Piazza Statuto – monumento

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Clausura, CS, I: 1044

Passo
Ma anche se non avevo la competenza, mi piaceva lo stesso vederlo crescere, giorno per giorno, e mi sembrava di veder crescere un bambino, voglio dire un bambino ancora da nascere, quando ancora nella pancia di sua mamma. Si capisce che come bambino era un po’ strano perché pesava sulle sessanta tonnellate solo la carpenteria, ma cresceva non così basta che sia, come cresce la gramigna: veniva su ordinato e preciso come nei disegni, in maniera che quando poi abbiamo montato le scalette fra piano e piano, che erano abbastanza complicate, hanno quadrato subito senza che ci fossero da fare dei tagli o delle giunte, e questa è una cosa che dà soddisfazione, come quando hanno fatto il traforo del Fréjus, che ci hanno messo tredici anni, ma poi il buco francese e il buco italiano si sono incontrati con uno sbaglio neanche di venti centimetri, tant’è vero che gli hanno poi fatto quel monumento tutto nero in piazza Statuto, con in cima quella signora che vola.

Fonte: https://www.museotorino.it/images/34/a6/9e/ac/34a69eac45e84c17858add472d4093b2-1.jpg?VSCL=100

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 Anche in un lavoro (quasi) completamente fittizio come La chiave a stella, Levi non manca di citare la sua amata Torino: il deuteragonista del libro, il finzionale Libertino Faussone che il chimico-scrittore crea mettendo insieme i tratti di più operai specializzati conosciuti durante le sue trasferte di lavoro, è infatti legato alla città per più di un motivo. Innanzitutto dal fatto che fa il mestiere che fa, ovverosia il capacissimo montatore di tralicci, proprio perché (come indica chiaramente il suo nome) non intende andare a lavorare alla Lancia, l’enorme fabbrica che inghiotte la personalità dei suoi operai e li getta in uno sconfinato esistenza pullulante di alienazione. Ma anche perché non intende lavorare nell’officina-bottega (la storica boita) di suo padre, né aprirne una propria in futuro (andando dunque contro il naturale mestiere di famiglia). Nell’orchestrazione complessiva del vissuto di Faussone, Torino e la sua geografia diventano un pretesto tramite cui aumentare la verosimiglianza del personaggio: tramite la sua voce, Levi fa riferimenti inconfondibili alla sua città, dando spessore alle osservazioni e ai racconti del suo deuteragonista.

Nell’estratto citato, in particolare, possiamo vedere il montatore di tralicci in azione come prevede la consueta prassi del libro: al pari di un bizzarro e infantile narratore di storie, il suo modo di parlare è irruente, torrenziale, denso di colloquialismi, intercalari, calchi ed espressioni dialettali e, non da ultimo, espressioni tecniche appartenenti al suo settore lavorativo. Il caso qui presentato, infatti, riporta la storia della genesi di una sua grande opera: emerge chiaramente la connotazione biologica che ci fa intuire il colosso di metallo al pari di una creatura vivente, creazione di Faussone che, orgoglioso, ne racconta la costruzione in quella che dovrebbe prendere la forma di un’avvincente epica del lavoro ben fatto.

Il giovane è infatti meticoloso, prodigo e si sente profondamente chiamato a svolgere il suo lavoro: è la sua vocazione, e questo emerge in maniera preponderante dal racconto della sua esperienza lavorativa. In particolare, porta all’attenzione del suo interlocutore la sensazione che si ha una volta concluso un lavoro con maestria e precisione: quando si ammira il proprio risultato, non si può che essere soddisfatti, vedendo rispecchiate le proprie abilità nella perfetta (o quasi) creatura a cui è stato possibile dar vita.

È particolarmente importante il suggello che accompagna questa immagine: ricordando la grande opera ingegneristica che creò uno dei primi punti di contatto diretto tra l’Italia e la Francia tramite la galleria scavata nelle montagne (il traforo del Fréjus, opera che cambiò abissalmente il collegamento di Torino con il resto dell’Europa), il suo pensiero chiama in scena il monumento che torreggia la torinese piazza Statuto. Nella visione giovane montatore, questa non è altro che la celebrazione che inneggia alla perfezione del lavoro riuscito: in un’opera dalle dimensioni ciclopiche quanto quella in questione, gli ingegneri e gli operai incaricati erano riusciti a completarla con un margine di errore di soli venti centimetri, erano riusciti a elaborare previsioni e progettare un piano di azione che è stato rispettato quasi in tutto e per tutto. L’evento epocale meritava dunque una equa opera pubblica che ne ricordasse la grandezza: nella scena raffigurata, la «signora che vola» è una sorta di Nike che raffigura la vittoria del Genio Alato (la perizia umana) contro i Titani (la potenza della natura) che, esausti e sconfitti dallo scontro con la forza che li ha vinti tramite l’ingegno, giacciono sconfitti sul versante della piramide (peraltro realizzata con le stesse pietre estratte durante gli scavi).

Ma piazza Statuto si lega al personaggio di Faussone non solo sotto questo punto di vista: nel luglio del 1962 ospitò una delle storiche manifestazioni torinesi del dissenso operaio. In quei giorni migliaia di lavoratori provenienti dalla Fiat e dalla Lancia scioperarono dalle loro mansioni e, protestando contro il sindacato in reclamo dei loro diritti, si unirono e si scontrarono duramente con le forze dell’ordine, creando un vero e proprio piccolo campo di battaglia all’interno della città.

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