, dopo tanto tempo, formarono un arco che rassomigliava ad un sorriso. Piansi. Piansi di gioia e di dolore. Si risvegliò in me la consapevolezza di ciò che ero, Re, e come tale ripresi a comportarmi.

Intervistatore
Che fortuna avervi avuto in studio oggi. È stato un enorme piacere per me. Vi chiedo di scattare una foto in ricordo di questo bel incontro da appendere alla “bacheca ospiti”. Venite, stringiamoci.

[Un ragazzo dello staff scatta la foto. L’intervistatore dà la mano agli ospiti e li abbraccia calorosamente].

Intervistatore
Arrivederci miei cari e buon ritorno, mi raccomando Pericle, attento al cuore, non ti affaticare! Sssssssigla!

[Escono].

Il racconto ad Alcinòo: l’avventura del Ciclope

Viola Bossolasco, in questa sua composizione, riscrive in un’inedita prospettiva l’Odissea omerica, nell’ottica del corso I drammi romanzeschi di Shakespeare I/II, Letterature comparate B, mod. 1 e 2, prof.ssa Chiara Lombardi.

Questo fumetto propone in chiave ironica il libro nono dell’Odissea: Ulisse e i suoi compagni arrivano nell’isola dei ciclopi dove incontrano il buffo Polifemo.

*

Edge

Matilde Penta, in questa sua composizione, riscrive in un’inedita prospettiva i quattro drammi romanzeschi di Shakespeare, nell’ottica dei corsi I drammi romanzeschi di Shakespeare I e II: Pericle, Cimbelino, Il racconto d’inverno e la Tempesta, Letterature Comparate B, modd. 1 e 2, prof. ssa Chiara Lombardi.

Sembrava una normale notte estiva, quando il sonno inquieto di William venne spezzato: una voce imperativa, una visita inaspettata, due dame, la luna e il semplice timore del domani.

*

Will… Will…” un brusio confuso e indistinto echeggiava nel buio delle palpebre. William si rigirava nel letto: il sonno irrequieto, la fronte imperlata di sudore, le lenzuola avvinghiate all’esile corpo come serpi, i pugni stretti lungo i fianchi. Will… Will… il pallore lunare tappezzava la stanza, un flebile sospiro s’infilava dalla finestra rimasta socchiusa, le candide tende sventolavano debolmente disegnando forme sinuose come fantasmi. Will… Will… il ticchettio del pendolo sembrava rallentare, il tempo si assopiva.

Fra le mille voci se ne levò una, limpida e imperativa: Will! L’uomo si tirò a sedere sul letto con uno scatto fulmineo. Il petto si sollevava e abbassava a una velocità insolita, gli occhi stropicciati si misero ad indagare l’oscurità, alla intimorita ma curiosa ricerca della fonte del suo brusco risveglio. La stanza sembrava non essere diversa da come l’aveva vista prima di lasciarsi scaldare dall’abbraccio di Morfeo eppure aveva come la sensazione di non essere solo.

“Sono desolata di aver disturbato il vostro sogno, caro” quella stessa voce ora suonava più chiara, calda e vicina.

“Chi è là?” sentenziò Will con la voce ancora spezzata dal sonno, ma inspiegabilmente serena.

“Non lasciate che il canto della notte faccia naufragare la vostra memoria, non mi riconoscete?”

William ancora non era in grado di dire con precisione da dove venisse quella voce, ma non gli era del tutto nuova.

“Se mi concedeste la grazia di mostrarvi a me vi libererei dallo scomodo ufficio di presentarvi” disse spingendosi al fondo del letto. Tentò di fendere le tenebre aguzzando la vista verso il camino, dove il fuoco ormai ridotto a un fioco bagliore rossastro sepolto sotto la cenere illuminava solo le gambe della vecchia poltrona di velluto, ma non solo. Strinse le palpebre e finalmente riuscì a tracciare i contorni di una figura. Sulla poltrona stava comodamente seduta una fanciulla.

Nonostante la sua giovane età, sedeva con la compostezza di una dama, con le mani giunte in grembo e le spalle dritte. Eppure c’era qualcosa di particolare nella sua figura, qualcosa che sembrava darle un’aurea d’impalpabilità.

La ragazza sollevò lo sguardo e lo intrecciò a quello di Will. Un raggio di luna non solo le incorniciò la parte sinistra del volto, ma la attraversò come un dardo.

“Rivelatevi a me, siete forse un fantasma?” domandò senza lasciarsi scomporre dalle parole che aveva appena pronunciato.

“Non temete caro, non sono qui per affidarti alcuna vendetta. Guardatemi con attenzione, piuttosto. Orsù, non mi riconoscete? Eppure è stato il vostro intelletto a darmi questo aspetto”.

