Alice Giambrone, in questa sua riscrittura, racconta la creazione tramite gli occhi di un artista, il quale assume il ruolo del dio che modella la propria opera d’arte, nell’ottica del corso Scritture delle origini. I miti e la scienza, Letterature comparate B, mod. 1, prof.ssa Chiara Lombardi.
È la voce di Michelangelo Buonarroti a narrare la creazione, nello specifico di una delle sue opere d’arte più illustri: il Mosè del monumento funebre per la tomba di Papa Giulio II. La figura dell’artista si sovrappone così alla figura del dio artigiano, che plasma il creato. Narrando il processo di scultura che accompagna i pensieri dell’artista, la riscrittura vuole raccontare il passaggio dalla materia informe alla creatura, che pare prendere vita.[1]
*
[…] he formed thee, O man,
Dust of the ground, and in thy nostrils breathed
The breath of life; in his own image he
Created thee, in the image of God
Express, and thou becam’st a living soul[2].
J. Milton, Paradise Lost
L’estro mi spinge a narrare di forme mutate in corpi nuovi[3].
Quando ricevetti l’incarico di creare, scelsi personalmente la materia prima da cui avrei estratto una forma nuova e, il giorno in cui giunsi nella Città Eterna, unico e indistinto era l’aspetto del marmo da me selezionato, un ammasso di venature discordi, mole informe e confusa, nient’altro che peso inerte[4]. Tenevo dinanzi solo un blocco: un embrione immaturo confuso della creatura non era ancora visibile[5].
Studiai la natura senza forma che in sé racchiudeva potenzialità infinite di immagini. Con le mani in un fremito posi lo scalpello sulla materia da plasmare, alzai il braccio reggendo il martello e posai un primo colpo deciso. La natura vibrò appena sotto il segno del mio gesto.
E vidi che era cosa buona[6].
Spinsi lo scalpello più a fondo e smussai l’ammasso informe, distinguendone le parti e separandone le venature marmoree, fino a quando cominciò a identificarsi una forma più umana, ma ancora mal rifinita, un abbozzo d’uomo.
E fu sera e fu mattina[7] per molti mesi, mentre con l’uso del martello e dello scalpello lasciavo l’aria scorrere tra le membra e gli arti di una nuova vita.
Separai il marmo dall’esistenza che vi giaceva insita, levando l’eccesso di materia, poiché l’immagine già era dentro, non dovevo che spogliarla, sollevare un velo, spesso, pesante. Sotto quel peso l’aria, che è nulla, prendeva forma. Diventava viva[8].
Lo osservai. L’uomo assumeva una posizione seduta, con una gamba più piegata dell’altra come fosse in procinto di alzarsi in piedi, la veste gli ricadeva adagiandosi sulle ginocchia. Definii delle tavole sotto il suo braccio, le levigai, le studiai con cura, e vidi che era cosa buona.
E fu sera e fu mattina lungo numerosi mesi, durante i quali il mio estro dai torti pensieri[9] non si concedeva pace alcuna.
Quando lo scalpello giunse più in alto, nella mole marmorea che mutava la sua forma, delineai la barba in movimento, fluida, intrecciata alle dita affusolate, prolungamento delle braccia dai muscoli tonici e le vene prominenti.
Scolpii il volto accigliato, dallo sguardo altero, le labbra serrate e gli occhi irosi negli incavi bui delle orbite che conferivano alle forme un’espressione d’importanza.
Anche se l’immagine diveniva via via più reale, il marmo racchiudeva porosità, venature, striature caotiche, celava in sé un potenziale infinito di creazioni. Quell’ordine apparente che gli attribuivo non era che esteriore, poiché dentro di sé conteneva un disordine di particelle nell’attesa di essere portate alla luce dal luogo indefinito nel quale risiedevano, che un anno non sarebbe stato abbastanza tempo per giungere al suo fondo[10].
