Il ‘gioco’ dell’ékphrasis nel Persiles di Cervantes

di Alessandra Aprea

In questa ‘lettura’, si propone un’esposizione critica dell’ultima opera di Cervantes, Los Trabajos de Persiles y Sigismunda. Historia Septentrional, mettendo in luce l’impiego dell’ ékphrasis da parte dell’autore spagnolo in alcuni snodi fondamentali della storia. 

La scrittura e l’immagine abitano da sempre una tensione irrisolta: la prima tenta di dare forma all’invisibile, la seconda di rendere visibile ciò che sfugge alla parola. L’immaginazione umana in questo circolo è di essenziale importanza, come ci viene descritto anche da Calvino in Lezioni americane: attraverso il testo, il lettore costruisce mentalmente scene, volti e ambientazioni, attivando un processo di visualizzazione interiore che varia in intensità a seconda della qualità e della suggestione della scrittura [1]. Questo fenomeno, strettamente legato alla potenza evocativa del linguaggio, mostra come la letteratura sia capace di rendere visibile ciò che di per sé è astratto, trasformando parole in immagini mentali più o meno definite.
Riguardo a ciò che accomuna l’atto di scrivere e quello di dipingere, Cervantes, nella sua ultima opera, sostiene, all’interno di uno dei suoi tipici inserti metadiscorsivi: «La storia, la poesia e la pittura si rispecchiano vicendevolmente e sono così somiglianti che quando stai scrivendo storia, dipingi, e quando stai dipingendo, componi» [2]. In questo passaggio, l’autore spagnolo propone una visione sorprendentemente moderna dell’osmosi tra arte e scrittura e mostra come entrambi i mezzi espressivi condividano un orizzonte di evocazione dell’immagine e creazione di simboli e significati. [3]
Gli autori, sia in prosa che in versi, ricorrono frequentemente a diverse tecniche per modellare e conferire vividezza e spessore alla parola scritta. Tra queste, troviamo, per esempio, la metafora, la sinestesia e la personificazione, che donano al testo un maggior significato e impatto. Un altro strumento di grande rilevanza per gli scopi appena illustrati, e non solo, è l’ékphrasis, definita da Cometa come «la forma più tradizionale di rapporto tra letteratura e arti figurative». [4] Questo lavoro si propone di esplorare proprio l’uso di tale espediente nella letteratura spagnola del Siglo de Oro, con focus particolare sull’ultima grande opera di Miguel de Cervantes, Los trabajos de Persiles y Sigismunda. Historia septentrional, pubblicata postuma nel 1617. L’ékphrasis, che intreccia l’immagine visiva con la narrazione, assume un ruolo centrale nell’opera, offrendo spunti di riflessione sia sul piano visivo che metanarrativo. In questa analisi, si prenderà in considerazione in particolar modo la descrizione di un lienzo, fatto realizzare dal protagonista del libro, Periandro-Persiles, e si esaminerà poi l’inserimento delle rappresentazioni pittoriche dell’altra protagonista, Auristela-Sigismunda.
Il Persiles fu un’opera annunciata da Cervantes con largo anticipo e grande trepidanza, sintomo dell’importanza che l’autore le attribuiva. Già nel prologo delle Novelas ejemplares (1613), l’opera era descritta come capace di competere con i più illustri romanzi greci, come le Etiopiche di Eliodoro. Un anno dopo, nel Viaje del Parnaso, l’autore sottolinea le sue grandi aspettative usando l’aggettivo “gran”. Nel 1615, Cervantes ne parla anche nel prologo della seconda parte del Don Quijote e nella dedicatoria delle Ocho comedias y ocho entremeses, annunciando il completamento imminente. Nella dedica al Don Quijote, scrive che l’opera sarebbe stata “o il più cattivo o il migliore libro di intrattenimento in castigliano”, esprimendo fiducia, ma anche consapevolezza del rischio nel confrontarsi con un genere consolidato. Nonostante le alte aspettative, la fortuna critica del Persiles è stata inferiore a quella sperata e soprattutto è stata oscurata dall’immenso successo del Don Quijote, che è stato riconosciuto come il vero capolavoro di Cervantes. L’opera è divisa in quattro libri e narra la storia del principe dell’isola di Thule, Persiles, e della principessa dell’isola di Frislandia, Sigismunda. I due innamorati, fingendosi fratello e sorella, assumono i nomi di Periandro e Auristela e, nel corso del romanzo, seguiamo le loro vicende e gli incontri con personaggi eccentrici, talvolta determinanti per lo sviluppo degli eventi. Il loro viaggio inizia a Thule e si estende attraverso il mare settentrionale nei primi due libri. A partire dal terzo, i protagonisti giungono a Lisbona, segnando l’inizio di una nuova fase del racconto, ora ambientato in terre meridionali. Da lì, il loro percorso prosegue verso Roma, meta dichiarata fin dalle prime pagine del libro. La stesura del Persiles si inserisce in un clima