Mole Antonelliana

Citato in
G. Tesio, Torino, 1980, III: 190

Passo
Io fui deportato da Aosta a Fossoli, prima della vera e propria deportazione ad Auschwitz. Quando il treno arrivò a Chivasso, era un tramonto di febbraio. Il cielo era torbido ma dalla stazione riuscii a vedere la Mole. Fu quello il momento dello strappo, un addio che mi straziò.

*

Senz’altro curioso, il fatto che la Mole Antonelliana compaia soltanto di scorcio nelle opere di Levi lascia un dubbio a dir poco amletico dietro di sé: come è possibile che il chimico scrittore, affezionato così tanto alla società, non ne citi praticamente mai il simbolo più noto non solo in tutta Italia, ma anche in tutto il mondo? Eppure è così, tant’è che la citazione qui riportata proviene da un’intervista dedicata alla città, fatta a Levi da Giovanni Tesio, e non – come ci si aspetterebbe – da un testo letterario che ne descrive l’aspetto, le qualità, la storia o il significato. Non che questo non ci sia, ma sicuramente manca una descrizione con un rilievo geocritico importante, come è invece per molti altri luoghi.

A ben vedere, tuttavia, emerge chiaramente come la Mole sia, agli occhi di Levi, l’emblema architettonico per eccellenza di Torino: nella linea dei tetti della capitale piemontese, la sua cupola e il suo pennacchio svettano e si fanno riconoscere rendendosi ben visibili da ogni punto della città. La Mole si contende oggi con alcune opere architettoniche quali grattacieli e grandi palazzi il dominio dello skyline che una volta invece spettava a lei sola: guardando Torino dagli occhi di Levi, vediamo infatti la sua cupola innalzarsi maestosa in prospettiva alle montagne che si ergono all’orizzonte. Se ragionassimo infatti sulla presenza di alcune vedute torinesi nelle opere del chimico-scrittore, troveremmo certamente che i più significativi sono quelli legati alle montagne, appunto simbolo di casa poiché il loro profilo è ben visibile (fatto salvo per i giorni di nebbia, o durante acquazzoni e temporali) dalla pianura che punta in alto, verso le Alpi.

Ma alla Mole spetta la presenza in un quadro celeste tutt’altro che positivo: nell’intervista qui riportata, emerge chiaramente come sia l’ultima immagine di Torino che il partigiano deportato Primo Levi vede quando viene condotto verso Fossoli, a Modena, e da lì poi verso la Polonia. Arrivato dalla Val d’Aosta a Chivasso, una città nella periferia di Torino, nel lugubre tramonto in cui quel giorno tanto sfortunato volge al termine, riconosce senza alcuna ombra di dubbio la gigantesca cupola che riempie il suo sguardo di amarezza, nostalgia e paura, come un pargolo che si sente abbandonato dall’abbraccio caldo e confortevole della propria madre: in cuor suo, pur non sapendo dove sarebbe andato a finire e cosa ne sarebbe stato di lui, Levi – magari con leggero sentimento retrospettivo – confessa al suo intervistatore di aver creduto che fosse quello il suo ultimo sguardo alla regina dell’architettura custodita nel centro di Torino.

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