A storm inside

Jasmine Gianfreda, in questa sua composizione, riscrive in un’inedita prospettiva il Pericles shakespeariano, nell’ottica del corso I drammi romanzeschi di Shakespeare I: Pericle e Cimbelino. Fonti e motivi, Letterature comparate B, mod. 1, prof.ssa Chiara Lombardi.

Ariel, Prospero, un’imminente partenza e una violenta tempesta.

   *

Prospero aveva iniziato a studiare la sua Arte quando aveva a malapena vent’anni, quand’era ancora un giovane futuro Duca di Milano taciturno e molto più interessato alle lettere, alla filosofia e alla scienza che non alla vita mondana e agli intrighi di corte; l’esatto opposto di Antonio, il suo sanguigno, impetuoso e ambizioso fratello. Non era altro che un giovane assetato di conoscenza, il cui animo non aveva potuto far altro che cedere d’innanzi al fascino del sovrannaturale e dell’esoterismo, dedicandosi animo e corpo allo studio della magia naturale e di tutte le pratiche rituali ad essa collegate, andando a scavare e frugare fra gli insegnamenti più svariati alla ricerca del vero sapere. Era dunque dell’opinione che ora avesse perfettamente senso concludere quella lunga fase della sua vita in modo repentino.

Il silenzio in cui era avvolta la sua piccola stanza aveva qualcosa di sacrale e ineluttabile, infranto solo dal suono delle pagine che venivano strappate dalle sue mani. Era ormai arrivato a metà del secondo libro, quando uno spiffero improvviso lo colse alle spalle, solleticandogli i capelli, sparpagliando parte delle pagine che gli si trovavano di fronte e interrompendo il suo rituale. Prospero lasciò andare la pagina, attaccata ancora per metà al dorso del libro, per poi passarsi velocemente una mano sugli occhi stanchi e sulla fronte tesa.

“Ariel”, disse, “so che sei tu”.

Un fruscio distinto risuonò alla sua destra per qualche istante, per poi espandersi fino ad uno degli angoli della cella e dissiparsi con la velocità con cui era comparso, lasciando posto alla figura di Ariel, appollaiato sullo schienale dell’unica sedia in possesso di Prospero.

“Salute a te”, gli disse lo spirito, piantando i suoi grandi occhi madreperlacei sui libri sparsi davanti a quello che, per ancora un giorno, era il suo padrone. ”Perché tanto accanimento? Credevo amassi i tuoi libri”.

Prospero sospirò, sfiorando la pagina, che aveva strappato solo a metà, con la punta delle dita. “E’ così. Indubbiamente”, commentò infine, afferrandola e finendo di separarla dal resto del libro, “Ed è proprio per questo che sto facendo ciò. In questo modo la separazione sarà più facile, quando dovrò rinunciare ai miei studi una volta per tutte”.

Ariel lo guardò in silenzio mentre strappava alcune altre pagine con una lentezza estenuante e quasi dolorosa. Fu solo quando la mano dell’uomo si allungò verso un altro libro che lo spirito fece udire di nuovo quella sua voce inumana, che sembrava sciogliersi nell’aria ad ogni parola. “Che cosa hai intenzione di fare, ora che hai riavuto il tuo ducato?”, domandò in un soffio, ancora intento a fissare lo sguardo su quel mare di carte che si allargava fra di loro.

Prospero sembrò soppesare la domanda per qualche secondo, prendendo in mano il libro, rigirandolo, aprendolo e richiudendolo; poi, con un gesto di studiata naturalezza, alzò le spalle e picchiettò un dito sulle pagine ingiallite e macchiate. “Ancora non lo so. Non che la cosa sia di così grande importanza, dopotutto: ciò che conta davvero è che Miranda ora potrà essere felice al fianco del suo principe, senza contare che avrà finalmente l’opportunità di vivere come si addice ad una fanciulla del suo rango. Per quanto riguarda me, mi basta che giustizia sia stata fatta”, il legittimo Duca di Milano piegò la bocca in un mezzo sorriso che, in verità, assomigliava di più ad una smorfia, “Dopotutto, ormai ho quasi cinquantacinque anni. Non penso mi rimanga molto da vivere”.

Lo sguardo di Ariel saettò per un secondo nella sua direzione, le labbra si strinsero in una linea sottile e arruffando le piume che gli ricoprivano le spalle in un gesto inconscio, tornò a guardare le carte strappate a terra. Prospero credette di sentire l’aria farsi più fredda all’interno della stanza mentre un silenzio quasi palpabile calava su di loro, interrotto occasionalmente solo dallo sciabordio delle onde in lontananza e dalle grida degli ultimi gabbiani che ancora inseguivano il sole, in un vano tentativo di non vederlo tramontare.