letterario caratterizzato da una forte ripresa del romanzo greco e, come molti altri titoli del periodo, presenta diversi elementi che possono rappresentare punti di contatto con questo modello narrativo. In particolare, è evidente il confronto con Eliodoro, con cui l’opera si pone apertamente in competizione. Tali elementi sono riscontrabili, per esempio, nell’inizio in media res, il gran numero di peripezie, la proliferazione di narrazioni secondarie, travestimenti e ambientazione in “terre esotiche”. È a questo universo letterario che si ispira Cervantes, il quale comunque non resta indifferente alle teorie letterarie del XVI e XVII secolo, cercando di creare un’“opera epica in prosa”. [5] Lo studioso ispanista e cerventista Edward C. Riley riflette in merito alla questione illustrando proprio come Cervantes, seguendo la tradizione di Eliodoro e dei romanzi bizantini, tenta di unire anche la tradizione epica e la narrazione amorosa e d’avventura tipica dei romance cavallereschi. Tuttavia, il Persiles risultò mantenere una struttura molto più rigida e idealizzata, mentre il Don Quijote trasforma l’eredità letteraria del passato attraverso l’ironia e la figura dell’antieroe, con il risultato di occupare lo spazio che l’autore aveva riservato al Persiles, quasi per ironia della sorte. [6] Cervantes, pertanto, raccoglie molto dalle tradizioni del passato, e non si limita solo all’epica e ai romance, tanto che nei suoi scritti e in particolar modo nel Quijote e nel Persiles, due opere che in qualche maniera comunicano sempre tra di loro, risuonano echi dei canoni classici antichi, di Petrarca e del Rinascimento italiano in generale. Nelle sue opere, l’autore riflette frequentemente sull’idea oraziana dell’ut pictura poesis, un topos critico ricorrente in Cervantes. Egli inserisce spesso esempi di contaminazione tra arte visiva e scrittura, rendendo così le sue opere intrise di un forte pittorialismo. È sufficiente pensare all’episodio emblematico dei mulini a vento presente nel Don Quijote, episodio in cui il lettore è portato a immaginare non solo gli oggetti descritti, ma anche la loro trasformazione nella mente di Don Quijote. [7]
Si arriva a questo punto ad esplorare il rapporto tra Cervantes e l’uso dell’ékphrasis, la quale è una vera e propria acquisizione o, meglio, un’integrazione, di un’opera pittorica o sculturea (esistente oppure inventata) all’interno del testo scritto. Questa tecnica, che affonda le sue radici nell’antichità e fu particolarmente diffusa durante il periodo della Seconda Sofistica, consente di evocare, attraverso la scrittura, delle immagini vivide, ponendo l’oggetto direttamente davanti al lettore. In tal modo, la narrazione diventa più complessa e interessante.
Nel Persiles, l’uso dell’ékphrasis e di altre tecniche di visualizzazione non solo arricchisce la narrazione, già ampiamente caratterizzata da “commisture estetiche”, ma alimenta anche un dialogo metadiscorsivo e metanarrativo. L’episodio di Ruperta, per esempio, collocato nei capitoli sedicesimo e diciassettesimo del terzo libro, è presentato attraverso una lunga scena teatrale che trasforma i personaggi principali in spettatori. Questo inserto riflette la “fluidità intergenerica” della scrittura cervantina. [8] Oltre a ciò, sono presenti personaggi strettamente legati al mondo delle arti come Clodio, il “poeta satirico” del re; oppure Rutilio, maestro di danza senese, rappresentante dell’influenza della cultura italiana e la mescolanza di arti performative all’interno del romanzo; o ancora la figura di Feliciana de la Voz, con la sua voce stupenda, è uno degli esempi dell’inserimento della musica e del canto nella narrazione. In aggiunta, anche nel Persiles si possono notare diverse sequenze che posseggono una forte visibilità e, per citarne alcune, si può fare riferimento alla sequenza dell’isola sognata al quindicesimo capitolo del secondo libro oppure alla regata delle barche allegoriche nel capitolo dieci del secondo libro.
Uno degli esempi più significativi di ékphrasis all’interno dell’opera spagnola è quella del lienzo ordinato da Periandro a Lisbona, all’inizio della terza parte del romanzo. I viaggiatori sono appena approdati sulla terra ferma, finalmente il loro girovagare in nave è terminato e da qui in poi potranno proseguire via terra il pellegrinaggio verso Roma. Il loro arrivo a Lisbona viene subito notato e tutti, «da gente plebea a cortigiana», sono meravigliati dalla stravaganza degli abiti che indossa il gruppo di nuovi arrivati e dall’estrema bellezza di alcuni di loro. Nei giorni trascorsi a Lisbona l’insolito gruppo si ritrova nella casa di un pittore famoso, del quale non ci è dato sapere il nome, ed è proprio qui che Periandro commissiona una tela:

«Di lì si diressero verso la casa di un famoso pittore, dove Periandro ordinò che, su una grande tela, fossero dipinti tutti i principali momenti della sua storia. Da un lato il pittore dipinse l’isola Barbara in fiamme, e lì vicino l’isola della prigione, e un poco più in là, la zattera o il fasciame sul quale lo trovò Arnaldo quando lo raccolse sulla sua nave; da un altro lato si poteva vedere l’isola nevosa, dove l’innamorato portoghese aveva perso la vita; poi, la nave che i soldati di Arnaldo avevano perforato; lì vicino dipinse la separazione della scialuppa dalla barca; qui appariva il duello degli amanti di Taurisa e la loro morte; là stavano segando la chiglia della nave che si era trasformata in sepolcro per Auristela e per quanti viaggiavano con lei; più in là si trovava la piacevole isola dove Periandro aveva visto in sogno i due squadroni delle virtù e dei vizi; e lì vicino la nave dove i pesci naufraghi avevano attanagliato i due marinai seppellendoli nel loro ventre. Non dimenticò di dipingere il momento in cui si trovarono bloccati nel mare ghiacciato, l’assalto e il combattimento della nave e la resa a Cratilo; dipinse anche l’ardita corsa del possente cavallo, il cui conseguente spavento l’aveva trasformato da leone in agnello (perché quelli così con un po’ di paura diventano mansueti); dipinse poi come in abbozzo e in un piccolo spazio le feste di Policarpo, con l’incoronazione dello stesso Periandro come vincitore delle stesse. Insomma, non ci fu avvenimento importante di quella storia che non apparisse lì raffigurato, includendo anche la città di Lisbona e lo sbarco negli stessi abiti con cui erano giunti. Si poteva ancora vedere nella rnedesima tela l’incendio dell’isola di Policarpo, Clodio trapassato dalla freccia di Antonio e Cenozia appesa a una forca; né fu trascurata l’isola degli Eremitaggi e Rutilio in aspetto di santo». [9]

