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“Sogno da Erasmus”? Sofia ci parla della sua esperienza a Lione

Sofia Spampinato, Dottoressa in Scienze della Comunicazione e attualmente laureanda magistrale in Comunicazione ICT e Media, risponde ad alcune domande sul suo Erasmus a Lione

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In che città hai svolto il tuo Erasmus?

Lione, Francia

Ripensi mai alla tua esperienza in Erasmus? In quali occasioni ti torna in mente?

Spesso, se non sempre. Ho un po’ di rimpianti e di rimorsi, quando sono particolarmente triste mi viene in mente cosa avrei potuto fare lì che invece non ho fatto. Quando sono particolarmente felice penso a quando ero triste lì.

Quando ne parli, come ne parli?

Ne parlo bene, ma tendo spesso a distruggere la dimensione di “Sogno da Erasmus” che si ha comunemente. Per me è stato sicuramente molto più un momento di crescita forte che non di festa costante.

Hai fatto due viaggi: uno di andata e uno di ritorno. Come li descriveresti brevemente, se dovessi metterli a confronto?

Ero molto più fiduciosa all’andata mentre al ritorno mi sentivo molto più confusa, proprio perché ho avuto a che fare con alcune difficoltà durante l’Erasmus. Ero felice di ritornare a casa ma con mille dubbi e rimpianti: non sapevo quale fosse la parte più forte in me, tra quella che voleva andare via e quella che voleva riprovarci, con un altro sguardo sull’intera esperienza.  

L’Erasmus per te rappresenta più un viaggio, una lunga gita oppure vita, nel vero senso della parola?

VITA. Non ho messo in pausa nulla, ho iniziato un nuovo periodo della mia vita.

Come hai organizzato la partenza? Ad esempio la lista di cose da portare e quelle da lasciare a casa…

Purtroppo male. essendo già fuori sede ho dovuto portare con me molte cose. Si trattava per me di un vero e proprio trasloco. Tornassi indietro partirei solo con una valigia uno zaino e i miei due gatti. L’esperienza Erasmus mi ha fatto capire che bisogna viaggiare leggeri. Sembra banale ma non lo è: di solito si tende a partire con presupposti e obiettivi ma in fondo non si sa mai cosa succederà. Viaggiare leggeri, s’intende sia dal punto di vista fisico che mentale chiaramente, e io non viaggiavo leggera.

La burocrazia che sta dietro all’organizzazione è stata semplice da gestire?

Per niente, forte motivo di stress

Hai dovuto affrontare dei momenti di solitudine?

Molti. A volte penso che avrei potuto fare un passo in più per cercare di non pensare al mio stato emotivo e fare davvero qualcosa per migliorarlo, ad esempio cercare di vivere l’esperienza in altri modi: non rimanere a Lione, magari visitare qualche altra città. Proprio per questo, negli ultimi mesi ho viaggiato molto di più rispetto all’inizio. L’Erasmus è un momento che inizia e finisce, per cui va vissuto al meglio, il più possibile, ovviamente stando al passo con la propria emotività, per cui non bisogna forzarsi. Ogni tanto è necessario razionalizzare che si tratta solo di un periodo, non una vita intera, e che prima o poi finirà.

Ti mancava l’Italia?

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Erasmus a Münster

Simone risponde ad alcune domande sul suo Erasmus a Münster, in Germania

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In che città hai svolto il tuo Erasmus?

Germania, per la precisione Münster, Renania settentrionale. Una cittadina di 300 mila abitanti: il centro della città era abbastanza piccolo perciò non sembrava nemmeno di trovarsi in una città universitaria

Ripensi mai alla tua esperienza in Erasmus? In quali occasioni ti torna in mente?

Sì, ripenso ancora al mio Erasmus, principalmente quando metto a confronto la mia vita di allora con quella di oggi, più impegnata e legata al lavoro. Fondamentalmente, una vita un po’ più adulta rispetto a quella di uno studente Erasmus. Però quando cerco un po’ di leggerezza, mi torna in mente e anche molto volentieri.

Quando ne parli, come ne parli?

Ne parlo principalmente molto bene: è stata un’esperienza positiva, davvero poche cose erano negative. Ne parlo con molta malinconia e felicità. Mi ha lasciato davvero un bel ricordo.

Hai fatto due viaggi: uno di andata e uno di ritorno. Come li descriveresti brevemente, se dovessi metterli a confronto?