“Quando avremo finito?”, domandò Ariel all’improvviso, cambiando repentinamente argomento e puntando gli occhi verso l’entrata, da cui era visibile un lembo di cielo rossastro. “Avevamo stabilito che per le sei di oggi sarei stato libero, eppure mi è stato dato ancora un altro compito”.

Prospero rimase interdetto per alcuni lunghi istanti, bloccandosi con una mano a mezz’aria in procinto di afferrare l’ennesima pagina. I suoi occhi si posarono, indagatori, sulla figura esile di Ariel, che era intanto sceso dalla sedia e si era fatto più vicino all’entrata, apparentemente rapito dallo spettacolo di quel tramonto che aveva già visto migliaia di volte; i suoi piedi, come spesso accadeva, sfioravano appena il terreno, ma la sua mano era aggrappata alla pietra levigata che faceva da ingresso, come se si stesse impedendo di scappare. C’era qualcosa di profondamente strano e incomprensibile in quella situazione, tanto che Prospero percorso da un leggero tremito, lasciò ricadere la mano, ancora bloccata in aria, lungo il fianco.

“Manca solo un giorno, Ariel. Non mi sembra di chiedere poi molto”, commentò, lapidario.

Ariel non si voltò verso di lui. “Questo non è altro che un continuo posticipare”, ribatté.

“Si può sapere cosa ti prende oggi?”, sbottò Prospero, chiudendo il libro, che aveva ancora in grembo, con un gesto secco e permettendo ad alcune scintille di irritazione di accendersi dentro di lui. “Mi pare proprio che tu sia ancora più volubile del solito. Hai atteso dodici anni per la tua libertà. Non credo proprio che sarà quest’unico giorno a fare la differenza. O la pensi forse diversamente?”.

Finalmente lo spirito si girò verso il suo interlocutore con uno scatto che fece volare alcuni dei pezzi di carta più vicini. “Come se oggi io fossi l’unico a comportarmi in modo volubile o contraddittorio”, Ariel guardò in basso per un paio di secondi con le labbra tese in una linea sottile, “Ho atteso per dodici anni, hai ragione. Dodici anni in cui tu, a quanto pare, non hai fatto altro che sfruttarmi”.

Prospero sbatté per terra il libro, facendo sobbalzare Ariel, ma non fece alcun gesto d’alzarsi, né si mosse di un millimetro, rimanendosene semplicemente seduto per terra con i pugni stretti e la mascella contratta. Quando li alzò per piantarli in viso allo spirito, i suoi occhi erano accecati dalla rabbia. Ariel era riuscito a sconvolgere la sua calma con un’unica parola.

“Molto bene, allora”, replicò seccamente, continuando a fissare Ariel dritto negli occhi, “Capisco le tue ragioni, ma non temere: nel giro di poche ore, dopo che avrai garantito a mia figlia, alla sua nuova famiglia e a me un viaggio veloce e sicuro verso Napoli, ogni legame fra di noi sarà reciso per sempre. Quindi ora puoi anche sparire dalla mia vista, per quanto mi riguarda”.

Ariel rimase interdetto. Non era certo la reazione che si aspettava.

Prospero poteva chiaramente vedere il movimento frenetico delle iridi incolori dello spirito che rimbalzavano da un angolo all’altro del suo viso, passando dalla piega dura e inflessibile della bocca sino alla fronte corrugata e tesa, per poi fermarsi nei suoi occhi e congelarvisi. L’incantatore osservò con una certa sorpresa le labbra di Ariel schiudersi ed essere attraversate da un breve tremito di parole incapaci di farsi udire.

All’improvviso, l’aria si fece stranamente fredda e il rombo di un tuono risuonò ed echeggiò all’esterno della stanza, seguito dal picchiettare umido di gocce d’acqua sempre più abbondanti e rapide nella loro caduta. Il suono della pioggia echeggiava dentro al torace di Prospero, che stava ritrovando la calma perduta poco prima, stordendolo ed assordandolo mentre fissava le labbra di Ariel che continuavano a tremolare.

Prima ancora che Prospero potesse aprir bocca, Ariel si dissolse nell’aria umida e gelida, scomparendo.

*

Grosse nuvole cariche di pioggia oscuravano la luna da ore, ormai, riversando le gocce di pioggia fitte e pesanti sull’isola, affondando nel mare scuro; di tanto in tanto, un lampo saettava nel cielo, seguito dal brontolio di un tuono, che andava a interrompere il fragore della pioggia e si diffondeva per l’aria umida in un crescendo che arrivava a colpire le orecchie di tutti gli ospiti dell’isola, o quasi. Ferdinando era già addormentato, vinto da una stanchezza tale da donargli un sonno profondo e immune al fragore dei tuoni, ma gli occhi di Miranda rimanevano spalancati nel buio, la mente della ragazza troppo febbrilmente agitata per poterle concedere il riposo che ricercava.

