Archivi categoria: Riscritture

Nel nome della rosa

Anna Carfì, in questo racconto, immagina il punto di vista di Rosalina, primo amore di Romeo, da quando realizza di essere corteggiata dal giovane, al momento in cui viene a conoscenza della sua morte. Realizzato nell’ottica del corso di Letterature comparate Shakespeare e il paesaggio culturale italiano (Prof.ssa Chiara Lombardi).

“In questa riscrittura ho deciso di dar voce a un personaggio che nel corso del dramma voce non ha. Resta di lei solo il nome, Rosalina, e così sono partita da questo dato. Il fatto di non sapere niente dei suoi pensieri, infatti, mi ha permesso di esplorare in modo del tutto libero i suoi desideri e le sue paure: ho immaginato che Rosalina contraccambiasse Romeo ma che il suo sentimento non fosse compreso. Rosalina, inoltre, si unisce a una generazione segnata dalla violenza e anche dal silenzio, di cui lei, a mio avviso, incarna l’emblema per eccellenza”.

*

La prima volta che i miei occhi incontrarono i suoi, una fiamma antica, un palpito lontano, e tanto più oscuro quanto più remoto, m’invase il petto, e allora sentii le gambe cedere. Occhi tanto vividi, trasparenti al punto da parer di vetro, mi fissavano come mai altri mi avevano prima guardata: lessi subito una bramosia quasi inaudita in quello sguardo a me nuovo; vi scorsi il desiderio di possedere qualcosa di me che forse neppure io avevo mai osato ricercare né tantomeno possedere; vi colsi, infine, un reclamo così accorato, da sentirmi spogliata e ladra insieme d’un gioiello di cui non avevo mai appreso il valore, e che lui, con i suoi occhi, ora implorava a me, che glielo rendessi. Avrei voluto replicare a quella preghiera con una supplica ancor più pia, che mi svelasse perché mai un così bruciante fuoco dovesse stravolgere un mare tanto limpido come quello dei suoi occhi, ma il giovane a cui questi appartenevano non mi rispose mai. Era come se io parlassi in latino, e lui in arabo: i nostri occhi si erano sfiorati, e avevano brillato per un istante vinti in quella stretta invisibile, o almeno così mi parse, ma le nostre menti viaggiavano ancora lontane, isolate, traversando paesaggi estranei gli uni agli altri, di paesi esotici di cui ignoravamo ogni realtà.
Un giovane così regale! Un principe nell’animo: un mare piatto, al fondo del quale s’agitavano correnti di straordinaria potenza, di magnifico vigore. E poi lo udivo, alle feste e ai banchetti, tra le voci che s’innalzavano per le strade, dalle bocche impertinenti delle damigelle mie accompagnatrici, e sospiravo alle lodi che faceva di me, ai canti che innalzava alla luna quando passeggiava quieto e solitario per il boschetto di sicomori al principio dell’alba, alle lacrime che versava quando al mattino si rintanava in casa, chiuso ermeticamente nelle sue stanze, prigioniero di una notte artificiale. Così, almeno riferivano i servi al suo passaggio. Il ragazzo si struggeva per me, credendo che io non lo ricambiassi, e così nascevano le sue pene d’amore tanto schernite dallo scaltro Mercuzio.
Ma come poteva non scorgere nella mia ritrosia il dolce slancio del più sublime tra i sentimenti? Come poteva ignorare le repliche del mio animo in tempesta ai sonetti da lui intonati alla mia finestra, e come il mio sorriso misurato, che scalpitava tuttavia per aprirsi in una risata gioiosa al pensiero di lui, quando lo incrociavo per la via? Mentre il bel giovane piangeva, io lo amavo; mentre era impegnato in pericolosi duelli dove rischiava persino la vita, io lo amavo; mentre declamava versi in onore della mia bellezza fiorita, del colore della rosa, dalle cui forme immortali prendo il mio nome, e io mi mordevo la lingua a costo di non dichiarargli a mia volta il sentimento che mi suscitava la sua vista, io ancora l’amavo, l’amavo sempre di più.
