Citato in
A. Rudolf, Primo Levi a Londra: un’intervista, 1986, III: 630
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Nella formula chimica che lega Primo Levi alla letteratura, non bisogna dimenticare di inserire anche l’elemento metaforicamente rappresentato dall’editore: senza, Levi non sarebbe nemmeno riuscito a pubblicare il suo primo live, non avrebbe guadagnato alcuna visibilità con la riedizione del suo primo capolavoro e non sarebbe stato così noto nel dibattito pubblico del suo tempo. Nel centro di Torino si trovano tutte e tre le case editrici che furono importanti nella sua carriera di scrittore: luoghi in cui doveva recarsi per conoscere i suoi editor, confrontarsi con loro e discutere le linee d’azione da intraprendere. Nel suo pluriennale rapporto con il settore editoriale, infatti, Levi seppe ben sfruttare le proprie carte (letteralmente) e riuscì a pubblicare molti (se non l’insieme intero) dei suoi lavori.
«La Stampa» è, a buon diritto, una di quelle realtà. Punto di riferimento per la cultura, la politica, l’informazione e la vita cittadina del capoluogo piemontese, è tra i più longevi quotidiani nazionali ed è stata senza dubbio una delle testate più vendute ai tempi di Primo Levi. Ha senza dubbio contribuito a ingrandire enormemente la sua fama, avvicinandolo ad un bacino di utenti sempre più grande, non da ultimo permettendo a tanti nuovi lettori di seguire le sue frequenti collaborazioni.
Nel suo complesso, questa attività fu per il chimico-scrittore una sorta di palestra: sin dal 1959 «La Stampa» gli concesse spazi relativamente ampi sulle sue pagine, i quali aumentarono esponenzialmente nel corso degli anni. Se in un primo periodo la produzione giornalistica di Levi contava poco più di qualche articolo in un intero anno, negli anni Settanta-Ottanta la sua collaborazione con il quotidiano aumenta a dismisura, toccando picchi di più di cinque articoli al mese. Questi testi hanno, coerentemente ai versatili interessi di Levi, nature disparate: spaziano dagli scritti di riflessione, concentrati sull’attualità oppure ancora sul ricordo del Lager, a quelli di approfondimento, e contano anche racconti (buona parte del Sistema periodico e di Lilít, ad esempio, furono anticipati in queste uscite) e recensioni di libri, mostre ed eventi culturali. E non si tratta soltanto di articoli: i rotocalchi de «La Stampa» impressero negli anni anche diverse poesie di Levi, il cui cosiddetto “primo grappolo” (per usare la definizione di Levi stesso) conta diversi esemplari pubblicati qui e poi conversi nelle raccolte (esattamente come succede con gli articoli).
Il risvolto giornalistico non è però l’unica sede di apparizione dei lavori di Levi: nel 1986, un anno prima della sua scomparsa, il chimico-scrittore suggella l’ormai quarantennale rapporto con il giornale pubblicando presso l’omonima casa editrice la raccolta Racconti e saggi, che riunisce molti dei testi già pubblicati sulle pagine del quotidiano nella prima metà degli anni Ottanta.
Non risultano a questa ricerca, purtroppo, passi dell’opera di Levi in cui venga descritto l’edificio che ospitava la redazione del giornale (mentre il nome ricorre più volte nelle interviste). Ciononostante, l’indirizzo della sede storica (in via Marenco, seppur fosse prima in via Roma, presso la Galleria San Federico, come mostrato nell’immagine qui sotto) è ormai di dominio pubblico.
Sebbene non ci sia alcuna parola ufficiale che dimostri un’effettiva visita di Levi a questo luogo, nulla ci vieta di immaginarcelo mentre, partito da casa sua in corso re Umberto, ripercorre verso sud il centro della città, direzione periferia, passa lo squarcio dei binari ferroviari e fa rotta verso l’ansa del Po, portando con sé un plico di fogli da sottoporre all’attenzione di un interessato editor, mentre acquisisce sempre più sicurezza della propria statura di scrittore, pubblicazione dopo pubblicazione.