Il primo viaggio è stato entusiasmante: ero felice di questo cambiamento, di vivere all’estero per un lungo periodo, nonostante la Germania fosse considerata comunemente un paese “freddo”, io ero felice di immergermi in una nuova realtà. Quello di ritorno è stato invece un viaggio piuttosto triste e nevrotico: mi ero abbastanza innamorato della vita laggiù. Il peggio però ho iniziato a sentirlo dopo qualche settimana. Appena tornato in Italia, non avevo ancora realizzato di essere davvero tornato a casa e di non tornare più in Germania. Effettivamente, devo dire che la differenza fra viaggio di andata e di ritorno è grande.

L’Erasmus per te rappresenta più un viaggio, una lunga gita oppure vita, nel vero senso della parola?

Lo definirei un viaggio. Un lungo viaggio pieno di esperienze. Non lo definirei “vita”, perché per me l’Erasmus è stato un po’ come una bolla: si vive questa parte di vita con un senso di leggerezza e di socialità estremamente differente rispetto alla vita da adulti, ad esempio la mia vita di ora, fatta di lavoro e studio.

Come hai organizzato la partenza? Ad esempio la lista di cose da portare e quelle da lasciare a casa…

Ho portato più cose possibili, cercando di lasciare davvero poco a casa. L’idea di dover star via per tanto tempo mi ha fatto pensare di dover portar via tante cose, senza dimenticarmi nulla: ad esempio, tutto il mio armadio, ho fatto migliaia di scatoloni, valigie enormi. Non sono stato tanto a pensare cosa portare, ecco.

La burocrazia che sta dietro all’organizzazione è stata semplice da gestire?

Voto 4 su 10. Non è stata per niente d’aiuto, soprattutto dalla parte italiana. È stato molto faticoso, forse una delle cose più difficili dell’Erasmus. Ho trovato insensata la quantità di documenti necessari. Il problema più grande è poi stato però quello di mettere in contatto le due università, quella estera e quella italiana.

Hai dovuto affrontare dei momenti di solitudine?

Sì. Mi sono sentito solo durante la fase invernale: la luce va via un’ora, un’ora e mezza prima, piove e c’è vento molto spesso da metà ottobre fino a inizio marzo. Il sole per diverse settimane non l’ho proprio visto. Dal punto di vista sociale ci sono state delle volte in cui ho sofferto la solitudine. L’Erasmus ti dà la sensazione di poterti mettere in contatto con tante persone ed è vero, però la maggior parte dei rapporti che si creano sono abbastanza superficiali, soprattutto all’inizio. Questo contesto di facile socializzazione spesso dà l’illusione di poter ottenere qualcosa di più profondo. Posso però dire che avendo la possibilità di conoscere tante persone, è comunque più semplice trovare qualcuno che ti stia a cuore. Non posso dire che la solitudine sia stata un grande problema, fino ad un certo punto perlomeno.

Ti mancava l’Italia?

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Liegi, Belgio: un’intervista a Silvia dott.ssa in Culture dell’Asia e dell’Africa

Silvia Mangia, Dottoressa in Lingue e Culture dell’Asia e dell’Africa, laureanda magistrale in Comunicazione ICT e Media, risponde ad alcune domande sul suo Erasmus a Liegi.

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In che città hai svolto il tuo Erasmus?

Liegi, Belgio.

Ripensi mai alla tua esperienza in Erasmus? In quali occasioni ti torna in mente?

Sì, a distanza di mesi mi capita spesso di ripensarci. A volte mi capita di ripensare alla mia routine o alle abitudini che io e i miei amici avevamo là e le metto a confronto con la vita quotidiana che svolgo oggi in Italia.

Quando ne parli, come ne parli?

È sicuramente un’avventura incredibile, che fa cambiare il proprio modo di vedere le cose e che permette di creare tanto networking, oltre che esperienze irripetibili. In generale, ne parlo bene, ma a differenza di quanto si possa pensare, non credo sia un’esperienza che consiglierei a chiunque. L’Erasmus dà la possibilità di creare tanti bei ricordi con persone da tutto il mondo, ma è anche vero che mette a dura prova sotto molti punti di vista, specialmente se si capita in una città come Liegi, ovvero non molto accogliente, soprattutto non appena ci si trasferisce.

