L’affittacamere

Alessandro Maria Flavio, in questa sua composizione, riscrive in un’inedita prospettiva il Pericles shakespeariano, nell’ottica del corso I drammi romanzeschi di Shakespeare I: Pericle e Cimbelino. Fonti e motivi, Letterature comparate B, mod. 1, prof.ssa Chiara Lombardi.

Il ragno indietreggiò, raggomitolandosi su se stesso, poi, quando la tela smise di vibrare, ne collegò i fili spezzati.

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Il passo successivo andava pianificato con cura, lo suggeriva l’esperienza. Anni e anni di duro lavoro gli avevano consentito la creazione di un sistema complesso fatto di collaboratori, false promesse, strizzatine d’occhio provate e riprovate allo specchio, cavilli contrattuali sfuggiti a occhi ingenui. Ora, sotto la pioggia battente di un comunissimo mercoledì sera, si sentiva calmo e fiducioso. L’inquilino lo aveva accolto da signore: stretta di mano, “lei”, bicchiere di vino, casa linda. Si era aggirato nelle stanze con il suo timoroso accompagnatore, portandosi alla bocca il calice che reggeva con la mano a coppa. Niente di cui preoccuparsi, una macchia qui, una là. Non sono un decoratore, premetto, ma a occhio non credo ci voglia una fortuna. Avrebbe pensato a tutto lui, ma no, che grazie. Ci mancherebbe.

Salì in macchina e attivò i tergicristalli; tolse il portafogli dalla tasca posteriore dei pantaloni e lo lanciò sul sedile del passeggero. L’acqua scorreva sul vetro dell’auto, vi fu un lampo. Il bagliore illuminò un oggetto che fino ad allora non aveva considerato, un cioccolatino dall’involucro violaceo. Lo recuperò con fatica dal fondo di un vano portamonete, lo mangiò e, mentre si sfaldava nella sua bocca, accese la luce sopra il cruscotto così da stirare l’involucro e leggere al suo interno: non hai amato troppo, ma hai scelto male.

Appena entrato in casa, si buttò sotto il getto caldo e vaporoso della doccia. Chiamerò il decoratore e pianificheremo uno spettacolo di tutto rispetto, ma prima devo individuare un dettaglio rilevante che lo metta all’angolo, ma quale, quale. Alzò la temperatura dell’acqua e rilassò i muscoli delle spalle, massaggiandosi il collo. Con la coda dell’occhio colse qualcosa nell’angolo della cabina, un ragno verdognolo zampettava all’interno della sua tela, avvicinandosi. Ehi dico a te, disse, deviando qualche goccia in direzione dell’animale con una manata. Vivi qui da settimane, ma la casa è mia. Non sarai mica velenoso! Il ragno indietreggiò, raggomitolandosi su se stesso, poi, quando la tela smise di vibrare, ne collegò i fili spezzati.

Ma certo, il fumo! Guarda come si è appannato lo specchio per il vapore, lo stesso si potrà dire delle pareti che, in alcune zone, illuminate come sono, sembrano gialle. Due volte sono andato, due volte il posacenere era stracolmo; dall’odore fuma in casa. Sentì lo scatto della serratura, piedi che strisciavano sullo zerbino: sua moglie. Ripose l’ombrello fradicio ai piedi dell’appendiabiti e sospirò, sollevata. Hai visto là fuori? Una tempesta! Come no, ero nell’altro appartamento fino a mezz’ora fa. E hai appiccato un incendio per riscaldarti. C’è fumo. Sia benedetto, tesoro. Chiuse la porta del bagno e si asciugò i capelli; alle sue spalle, il ragno tesseva.

Ordinarono del cibo indiano, nessuno voleva cucinare. Ascoltarono un giornalista di un’emittente locale dire che la pioggia non sarebbe cessata nemmeno l’indomani. Allerta rossa, rischio alluvione. Un’anziana fuori col cane, dopo esser scivolata sull’asfalto bagnato, era stata strozzata dal grosso animale che, correndo a cercare aiuto, l’aveva accalappiata col guinzaglio, portandola con sé per diversi metri. Vorrei farti conoscere quel mio nuovo collega di cui ti parlavo l’altro giorno, buffo come pochi. Oggi mi ha accompagnata a casa. Perché no, certo. Se hai bisogno di uno strappo comunque chiama. Mi annoio in casa da solo. Sarei anche venuta a piedi, ma passando in macchina mi ha vista e ha iniziato a seguirmi a passo d’uomo. Signorina, diceva, le si scioglie il trucco se continua così. Penseranno che le è successo qualcosa di grave. Signorina, ma che fa, ride?

La interruppe, facendole segno che voleva ascoltare le notizie. Inforcò un pezzo di pollo e lo immerse in una pozza di salsa piccante a margine del piatto. Pioggia, pioggia, pioggia, ancora pioggia. Prese il telefono e scrisse al decoratore: l’indomani lo avrebbe accompagnato all’appuntamento, senza entrare: il confronto doveva essere tra uno specialista e un principiante, nessun intermediario. Poi chiamò la domestica e le chiese di dare una pulita alla casa, sempre l’indomani.