William scese dal letto con passo delicato: il legno sconnesso scricchiolò sotto il suo peso. D’un tratto si sentì fastidiosamente pesante. Avvicinandosi prese a scrutare quel volto con chirurgica attenzione: quei lineamenti giovanili, quegli occhi svegli, quel sorriso savio. Capì.

“Mia cara, l’invidiosa notte mi velò gli occhi e vi nascose al mio animo” si sedette sulla poltrona dirimpetto. Si sentiva a disagio così sciupato, con il pigiama stropicciato e i capelli arruffati, dinanzi a quella figura così regalmente composta.

“Non tediatevi, bensì ascoltate le mie parole e prestate attenzione.” la fanciulla sistemò l’unica piega del lungo abito “Lasciare le spiagge di Tarso è un dolore tollerabile finché il sole non ne sfiora i tetti. La ragione che mi spinge sin qui ha un nome e un volto.”

Will si strofinò gli occhi, non perché faticasse a credere a ciò che vedeva, ma per tentare di assumere quel contegno che tanto lo assillava “Qualcuno vuole il mio male? Non ho arrecato torto a nessuno!” tentava di occultare quella scintilla di nervosismo che gli solleticava le spalle.

“Così credete, mio caro.” sorrise, sembrava divertita dall’inquietudine di Will “Ormai sarà alle vostre porte”

“Chi, saggia Marina, chi fa tuonare le mie porte nel cuore della notte? Sciogli il timore che mi attanaglia il cuore, non fare mistero della mia sorte” Will strinse con forza i braccioli della logora e polverosa poltrona, fissò gli occhi sgranati sullo spettro, immersa nel buio solo per metà.

“Una delle tue figlie, delle tue dame, delle tue chimere, stanche di nascere e morire ogni notte per i capricci di altri, viene a pregarti di impugnare il tuo tagliente ferro un’altra volta e di darle una vita nuova.”

La pacatezza di Marina tradiva il senso delle sue parole. Il cuore di William avrebbe dovuto tremare, ma fremeva, impaziente.

D’improvviso un rumore sordo lo fece sobbalzare. Il suo cuore ebbe un sussulto, si voltò di scatto e un tenero sorriso gli increspò le guance.

Una fanciulla, dalla stessa evanescenza pallida di Marina, stava accovacciata con il braccio teso. Raccolse il piccolo volume che le era goffamente sfuggito dalle mani e si alzò. Con la testa ancora china sollevò i lembi dell’abito dai contorni indefiniti rivelando i piccoli piedi scalzi e accennò un composto inchino ai due. Quando alzò lo sguardo su Will, l’uomo provò nei suoi confronti un amore quasi paterno.

“Perdonate, Milord, il tremore dei polsi”. Rimase lì, in piedi nel mezzo della stanza, come attendendo il permesso di Marina. Quando questa le accennò un segno col capo, la fanciulla andò a sedersi ai piedi della sua poltrona. I lunghi capelli legati in una morbida acconciatura e cadevano sulle spalle come onde rubate a quel mare che tanto bene conosceva.

Con il libro stretto fra le piccole e tozze dita, lo guardava con ammirazione, ammaliata e attonita.

“È una gioia vedervi, mia cara Miranda” Will si sporse in avanti, avrebbe voluto stringere quella figura così minuta e dagli occhi scintillanti tra le braccia.

La giovane tentò di nascondere un risolino con la rigida copertina del libro “L’onore è mio, Milord, la più ambiziosa delle mie brame è finalmente reale! Tutte le stelle del cielo sono invidiose dello splendore della vostra penna, poter…” il rapido e incalzante fiume di parole venne arrestato dalla mano di Marina che si posò delicata sulla spalla della ragazza. Marina sollevò lo sguardo sulla fanciulla che sedeva sulla poltrona: avevano pressoché la stessa età, eppure lustri sembravano separarle.

“Avete ragione, tempus fugit e la luce dell’alba già solletica le lacrime di rugiada. Devo sbrigarmi!”.

Esitò, inspirò come a cercare nell’aria la forza di confessare ciò che le opprimeva quel suo cuore di luce.

“Milord” riprese con gli occhi bassi “la vostra mente mi ha dato vita, la vostra arte mi ha condannata.”

Il cuore di Will trasalì. Improvvisamente una sensazione di soffocante colpevolezza lo avvolse. Non aveva ancora concluso neppure il primo atto, come poteva Miranda già detestare il suo destino?