Hai fatto due viaggi: uno di andata e uno di ritorno. Come li descriveresti brevemente, se dovessi metterli a confronto?

Per quanto riguarda il primo viaggio, quello di andata, non vedevo l’ora di partire ed ero tanto eccitata all’idea di trasferirmi in Belgio: passare un periodo prolungato di studio all’estero era sempre stato uno dei miei sogni. Invece, quello di ritorno è stato un viaggio abbastanza destabilizzante e mi ci è voluto del tempo per realizzare che stavo salutando tutte le belle persone, le abitudini e i luoghi che erano ormai diventati la mia quotidianità, e quindi riabituarmi alla “normalità”.

L’Erasmus per te rappresenta più un viaggio, una lunga gita oppure vita, nel vero senso della parola?

Credo che per me l’Erasmus sia stata una vera e propria parentesi di vita. Ho vissuto quest’esperienza cercando di immergermi il più possibile nella cultura e nelle tradizioni locali per trarne il meglio, riadattando anche le mie abitudini e creando una nuova routine.

Come hai organizzato la partenza? Ad esempio la lista di cose da portare e quelle da lasciare a casa…

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Amore, Coraggio, Passione

Recensione a cura di Lucrezia Messina della mostra di CAMERA – Centro italiano per la Fotografia – “Robert Capa e Gerda Taro: la fotografia, l’amore, la guerra” (14 febbraio 2024 – 2 giugno 2024)

Robert Capa e Gerda Taro: la fotografia, l’amore, la guerra | (camera.to)

Con le loro foto riescono a catturare grandi attimi di terrore e disperazione; tra questi 120 scatti, molti fanno tremare.

La storia dei protagonisti di questo racconto è qualcosa di sensazionale. Una storia senza mezze misure, una storia di coraggio e tanta passione. Passione in quello che si fa, passione nel vivere emozioni da cui solitamente si desidera solo scappare.
Dal 14 febbraio al 2 giugno 2024, presso Camera (Centro Italiano per la Fotografia) è possibile vivere questa storia. Robert Capa e Gerda Taro ci catapultano nel loro passato e nel passato della Storia. Una Storia con S la maiuscola, una storia che fa paura e riecheggia nel nostro presente.
Il centro Camera raccoglie sempre grandi sorprese e questa è una di quelle. Una grande mostra che racconta con circa 120 fotografie il rapporto professionale e affettivo fra Robert Capa e Gerda Taro. Robert e Gerda cercano di immortalare nei loro scatti la dura vita degli anni della guerra civile spagnola. Sono due dei più grandi fotografi bellici mai esistiti. Duro lavoro, ricco di sofferenza e pericoli. Con le loro foto riescono a catturare grandi attimi di terrore e disperazione; tra questi 120 scatti, molti fanno tremare.

Una mostra che ci fa riflettere sulla guerra e soprattutto sulla sua immensa crudeltà. Ma nonostante questo Gerda e Robert invece la cercano, la vivono in prima persona, sul fronte. Non hanno paura di quello che potrebbe succedere e combattono con i soldati a colpi di scatti e flash tra i proiettili e le bombe degli avversari.

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La Tecnica della Mummia

“Rideva troppo e questo lo distraeva dall’occuparsi dei suoi pappagalli”

Sabato 2 marzo, al Teatro Sant’Anna di Torino, c’è stata la prima de “La tecnica della mummia”, vincitore del Premio Scintille 2023 della compagnia pugliese Amaranta Indoors.

Si tratta di una rilettura interessante e per volta eccentrica dell’omonima opera del e drammaturgo inglese della prima metà del ‘900 John Mortimer, che si avvicina, sia per la rappresentazione che per la scelta del testo, al teatro dell’assurdo.
La storia inizia in una cella dove è rinchiuso Fowle, colpevole di aver ucciso la moglie perché “rideva troppo e questo lo distraeva dall’occuparsi dei suoi pappagalli”. A Fowle viene assegnato (o meglio sceglie lui casualmente) il difensore d’ufficio, Morgenhall, avvocato fallito al quale non viene mai assegnata una causa nonostante il suo grande impegno. Morgenhall vede in questo caso la sua svolta, ma subito si presenta come una missione impossibile: Fowle è deciso a dichiararsi colpevole e a passare il resto della sua vita in prigione dove gli è consentito non fare nulla, coronando così il suo sogno d’ozio.

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