Soffiai sul marmo un alito di vita[11]: con le lime sfregavo i lineamenti del profeta, arrotondavo le ginocchia, delineavo i gomiti, ammorbidivo le articolazioni delle dita. E vidi che era cosa buona. Si disegnò quella figura d’uomo che, dalla stazza imponente, mi sedeva dinanzi con portamento fiero.
Restai a guardare l’immagine che avevo fabbricato, che era un uomo, non più marmo: tanta era l’arte, che l’arte non si vedeva[12].
Il profeta sedeva immobile, come ad attendere.
Anche io rimasi in attesa, aspettando che lui si alzasse, che proferisse verbo al suo Creatore. Eppure, egli tacque. Passai una mano sulla statua per sentire se fosse carne, ed ebbi la sensazione che le dita affondassero nei suoi muscoli, che le sue vene pulsassero sotto ai miei pollici[13]. Fu solo una parvenza.
Allora lo chiamai per nome, a gran voce, così che egli si potesse voltare e mi potesse guardare negli occhi. Tuttavia, egli rimase statuario.
Sentii l’esasperazione crescere
in me: guardavo quelle membra umane alle quali avevo dato forma, dalle umane
venature e dalle umane sembianze, e non sapevo come donare loro moto, o verbo. Brandii
il martello. – Mosè, perché non parli?[14]
[1] “Chi [è] come Dio?”: etimologia del nome Michele (riferito all’Arcangelo), dall’ebraico מִיכָאֵל (Mikha’el), mi (“chi”), kha (“come”) ed El (“Dio”). Da qui deriva il nome dell’illustre artista rinascimentale Michelangelo Buonarroti. Aa. Vv. (1997) Nuovo Dizionario Enciclopedico Illustrato della Bibbia, Piemme, Fossano (CN) 2005, p. 660.
[2] Oh uomo, a te diede forma, polvere della terra, / e nelle tue narici soffiò un alito di vita; / ti creò a propria immagine, / e così fosti un’anima vivente. Paradiso Perduto, libro VII, vv. 524-528.
[3] In nova fert animus mutatas dicere formas corpora, Ovidio, Metamorfosi, I, vv. 1-2.
[4] Unus erat toto naturae vultus in orbe, / quem dixere Chaos, rudis indigestaque moles […] Ovidio, Metamorfosi, I, vv. 6-9
[5] Milton, J., Paradise Lost, VII, vv. 277-278.
[6] Genesi, I.
[7] Genesi, I.
[8] Mastrocola P., L’amore prima di noi, Pigmalione.
[9] Esiodo, Teogonia, v. 168.
[10] Esiodo, Teogonia, vv. 736-741.
[11] Genesi, II.
[12] Ars adeo latet arte sua, Ovidio, Metamorfosi, X, v. 252.
[13] Ovidio, Metamorfosi, X, vv. 254-255, 256-257, 289.
[14] Secondo una leggenda, compiuta la sua famosa opera in marmo per il complesso statuario della tomba di Giulio II, Michelangelo si rivolse verso il Mosè, il quale era tanto realistico da parere vivo eppur muto, ed esclamò “Perché non parli?” percuotendogli il ginocchio con il martello, in un gesto di esasperazione. Non vi è traccia di fratture intenzionali a conferma della leggenda.
Bibliografia
Aa. Vv. Nuovo Dizionario Enciclopedico Illustrato della Bibbia, Piemme, Fossano, 2005
Cricco G. e Di Teodoro F. P., Itinerario nell’arte, Dal Gotico Internazionale al Manierismo, Zanichelli, Bologna, 2016
Esiodo, Teogonia, tr. it. di P. Mureddu, BUR Rizzoli, Milano 2020
Mastrocola P, L’amore prima di noi. Pigmalione, Einaudi, Torino 2016
Milton J., Paradise Lost, tr. it. di R. Sanesi, Mondadori, Cles, 2016
Ovidio, Metamorfosi, tr. it. di R. Calzecchi Onesti, Einaudi, Torino 2015
Genesi, Edizioni Dehoniane, Bologna 2006