“Nata duchessa, cresciuta selvaggia. Vissuta tra menzogna e solitudine. Figlia di un padre sofferente e tiranno, nelle mie vene scorre il putrido sangue di un vile traditore, lacrime versate per un passato di cui non ho memoria. Indegna sorte mi costrinse su quelle rive. Senza conoscere il mondo e le sue meraviglie, prigioniera delle stesse albe e dei soliti tramonti, quanti segreti. Perché punirmi con un simile destino maligno? Un’esistenza votata a pagare colpe di cui la mia anima mai si macchiò. Sciogliete il mio vincolo, Milord, sganciate le catene che mi ancorano a quell’isola: amorevole madre ma crudele matrigna. Prima che la vostra penna sigli la mia condanna, ve ne prego, riflettete se desiderate vedere il virtuoso cuore della vostra creatura appassire e donare i suoi petali stanchi al suolo che la ha dato vita e morte.”

Quegli occhi eterei imperlati di lucciole e quella bianca voce spezzata dal tremore frantumarono il cuore di Will in mille prismi di quarzo e anche più. Miranda abbandonò il capo al bracciolo della poltrona, come se quelle parole l’avessero affaticata più della tempesta che le aveva turbato il cuore, là sulla riva del suo esilio ameno.

L’autore la guardò con dolcezza. Niente più che una giovinetta, sola davanti all’immensità del futuro, ignoto e spaventoso. Gioventù e ingenuità fanno nascere nel cuore il suo smarrimento. “Non temere” pensò Will “ti darò il più brillante dei domani. Ti libererò dal giogo che ti appesantisce le spalle per donartene uno che ti abbellirà il capo: sarai sapiente regina, rispettabile moglie, amorevole madre, devota figlia.”

Will sapeva, però, di non poterle rivelare la verità. Miranda avrebbe dovuto soffrire e imparare prima di poter godere delle meraviglie che l’autore aveva in serbo per lei. Così diceva il copione e lo spettacolo doveva continuare.

“Fiore innocente, sospiro di purezza, splendida creatura tu temi l’ombra di una nuvola. Non può farti perdere un solo capello: la sua oscurità è intensa ma effimera e fuggevole. Sii paziente, mia Miranda e abbi fede. Il futuro non è chiaro finché non lo si chiama passato. Ricorda al tuo cuore che sappiamo ciò che siamo ma non quello che potremmo essere.”

Sul volto della fanciulla che pendeva da un lato spuntò uno sguardo enigmatico. Non era sicura di aver compreso le parole di Will, ma per qualche ragione quel senso un po’ oscuro placò l’infuriare dei suoi pensieri.

Le prime luci dell’alba cominciavano a dipingere d’oro gli stracci di nuvole cuciti nel cielo ancora assopito. I primi cinguettii spezzarono il silenzio della notte e scossero Will dal torpore in cui era scivolato.

“Mia cara, il giorno si desta, è tempo per noi di tornare alle nostre pagine” disse Marina.

La giovane seduta ai piedi della poltrona inspirò profondamente, come intimorita dall’idea di tornare da dove era venuta, fra quelle righe che sembravano giocare con il suo destino.

“Per il tempo che mi avete concesso, Milord, e per le parole che mi avete rivolto, serberò nel cuore questa notte finché la vostra penna mi darà respiro.”

I primi bagliori squarciarono la penombra della stanza e dipinsero di brillanti virgole d’oro le sue pareti. Le due giovani donne si alzarono, rivolsero un sinuoso inchino al Will incorniciate dai voluminosi abiti. Come un’ombra fugge la luce, così Miranda si sottrasse allo sguardo dell’autore e si dissolse nell’aria densa del mattino.

“So che vi prenderete cura di lei, Will e le darete quel futuro glorioso che già onorò me e le mie sorelle. Il suo esempio sopravvivrà alla morte di mille lune”. Chinò la testa un’ultima volta e, come schiudendo le soglie dell’oscurità, scomparve.

Will si ritrovò di nuovo solo: stanco e stordito. Passò la mano sul velluto intiepidito dal primo sole del mattino e fece scivolare lo sguardo su quelle coperte che poco prima lo avevano fatto sentire prigioniero. Improvvisamente si sentì così simile a Miranda: solo in un domani ignoto.

Le palpebre cominciarono a pesare e nell’istante in cui chiuse gli occhi, un brivido gli scosse la schiena. 

Quando li riaprì si ritrovò nel letto: le campane in lontananza battevano lo scoccare delle tre, la stanza era immersa nel pallore perlaceo della luna, vuota.

Eppure non si sentiva solo: in fondo, siamo fatti della materia di cui son fatti i sogni.

Bibliografia

  • “La tempesta” e “Pericle principe di Tiro” da “William Shakespeare: i drammi romanzeschi”, a cura di Giorgio Melchiori, Milano, Mondadori, 2015