Eppure, egli era cieco, al punto da ricordare una statua di cera; recitava le mie più alte lodi, ma poi svaniva defilandosi in qualche osteria in compagnia dei suoi amici; scansava la famiglia per affliggersi dell’affetto che io gl’ispiravo, ma poi il suo sguardo una sera smise di riconcorrermi, cessò di cercarmi, infine. Perché, Romeo, non mi chiedi in sposa? Perché non avanzi tra la folla per porgermi i tuoi rispetti? Perché ti duoli per me, quando io sono qui ad attenderti? Non è attraverso la distanza che si misura l’amore? Più essa è vasta, più profondo risulterà il vero sentimento. Non è la compostezza a premiare gli amanti fedeli? Maggiore sarà l’armonia del viso, più limpida sarà l’anima di chi ama, e nessuna nube turberà il suo cuore di fronte alle sfide che impone l’amore, né la patina d’un infausto destino adombrerà gli occhi degli innamorati. Dunque, perché, Romeo, non osi farti avanti? Perché mi sfuggi, mi eviti? Danzo davanti a te, ti chiedo di seguirmi con lo sguardo per la sala, ma tu d’un tratto mi abbandoni per dedicarti a un’altra. Ma chi è costei? E perché mi hai tradita?
Dicono sia la bella Giulietta Capuleti colei di cui Romeo s’è invaghito proprio l’altra sera.
Ella è raffinata, elegante, ha occhi scuri che richiamano la luce delle torce, e pelle tanto delicata da parer intessuta di sole e perle. Chissà Romeo cos’avrà provato nel lasciare che le sue biglie blu si scontrassero con un incendio simile! Ora lui la cerca sotto la finestra, come un tempo chiamava me; ora lui le parla con la metrica, come un tempo si rivolgeva a me; ora lui le chiede di ricambiare il suo sentimento, di non lasciarlo patire un rifiuto sotto la luna ormai prossima a cedere all’avanzare del sole. E lei si sporge dal davanzale, gli risponde e ricambia! Pretende, addirittura, che rinneghi il suo nome, che sia di nuovo battezzato, che faccia del loro amore la prima religione. Che donna è mai questa? Romeo non declama più poesie, non loda più la luce, la luna e i bei capelli della sua amata, ma tace, uccide, fugge. E poi ritorna.
Romeo! Vorrei fermarlo per la strada, pronunciare quel nome dolce quanto lo zucchero, ma non ne sono capace. Sono Rosalina, la donna senza voce: a me non è dato di spalancare le imposte e ricambiare lo sguardo del mio innamorato che mi attende sotto la finestra; di confidare alle stelle quel che preservo nel cuore; d’implorare l’altro affinché si spogli di chi era per rinascere di nuovo in nome del mio amore, in nome mio, nel nome della rosa di cui porto il richiamo. Se solo potessi parlare! Ma è troppo tardi, ormai: non resta più nulla da dire.
La gente si accalca presso la tomba dei Capuleti: rivoli di sangue, sguardi sconvolti dall’orrore, esclamazioni di stupore s’innalzano al suo ingresso. Il conte Paride è riverso per terra, senza vita; Romeo, a pochi passi da lui, pare rapito dal sonno della morte, con le sue labbra proibite ancora scarlatte; Giulietta, regale e dignitosa, rassomiglia a un povero burattino gettato per terra senza cura. Giacciono così, nella bella Verona, gli amanti, e forse anche io ne faccio parte. Dopotutto, anche Paride amava Giulietta sebbene questa non lo ricambiasse. Eppure, egli aveva voce. Io, muta, posso solo adagiare il mio cuore sanguinante accanto ai loro, depredati dal battito della gioventù, e unire così il mio dolore silenzioso alle urla furenti dei miei concittadini, alle paci false sancite da ipocrite strette di mano, e al pianto di Giustizia e Amore mentre, indignati, s’allontanano da questa città senza Dio.

Bibliografia
“Romeo e Giulietta”, William Shakespeare, Bur Rizzoli, 2023
“Shakespeare e l’amore”, a cura di Arturo Cattaneo, Einaudi, 2019

The Witches’ Hat. Ultima notte a Glasgow

Linda Demichelis, in questa sua riscrittura, racconta le paure di una giovane protagonista nella sua ultima notte d’Erasmus in Scozia, terra del Macbeth. Realizzato nell’ottica del corso Letterature Comparate b, Verità e coscienza. Narrativa, poesia, teatro (Prof.ssa Chiara Lombardi)

“In questo racconto, l’ultima notte d’Erasmus in Scozia di una giovane studentessa si trasforma in una piccola odissea urbana al confine fra incubo e realtà. La città di Glasgow trascina Viola in un viaggio introspettivo guidato dall’enigmatica narrazione in versi di due Weird Sisters shakespeariane alla ricerca di una nuova sorella. Poesia narrativa, prosa e teatro si fondono per dare voce alle paure più profonde di una giovane adulta divisa fra il desiderio di fermare il tempo e l’inevitabile spinta verso il futuro, in una riflessione onirica su scelte, crescita e identità”.