Suo padre era ancora sveglio, lo poteva capire dalla luce che filtrava da sotto la rudimentale porta che separava la camera da letto dallo studio di Prospero. Era tutta la sera che non lo vedeva, si trovò a riflettere Miranda, lanciando uno sguardo preoccupato verso la porta; sapeva bene quanto suo padre fosse abituato a seppellirsi nei propri studi e nelle proprie mansioni, ma qualcosa le diceva che quella notte era diverso, che c’era qualcosa di sbagliato. Forse era il silenzio tombale che proveniva da quella stanza, forse quel temporale improvviso, forse la somma di tutto questo e degli avvenimenti della giornata appena trascorsa, non avrebbe saputo dirlo con esattezza.

La fanciulla si alzò lentamente in piedi, scavalcando gli uomini dormienti con agilità silenziosa e aprendo delicatamente la ruvida porta di legno, intenzionata a chiedere a suo padre di abbandonare qualsiasi cosa stesse facendo almeno per quella notte, o, per lo meno, di raccontarle cosa gli passasse per la testa, così da poter stare in compagnia, se proprio dovevano stare svegli, in quella strana notte di pioggia. Tutti i propositi di Miranda, tuttavia, vennero meno nel vedere suo padre, serio come non mai e interamente avvolto nel proprio mantello, che si apprestava ad uscire.

“Padre?”, lo chiamò in un sussurro, strizzando gli occhi in risposta alla luce delle candele ancora accese, “Dove pensate di andare con questo tempaccio? Rischiate un malanno, questo è sicuro”.

Prospero si girò con lentezza verso la figlia e le sorrise di un sorriso stanco e affezionato. “Ci sono molti errori per cui non ho ancora fatto ammenda, mia dolce figlia. Alcuni mi premono sulla coscienza e sul cuore più di altri. Ma ora torna a dormire, non badare a questo vecchio sciocco che credeva di poter trovare ogni verità nei suoi studi e che ha sempre preferito i dettami della ragione a ciò di cui aveva davvero bisogno e a ciò che la sua anima desiderava, rimanendo con nient’altro che polvere fra le dita”.

Miranda corrugò la fronte. “Temo di non capire”, disse.

“Te l’ho detto: non badare a me, ma torna a dormire”, ribadì Prospero, per poi alzarsi il cappuccio scuro sulla testa e uscire all’aperto, scomparendo in mezzo alla pioggia battente.

*

La notte era buia come non mai, con fredde gocce di pioggia che, riuscendo ad attraversare le fitte fronde degli alberi, arrivavano a colpire la figura incappucciata di Prospero, attraversandogli il mantello e penetrandogli fin dentro la pelle. Eppure, l’uomo andava avanti nella sua ricerca come se nulla di tutto questo lo toccasse, tendendo le orecchie, insieme ad ogni nervo del corpo per captare anche il più debole stormire di vento o la più fioca traccia di magia nell’aria.

Fu in vicinanza di un grosso albero che, finalmente, un sottile frusciare di foglie, riuscendo a superare il rumore della pioggia, attirò l’attenzione di Prospero e lo spinse fino alla fonte del suono. La mano intorpidita dal freddo del mago si appoggiò contro il tronco, tastandone la consistenza ruvida e bagnata mentre il suo sguardo si spostava verso una fronda particolarmente folta.

“Ariel, so che sei lì”, chiamò Prospero, aspettando una risposta che non giunse. “E so anche che ora che sai che sono qui non te andrai da quel ramo”.

Per alcuni secondi non si udì nulla al di fuori del temporale, poi una voce bassa e recalcitrante decise di farsi sentire. “E anche se fosse?”. “Ariel, scendi giù di lì”, gli disse Prospero con un tono cauto e fermo. “O almeno renditi visibile”.

Nel giro di pochi istanti un guizzo di blu apparve fra le foglie e la testa di Ariel si sollevò quel tanto che bastava per poter osservare Prospero da sopra la fronda, esponendo i grandi occhi madreperlacei dello spirito allo sguardo di Prospero, il quale se ne stava ancora immobile sotto alla pioggia. L’uomo allungò una mano, piegando le dita in un gesto che invitava il suo servitore a scendere a terra.

“No”, scosse la testa Ariel, stringendosi di più fra le foglie che attraversavano il suo corpo etereo e tornando a nascondere la testa, “Resto qui”.

“Ariel”, ripeté, allungando nuovamente una mano nella sua direzione, “Scendi, te ne prego”.