In questa tela, dunque, vengono rappresentati tutti gli avvenimenti e i trabjos più significativi dei primi due libri, ambientati in terre settentrionali, costruendo una vera e propria narrazione visiva parallela alla storia in corso. [10] L’ékphrasis qui riportata è peculiare perché essa svolge una funzione retrospettiva e metanarrativa, condensando gli eventi narrati all’interno dell’immagine dipinta. [11] L’analisi del lienzo del Persiles proposta dal dott. Basso, mette in evidenza che tale ricapitolazione visiva è una particolare forma di mise en abyme, in cui la narrazione ripiega su se stessa trasformandosi in immagine. Processo che ribalta la tradizionale direzione dell’ékphrasis: non è il quadro a dare spunti per il racconto (come accade, per esempio, nell’ékphrasis nel Carme 64 di Catullo in cui la coperta racchiude il mito di Teseo e Arianna e, successivamente, di Bacco e Arianna), ma è il racconto a condensarsi all’interno della tela. Rispetto alla tradizione greca, inoltre, Cervantes introduce una variazione significativa: nel Persiles, non è il narratore a presentare il quadro, ma lo stesso protagonista, Periandro, che commissiona la sua realizzazione. Questo gli permette di riscrivere, per certi versi, la propria storia, includendo eventi mai avvenuti nella realtà diegetica del racconto (come sogni e visioni) e modificandone altri, come la rappresentazione delle feste di Policarpo, che avevano suscitato la gelosia di Auristela, in quanto la figlia del re, Sinforosa, aveva dimostrato un particolare interesse amoroso nei confronti di Periandro, ignara del fatto che lui e Auristela fossero segretamente innamorati, ma si fingevano fratelli per proteggere la loro relazione. Per evitare di riaccedere quelle spiacevoli sensazioni nella sua amata, la quale si era anche ammalata per il dispiacere al momento dell’accadimento dei fatti, Periandro fa dipingere la scena in modo ridotto e sfocato. È importante sottolineare, inoltre, che la funzione del lienzo non si esaurisce nella ricapitolazione degli eventi, ma assume proprio un ruolo performativo nei capitoli successivi del libro, essendo che è una tela che Periandro ha proprio commissionato pensando alla “declamazione pubblica”:

«Questa tela forniva una specie di quadro riassuntivo che li dispensava dal raccontare dettagliatamente la loro storia, perché Antonio il giovane si limitava a illustrare il significato delle immagini quando lo invitavano a farlo». [12]

Un’ occasione significativa in questo senso si presenta quando i pellegrini si ritrovano a dover dimostrare la loro innocenza per l’omicidio di un certo don Diego de Parraces (III, 4). In questa circostanza, il lienzo viene utilizzato per aiutare i pellegrini a scagionarsi dall’accusa, come se fosse un documento ufficiale che attesta che non c’è nessun legame tra loro e il malcapitato. Esso si ritrova poi ad assumere una valenza ironica e metanarrativa quando, mostrato a un commediografo (III, 2), questo si interroga sul possibile genere della storia raffigurata, e quindi della storia che ci è stata raccontata fino a questo momento, sottolineando ancora una volta la fluidità della narrazione cervantina, la quale mostra sempre una certa resistenza alle etichette di genere.
Il percorso del lienzo termina circa a metà del terzo libro, quando Antonio si ricongiunge con la sua famiglia, i Villaseñor, ed è proprio all’anziano capofamiglia che viene lasciata la tela, poiché aveva espresso il desiderio di tenerla per sé, in modo da avere i ritratti dei suoi nipoti e della bellissima Auristela. Vale la pena, a questo punto, soffermarsi proprio sull’irrappresentabile bellezza di quest’ultima. L’ékphrasis, infatti, termina così:

«Ma, dove maggiormente espresse le sue doti quel pittore famoso fu nel ritratto di Auristela, nel quale, dicevano, aveva dimostrato di saper dipingere una bella figura, sebbene in qualche modo le avesse fatto torto perché la bellezza di Auristela non poteva essere rappresentata da nessun pennello al mondo, a meno che non fosse guidato da un pensiero divino». [13]

Questa osservazione, che evidenzia l’insufficienza della pittura nel rendere la vera bellezza di Auristela, introduce un elemento fondamentale nella questione dei ritratti presenti nel Persiles: il divario tra la realtà e la sua rappresentazione. Nell’opera, infatti, l’immagine della protagonista si diffonde attraverso vari ritratti (i quali vengono realizzati anche a sua insaputa) che plasmano la percezione che gli altri personaggi hanno di lei. In tal modo, la bellezza di Auristela non è mai semplicemente ciò che appare, ed è anche qualcosa che sfugge alla rappresentazione, segnalando la tensione tra l’essere e l’immagine, tra il visibile e l’invisibile. In aggiunta, questo aspetto, così centrale nell’opera di Cervantes rappresenta il fil rouge che lega l’inizio del terzo libro con il finale dell’opera, quando i protagonisti arrivano a Roma. [14]
Il primo ritratto di Sigismunda-Auristela compare ancor prima dell’inizio della narrazione vera e propria e il lettore ne viene a conoscenza solo nel quarto libro con il racconto di Serafido (IV, 12): la madre di Persiles lo invia al primogenito Maximino, il quale, vedendolo, si innamora immediatamente del soggetto dipinto, dando l’approvazione al matrimonio con Sigismunda. Questo evento è scatenante per l’intera vicenda narrata, in quanto anche Persiles, conoscendo dal vivo Sigismunda se ne innamora e lei ricambia i suoi sentimenti. È per questa ragione che i due giovani decidono di scappare, camuffarsi da fratello e sorella e raggiungere Roma. Il ritratto fa in modo che Sigismunda-Auristela diventi l’oggetto del desiderio (nel caso di Maximino) prima ancora dell’incontro con la persona reale e che, di fatto, ne determini il destino. La capacità del dipinto di suscitare questo amore idealizzato, messa in evidenza dal dott. Basso, rientra nella tradizione umanistica e rinascimentale dell’imago spiritans, secondo cui l’immagine di una persona può influenzare le emozioni e la realtà stessa. Nel terzo libro, un pittore francese, senza il consenso di Auristela, e attraverso il solo ricordo dell’immagine di lei, realizza un nuovo ritratto della giovane, che viene poi inviato al duca di Nemours, in cerca di moglie. Questo dipinto diventa, qualche capitolo dopo, il motivo scatenante di una rissa tra il duca e Arnaldo, [15] entrambi innamorati di Auristela più per la sua bellezza e apparenza che per la sua essenza. L’importanza dei ritratti di Auristela si amplifica quando i protagonisti vengono a sapere che in Portogallo l’immagine dipinta della giovane ha avuto un’ampia diffusione e che ne sono state realizzate numerose copie. Tale proliferazione contribuisce a creare un’identità diffusa e moltiplicata della protagonista, che si trasforma quasi in un’icona astratta piuttosto che in una persona reale. Il tema è amplificato dal fatto che Auristela stessa si muove attraverso diverse identità e travestimenti nel corso della narrazione: la sua immagine si moltiplica non solo nei dipinti, ma anche nelle molteplici versioni di sé che la protagonista assume. Basti pensare al suo travestimento da ragazzo sull’isola barbara all’inizio dell’opera o, più in generale, al fatto che per quasi tutta la storia si finga sorella di Periandro, nonostante siano innamorati. Ignacio López Alemany sottolinea come il costante rimando da un ritratto all’altro generi una progressiva perdita di contatto con l’originale, creando una frattura tra l’Auristela reale e la sua rappresentazione artistica. [16] Infine, un ulteriore ritratto di Auristela viene trovato dal gruppo a Roma, in via dei Banchi, con un dettaglio significativo: la protagonista è raffigurata con una corona spezzata e un globo ai suoi piedi. In primo lugo, è interessante notare come sono i personaggi stessi del libro a chiedersi cosa mai possa significare quella corona spezzata e quella raffigurazione nel suo complesso:

«Auristela, stupita, domando di chi fosse quel ritratto e se per caso lo si vendesse. Il proprietario – che risultò puoi essere un famoso pittore – le rispose che il ritratto era in vendita ma che non conosceva l’identità del modello; sapeva soltanto che un altro pittore, amico suo, glielo avevo fatto copiare in Francia, dicendogli che era ritratto di una giovane straniera che in abiti da pellegrina andava a Roma.
E che significato ha – replicò Auristela – l’averla dipinta con una corona in testa e con quella sfera sotto i piedi? E perché la corona è divisa a metà?
Questi dettagli, signora – disse il proprietario del quadro -, sono fantasie di pittori o “capricci” come li chiamano loro». [17]

Ci troviamo di fronte a un’altra tecnica descrittiva, molto apprezzata durante la Seconda Sofistica, il cui valore non risiede tanto nella descrizione in sé, quanto piuttosto nell’invito rivolto al lettore a partecipare attivamente all’interpretazione del testo. Il pittore, infatti, riguardo alla spiegazione del significato del dipinto risponde in maniera evasiva, riducendo la particolarità della rappresentazione a una «fantasia» o a un «capriccio» del pittore. [18] Il dipinto in questione, inoltre, presenta una disposizione che richiama l’iconografia tradizionale della Madonna (un aspetto che sarebbe molto interessante da approfondire in altre sedi), ma conduce anche a riflessioni temporali riguardo all’opera stessa. In questo senso, il dipinto richiama la tela commissionata a Lisbona, contesto nel quale si ricorda l’affermazione sulla bellezza di Auristela, la quale, se non ispirata da una volontà divina, sarebbe stata irraggiungibile per qualsiasi pennello umano. Allo stesso modo, riflette le sue recenti scelte in relazione alla vera fede e, allo stesso tempo, anticipa le difficoltà che affronterà, in particolare durante la sua crisi dopo essere stata avvelenata; quindi, è proiettato a un futuro imminente. [19]
In conclusione, sulla questione dei ritratti di Auristela, merita un approfondimento il risultato a cui porta la costante opposizione dell’immagine ritratta della protagonista e la sua figura reale. I personaggi che si innamorano di lei, infatti, spesso non vedono la persona, ma la sua immagine idealizzata. Da ciò emerge una tensione costante tra due concezioni d’amore nell’opera: da un lato c’è l’amore petrarchesco, dall’altro l’amore coniugale. La questione dei ritratti di Auristela ne offrono una perfetta esemplificazione. I personaggi come il duca di Nemours e Arnaldo si innamorano di un’immagine idealizzata della protagonista, incarnando un amore platonico e irraggiungibile, simile a quello descritto dalla tradizione petrarchesca. Questo tipo d’amore è statico, astratto e dipendente dall’idea della bellezza come principio assoluto. Al contrario, l’amore di Persiles per Sigismunda è di natura diversa: non si basa sull’adorazione di un’immagine, ma sulla condivisione di esperienze, sulla crescita reciproca e sulla costruzione di un futuro insieme. Questo amore, definito da López Alemany come “storico”, è radicato nel tempo e nello sviluppo dei personaggi, e si oppone alla fissità del desiderio alimentato dai ritratti. [20]