*

Era solo giovedì sera, ma al Doublet Bar c’era aria di festa.
Il Doublet era il pub che i tifosi del Patrick Thistle avevano adottato per la Scottish Cup di quell’anno. Non avevano alcuna possibilità di vittoria contro la capolista, ma la sala con il grande schermo esplodeva ai boati di rabbia per i rigori assegnati ingiustamente, e di sorpresa per le reti mancate, che spesso coprivano gli sforzi musicali del giovane chitarrista di turno nella sala accanto. Ma quella sera, contro ogni aspettativa, il Patrick Thistle aveva messo a segno un goal insperato, che contava tanto quanto una vittoria in piena regola.
Il Doublet era esploso in ruggiti di gioia che si erano uniti ai festeggiamenti del club universitario di teatro shakespeariano, che celebrava il successo dell’ultimo spettacolo della stagione accademica. I veterani brindavano a quello che sarebbe stato l’ultimo allestimento della loro carriera universitaria, i freshmen al primo di una lunga serie.
Viola, la sola studentessa internazionale del gruppo, festeggiava l’unico.
Solo qualche ora prima era stata una Weird Sister sul palcoscenico del Cottiers, uno dei teatri più frequentati della città. Poche ore più tardi avrebbe dovuto imbarcarsi sul volo per tornare a casa, poco meno di un anno dopo essere atterrata a Glasgow.
«Viola! Viola, come closer! I loved you on stage tonight, girl! How would you say in Italian tomorrow, and tomorrow, and tomorrow?» urlò Steph.
«I think it would be something like domani, e domani, e domani». Steph annuì ridendo, fingendo di aver sentito.

Domani.

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Oltre la follia

Anita Mercatili, in questo brano teatrale, riscrive l’ Amleto di Shakespeare ambientandolo in un contesto contemporaneo all’interno di una seduta di psicoanalisi, che si colloca nel momento in cui Amleto si trova in uno stato di immobilità d’azione, in bilico tra l’agire per vendicare il padre o meno; realizzato nell’ottica del corso di Letterature comparate, Le forme del sonetto: da Petrarca a Shakespeare (Prof.ssa Chiara Lombardi).

“In questa mia riscrittura ho voluto far spiegare da Amleto stesso la sua follia e le ragioni che stanno alla sua base. Un Amleto moderno che si lascia analizzare in una seduta psicoanalitica, e che riporta i suoi monologhi sotto forma di flusso di pensiero e di racconto di un sogno rivelatore delle sue emozioni. 

*

Studio dell’analista.

Amleto suona il campanello. L’analista apre la porta invitandolo con un gesto ad entrare. Amleto entra nello studio con passo svelto, lo sguardo perso. Si siede di fronte alla scrivania.


AMLETO: Ho fatto un sogno questa notte dottore, un sogno strano, di quelli che la mattina fan rivoltare gli intestini, intendo.

PSICOANALISTA: Vuole raccontarmelo?

AMLETO: Certo, sì… Ero nella mia vecchia casa d’infanzia, non so se gliene ho mai parlato.
Era una bella casa, quella, non come questa di ora dove ogni oggetto sembra rovesciato, al posto sbagliato, quasi tradisca la posizione che gli era desinata.
Insomma, quella sì che era bella ecco, luminosa, profumata dai gigli in fiore in primavera e scaldata dal camino in inverno, candida nei colori, satura di voci.
Ero solo in salotto, mia madre mi chiamava dalla sua camera chiedendomi di aiutarla a rifare il letto.

PSICOANALISTA: Ha idea di quanti anni avesse lei nel sogno?

AMLETO: Non so, credo avessi l’età di ora. Sentivo quasi che quello in cui stavo vivendo fosse semplicemente un mondo possibile, un modo diverso in cui potevano stare le cose ecco.