Si svegliò di buon ora, ma il letto era vuoto. In cucina, arrotolato nell’impugnatura della sua tazza c’era un biglietto: cinema stasera? Scrisse un messaggio di scuse, non sapeva a che ora avrebbe finito con l’inquilino: l’appuntamento era in serata. Passò gran parte della giornata alla finestra, osservando la pioggia cadere nelle strade. La canaletta del giardino era allagata. Si puntò tre dita sullo sterno, lo sentiva oppresso. Calzò gli stivali di gomma, recuperò lo sturalavandini nell’armadio in dispensa e uscì sotto il diluvio. Lo strumento si rivelò inutile, fu necessario rimuovere fango e foglie a mano. Voleva farle una sorpresa: piombare in ufficio, caricarla in macchina, correre alla galleria d’arte di fianco al municipio, farle scegliere un quadro, comprarlo, e andare al cinema come da programma. Voleva anche dare un’occhiata al collega. Rientrò in casa e andò in bagno ad asciugarsi; alle sue spalle, il ragno tesseva.

Sotto l’appartamento, ripassò il canovaccio con il decoratore. I volti dei due uomini comparivano e scomparivano al ritmo meccanico dei tergicristalli, che la pioggia superava. Bene, vai.

L’inquilino gli mostrò le macchie individuate dal padrone di casa, una ad una, e chiese un preventivo. Il decoratore spiegò che, se avesse dato il bianco solo in quei punti, la differenza con il resto delle pareti sarebbe stata considerevole. Gli indicò una parete della camera da letto, per te è bianco questo? Crema, forse, ma bianco no di certo. Se avesse voluto gli avrebbe coperto solo le macchie, ma sarebbe stato evidente. Fare un lavoro del genere e presentarlo come proprio non gli avrebbe certo dato credito. Fece un passo verso il centro della stanza e osservò stringendo gli occhi la giuntura tra il soffitto e una parete adiacente. Fumi, vero? Guarda quella zona, è gialla. Fumando in stanza, c’era poco da stupirsi. Inoltre la clausola del suo contratto imponeva che la stanza venisse lasciata come era stata trovata, giusto? L’inquilino assentì. Effettivamente la zona individuata dal decoratore era gialla. E sia, allora. La ringrazio.

Si spartirono i soldi in auto, mentre cercava di raggiungere l’ufficio di sua moglie a una velocità ampiamente punibile per legge. Lasciò il decoratore all’incrocio a lui più comodo e proseguì. Per strada nemmeno un’anima, tombini e grondaie rigurgitavano acqua e detriti dalle bocche sdentate. Parcheggiò sul marciapiedi, giacca tesa sul capo salì le scale del palazzo. Venne fermato dall’usciere: chi era, chi cercava? Gli uffici erano semideserti, il personale addetto alle pulizie lustrava i pavimenti. Chiese di sua moglie e l’usciere riferì: uscita con quello nuovo. Non hai amato troppo, ma hai scelto male, pensò. Controllò il telefono e trovò un suo messaggio, diceva di far con calma, sarebbe andata al cinema comunque. Come poteva essere così sfacciata? Provò a chiamarla ma non rispose. Sbottonò il colletto della camicia e compose il numero di casa. Quando il telefono squillò, la domestica stava spolverando un mobile di fronte all’ingresso del bagno. La signorina? Oh, mi scusi, signora. È passata poco fa con un collega, pesavano cento chili l’uno gonfi d’acqua com’erano. Andati al cinema, quale non si sapeva; interruppe bruscamente la conversazione, la palpebra destra gli tremava. Portare l’amante in casa mentre il marito era assente, dargli la sua biancheria. La domestica stette in ascolto ancora qualche secondo; alle sue spalle, il ragno tesseva.

Passò la serata nell’unico bar aperto, quello della stazione. Aveva bevuto quanto mai in vita sua, ma prese piena coscienza del tasso alcolico che aveva in corpo solo quando si alzò per pagare. Alla cassa, malgrado biascicasse nomi e parole irripetibili, lo guardarono rispettosamente quando aprì il portafoglio e disse rivolto al titolare: non ho amato troppo, ma ho scelto male.

Avevano spento i lampioni. Sebbene a ogni passo rischiasse di rimanere vittima dei tipici ostacoli da marciapiede quali semafori, pali della luce, piastrelle sconnesse, fantasiosi escrementi, si reputava vicino al parcheggio delle auto quando, abbracciando una transenna o renna vista all’ultimo, il portafoglio schizzò via dalla sua tasca e con un glorioso ciaf si immerse in un tombino aperto. Si accucciò, raspando alla cieca nell’acqua torbida, sempre più in profondità, fece leva con le gambe e vi si catapultò dentro, nuotando a rana con gli arti superiori e finalmente, col fiato corto, sentì di averlo preso, ma era incastrato ora, non riusciva a tirare fuori il bacino, quasi l’ingresso si fosse rimpicciolito, strinse le labbra livide e spinse più che poté, senza successo. Le gambe rigide e storte dell’uomo si immobilizzarono di colpo, rami spezzati.

Pochi minuti più tardi, la domestica vide sua moglie scendere da un auto e salutare il collega. Al prossimo film, garantì lei, sarebbero stati in tre senz’altro. Lentamente, senza essere visto, un ragno aggirò la sottana della domestica e si dileguò nel buio sottoscala. Quanta polvere e quante ragnatele in questa casa, signora!

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