Citato in
P. Lucarini, Intervista a Primo Levi, 1983, III: 369
Passo
Cominciai a scrivere per liberarmi dell’angoscia che dentro di me aveva lasciato Auschwitz. Ero sfiduciato. Di notte rivedevo in sogno tutti gli incubi del Lager. Ero ossessionato dalla memoria dei tanti compagni morti, dalla scomparsa di una donna che mi era stata vicina. Istintivamente ho cominciato a scrivere e mi sono via via liberato. Poi ho scoperto che non avevo inventato nulla […] Franco Antonicelli, che allora dirigeva una piccola casa editrice, la De Silva, mi incoraggiò. Di Se questo è un uomo stampò millecinquecento copie. Se ne vendettero mille, le altre sono annegate a Firenze durante l’alluvione perché la Nuova Italia, che aveva preso i diritti, teneva i volumi in uno scantinato.
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Nella formula chimica che lega Primo Levi alla letteratura, non bisogna dimenticare di inserire anche l’elemento metaforicamente rappresentato dall’editore: senza, Levi non sarebbe nemmeno riuscito a pubblicare il suo primo live, non avrebbe guadagnato alcuna visibilità con la riedizione del suo primo capolavoro e non sarebbe stato così noto nel dibattito pubblico del suo tempo. Nel centro di Torino si trovano tutte e tre le case editrici che furono importanti nella sua carriera di scrittore: luoghi in cui doveva recarsi per conoscere i suoi editor, confrontarsi con loro e discutere le linee d’azione da intraprendere. Nel suo pluriennale rapporto con il settore editoriale, infatti, Levi seppe ben sfruttare le proprie carte (letteralmente) e riuscì a pubblicare molti (se non l’insieme intero) dei suoi lavori.
Prima di ogni percorso editoriale che il chimico-scrittore intraprese, sta senza dubbio la ancestrale vicenda con l’editore Francesco De Silva, fondato da Franco Antonicelli, una personalità di spicco della cultura torinese e del nostrano pensiero antifascista. Fu proprio lui a gradire particolarmente il resoconto della vicenda concentrazionari a e il prigioniero 174517 aveva condensato in poche ma importanti pagine. Tanto importante che, penso Antonicelli, l’Italia e il mondo intero dovevano conoscerle: fu lui a credere in Levi proprio quando Einaudi (l’editore che avrebbe poi pubblicato la maggior parte dei lavori del chimico-scrittore, a partire dalla riedizione ampliata di Se questo è un uomo nel 1958) aveva invece deciso che di quel libro non ne avrebbe fatto un granché.
Appare oggi eclatante la misura in cui Einaudi e i critici che rifiutarono la proposta di Levi si sbagliavano: Antonicelli, dall’altro lato, aveva invece fiutato il talento di colui che non era soltanto un reduce, ma si accingeva – poco alla volta – a guadagnare la statura di un vero e proprio scrittore.
A causa della lenta e aspra ripresa nei primi anni del Dopoguerra, le copie della prima edizione di Se questo è un uomo apparirono in tiratura ristretta: questo era probabilmente sintomo del fatto che anche Antonicelli stesso sapeva bene che i tempi non erano ancora completamente maturi per ascoltare i racconti dei reduci dei campi di sterminio (per questo stesso motivo, vuole la vulgata, Einaudi rifiutò il manoscritto). Quando poi la De Silva, già dopo pochi anni di attività, dovette cessare la propria produzione e vendere tutto alla fiorentina Nuova Italia, le copie in esubero vennero trasferite a Firenze, dove andarono distrutte a causa di una rovinosa alluvione. La prima edizione di questo libro è infatti estremamente rara, e ha un valore molto alto sul mercato antiquario, reso ancora più significativo dalla sua travagliata vicenda commerciale.
Non risultano a questa ricerca, purtroppo, passi dell’opera di Levi in cui venga descritto l’edificio che ospitava la redazione della piccola casa editrice (mentre il nome ricorre più volte nelle interviste). Ciononostante, l’indirizzo della sede storica (nella centralissima via Bertola) è stato tramandato ed è arrivato su più di un articolo di giornale. Sebbene non ci sia alcuna parola ufficiale che dimostri un’effettiva visita di Levi a questo luogo, nulla ci vieta di immaginarcelo mentre, partito da casa sua in corso re Umberto con ben stretto sul cuore il malloppo bruciante delle sue memorie, si destreggia scansando le macerie che ingombrano i lati delle strade e spesso ostruiscono il passaggio, magari percorrendo in linea retta l’asse di Re Umberto che sbocca in centro su via Cernaia e, finalmente e senza alcuna ambizione letteraria, consegna il viluppo di ricordi autorevolmente filtrato e ordinato affinché le sue parole possano essere impresse sulla carta stampata una volta per sempre, affinché possano scolpire la gorgonea verità di Auschwitz in quanti più cuori possibile.