PSICOANALISTA: (Prende nota su un quaderno) Prego, continui pure.

AMLETO: Insomma, salgo le scale per raggiungere mia madre, la aiuto a mettere il coprimaterasso, le lenzuola, la coperta estiva e le federe. Pieghiamo i pigiami da riporre sotto i cuscini, io quello di papà, lei il suo.
Accade, però, che io mi addormenti a terra una volta finito il lavoro e che mia madre mi lasci lì a riposare.

PSICOANALISTA: Mi perdoni la domanda, ma come mai a terra?

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Properata retexite fata! La catabasi di Romeo

Chiara Giordano, in questa sua composizione, immagina ciò che accade a Romeo dal momento in cui decide di morire per poter rivedere e amare, almeno negli Inferi, la sua Giulietta,  nell’ottica del corso di Letterature comparate, Shakespeare e il paesaggio culturale italiano (Prof.ssa Chiara Lombardi)

“Cosa accade nel lasso di tempo tra la morte di Romeo e quella di Giulietta? Nella speranza di riconciliarsi alla sua amata attraverso la morte, il giovane Montecchi discende agli Inferi come Orfeo alla ricerca di Euridice. In modo differente, certo. Romeo, infatti, si è ucciso a causa dell’erronea convinzione della morte di Giulietta; Orfeo, invece, tenta da vivo di riportare alla luce la donna che ama. Mentre quello del cantore tracio è un percorso all’insegna della disperazione e di un sogno realizzabile, quello di Romeo si configura come un viaggio altrettanto disperato ma avente come meta una tragica e macabra consapevolezza.”

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[Romeo, ormai più speranzoso che afflitto, viene condotto attraverso le acque dello Stige su una barca colma di corpi inconsistenti e volti anonimi, senza scorgere la ragione della sua vita e della sua morte]

Romeo
Non più sole, non più luce e vampa investono il mio cammino. Chi son io, pellegrino privo d’una sacra meta? Accendi, mia dolce nemica in vita, una lampada che rischiari le tenebre, non lasciare che mi perda tra i flutti di questa tempesta. Come sono asceso verso il tuo proibito amore, nel nome dello stesso mi immergo ora nell’abisso.

Caronte
Taci, arciere senza più dardi. Perché abbai? In silenzio voglio menarvi all’altra riva, da cui nessuno più fa ritorno.

Romeo
Poiché insopportabile era il giorno, mi sono addentrato ora nella più oscura delle notti. Ho rinunciato al mio nome e raggiunto il più lontano dei mari, cos’altro devo fare per poter tornare a respirare grazie a un suo bacio?

[Da un angolo della barca emerge tra le ombre Paride]

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Lettere per vincere la morte

Aurora Costa, in questo suo lavoro, immagina che nella casa di Stratford in cui William Shakespeare ha trascorso gli ultimi anni di vita giunga per corrispondenza un carteggio contenente le epistole che il noto drammaturgo aveva inviato al giovane conte di Pembroke; realizzato nell’ottica del corso di Letterature comparate, Le forme del sonetto: da Petrarca a Shakespeare (Prof.ssa Chiara Lombardi).

“In questa riscrittura cerco di presentare in una versione inedita della discussa relazione tra William Shakespeare e il suo Fair Youth, sposando la teoria che identificherebbe quest’ultimo con il conte di Pembroke”.

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Nella primavera dell’anno 1617, mia madre Anne contrasse una forma lieve di polmonite; nulla di preoccupante ma, poiché mia sorella Susan si trovava proprio in quel periodo con i bambini in visita dai suoceri, si rese necessaria una mia permanenza presso di lei nella casa di Stratford; vi giunsi all’inizio di marzo e, su consiglio del medico, vi restai fin quasi alla fine di maggio – quando si fu del tutto ristabilita. Serbo un piacevole ricordo di quelle settimane, che furono per me come un ritorno alla gioventù prima che Hamnet morisse, quando la vita non era per noi bambini più che il fugace intermezzo tra un gioco e l’altro: ora, solo un poco più silenziosa, la casa non era diversa da quella che ci aveva visto crescere, adempiere diligentemente ai nostri studi, diventare adulti; seppellire un fratello.

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