Ariel lo fissò per alcuni secondi, per poi scivolare giù per il tronco dell’albero in una corrente d’aria e rendendosi di nuovo visibile agli occhi di Prospero. L’uomo afferrò la mano nuovamente tangibile dello spirito prima che potesse allontanarsi un’altra volta, attirando su di sé lo sguardo confuso di Ariel, che, tuttavia, non cercò di ritrarsi dal contatto.

“Questa pioggia è colpa mia, Ariel?” domandò l’uomo in un soffio, stringendo inconsciamente la mano fresca e sottile che si trovava nella sua.

Lo spirito abbassò lo sguardo, mentre un fulmine attraversava il cielo, illuminando le due figure ritte sotto la pioggia. “Sì e no. Non lo so”, rispose Ariel con una nota tremante nella voce. “Non riesco a capire”.

“Cosa non riesci a capire, mio delicato Ariel?”

Il tuono risuonò.

“Questo. Tutto!”, esclamò Ariel, muovendo la mano libera verso di sé con gesti nervosi e abbozzati, per poi acquietarsi nuovamente. “Per me tutto era molto più semplice ventiquattro anni fa. Conoscevo la gioia, la tristezza, persino la rabbia e la paura, ma nulla di più. Noi spiriti degli elementi siamo così: troppo legati alla Natura e alla sua essenza per provare nulla di più complesso e porci domande su di esso. Anche io ero così, prima di Sycorax, che mi ha costretto a conoscere il disprezzo, l’odio, il desiderio di libertà. Ma quelle erano cose piuttosto facili da comprendere, dopotutto, mentre ora…”.

“Mentre ora…?”, lo incitò a continuare Prospero, sfiorandogli il mento e facendogli alzare la testa, permettendogli di stringergli la mano in una presa che assomigliava di più ad uno spasmo.

“Ora semplicemente non capisco, perché quello che mi si agita dentro non ha senso e sono confuso, e spaventato, e…”, Ariel si interruppe nuovamente, fissando Prospero con quei suoi occhi grandi e, come solo ora l’incantatore riusciva a notare con chiarezza, lucidi. “Io voglio essere libero. Lo voglio con ogni fibra del mio essere, con ogni soffio di vento e goccia di rugiada con cui la magia e la Natura mi hanno plasmato. La libertà è ciò per cui noi spiriti viviamo, ma, allo stesso tempo, ho paura, moltissima paura”.

“E di cosa?”

Ariel ci pensò su per alcuni istanti che a Prospero sembrarono eterni. “Del futuro. Di quello che può succedere, di quello che succederà ora. Di tutte le cose che provo e che non capisco, tutte quelle cose che prima del tuo arrivo sull’isola non pensavo neanche fosse possibile provare”. Il suo sguardo si fece vagamente vacuo, come se fosse alla ricerca di qualcosa che non poteva vedere, toccare, percepire. “Provo una sensazione così strana, di ansia, di gioia, di paura, di tristezza e di dolore. Perché non importa cosa io provi in questo momento: tu ora te ne tornerai fra gli altri uomini senza potermi più spiegare cos’è questo nodo nel mio petto, sparirai dalla mia vita come io dalla tua perché è quello che vuoi e che immagino sia giusto, ma…”

A Prospero si strinse la gola e, senza che potesse far nulla per fermarsi, la sua mano libera andò a posarsi sul viso di Ariel, accomodando la guancia di lui nel proprio palmo e lasciandogli scivolare i polpastrelli intorpiditi fra i capelli mentre cercava le parole. Ariel chiuse gli occhi e si rilassò quasi completamente, abbandonando il peso della propria testa nella mano dell’uomo di fronte a lui.

“Tu credi che io non ti voglia”, mormorò Prospero, facendosi più vicino, lasciando che Ariel gli poggiasse la fronte sulla spalla, “Credi che in questi anni ti abbia usato solo come uno strumento per raggiungere i mei fini e che liberarti libererà anche me”.

Ariel annuì contro la sua clavicola. “Mi sbaglio?”, chiese in un soffio che si diffuse intorno a loro e andò a smuovere i corti capelli sulla nuca di Prospero.

“Sì. Non sei mai stato più lontano dalla verità come in questo momento”, rispose questi, “Sei come un figlio per me, Ariel. E anche se mi si spezza il cuore, io ti concedo la libertà. Non perché liberando te, libererò me di un peso, ma perché è la cosa giusta da fare e perché ti meriti di vivere quella sensazione di gioia che dici di conoscere, ma che in realtà, per ora, conosci solo in parte”, disse Prospero con le lacrime agli occhi e stringendo forte a sé il corpo dello spirito scosso dai singhiozzi. Guardandosi intorno si domandò poi, distrattamente, da quanto la pioggia avesse smesso di cadere.

Bibliografia
William Shakespeare, La Tempesta, tr. it. di Agostino Lombardo, Feltrinelli, 2018

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