Note

[1] I. Calvino, Lezioni Americane. Sei proposte per il prossimo millennio, Milano, Mondadori, 1993, p.93.
[2] M. de Cervantes, Los trabajos de Persiles y Sigismunda. Historia septentrional (1617), trad. it. Le avventure di Persiles e Sigismonda. Storia settentrionale, Venezia, Marsilio, 1996, p.468.
[3] K. L. Selig, ‘‘Persiles y Sigismunda: Notes on Pictures, Portraits, and Portraiture’’ Hispanic Review, 41, 1973, pp. 305–312.
[4] M. Cometa, La scrittura delle immagini. Letteratura e cultura visuale, Milano, Cortina, 2012, p.15.
[5] M. Sanna, “El Persiles: “libro que se atreve a competir con Heliodoro”. Análisis de una imitación”, Artifara, 4, 2004, pp. 93-111.
[6] E. C. Riley, Cervantes’s Theory of the Novel (1962), trad. It. La teoria del romanzo in Cervantes, Bologna, il Mulino, 1988, pp. 105-115.
[7] F. A. De Armas, “Simple Magic: Ekphrasis from Antiquity to the Age of Cervantes” in Ékphrasis in the Age of Cervantes, F. A. De Armas (ed.), Lewisburg, Bucknell University Press, 2005, pp. 13-31.
[8] M. C. Pangallo, “Una Magnifica Intrusione” in 23 Aprile 1616: Cervantes e Shakespeare diventano immortali, F. Marenco e A. Ruffinatto(ed), Bologna, il Mulino, 2017, pp. 249-260.
[9] M. de Cervantes, Los trabajos de Persiles y Sigismunda. Historia septentrional (1617), trad. it. Le avventure di Persiles e Sigismonda. Storia settentrionale, cit., pp. 369-370.
[10] K. L. Selig, ‘‘Persiles y Sigismunda: Notes on Pictures, Portraits, and Portraiture’’ Hispanic Review, 41, 1973, pp. 305–312.
[11] I. Lozano Renieblas, “La función de la «écfrasis» en el «Persiles»”, in Actas del Tercer Congreso Internacional de la Asociación de Cervantistas, A. P. Bernat Vistarini (ed.), Palma, Universitat de les Illes Balears, pp. 507-515.
[12] M. de Cervantes, Los trabajos de Persiles y Sigismunda. Historia septentrional (1617), trad. it. Le avventure di Persiles e Sigismonda. Storia settentrionale, cit., pp. 369-370.
[13] Ibidem.
[14] K. L. Selig, ‘‘Persiles y Sigismunda: Notes on Pictures, Portraits, and Portraiture’’ Hispanic Review, 41, 1973, pp. 305–312.
[15]Arnaldo, principe di Danimarca, è uno dei primi personaggi a innamorarsi di Auristela. Il suo amore nasce all’inizio del libro, quando la vede per la prima volta dopo averla salvata dai barbari. La sua presenza è costante nel viaggio e questo sicuramente dimostra la sua determinazione, ma anche la sua incapacità di comprendere i veri sentimenti di Auristela, che non lo ricambia. Quando il gruppo arriva a Roma, infatti, Arnaldo è ancora convinto che Auristela possa sciogliere i voti e sposarlo.
[16]I. López Alemany, “A Portrait of a Lady: Representations of Sigismunda/Auristela in Cervantes’s Persiles,” in Ékphrasis in the Age of Cervantes, F. A. De Armas (ed.), Lewisburg, Bucknell University Press, 2005, pp. 202-216.
[17]M. de Cervantes, Los trabajos de Persiles y Sigismunda. Historia septentrional (1617), trad. it. Le avventure di Persiles e Sigismonda. Storia settentrionale, cit., p.551.
[18]I. Lozano Renieblas, “La función de la «écfrasis» en el «Persiles»”, in Actas del Tercer Congreso Internacional de la Asociación de Cervantistas, A. P. Bernat Vistarini (ed.), Palma, Universitat de les Illes Balears, pp. 507-515.
[19]K. L. Selig, ‘‘Persiles y Sigismunda: Notes on Pictures, Portraits, and Portraiture’’ Hispanic Review, 41, 1973, pp. 305–312.
[20]I. López Alemany, “A Portrait of a Lady: Representations of Sigismunda/Auristela in Cervantes’s Persiles,” in Ékphrasis in the Age of Cervantes, F. A. De Armas (ed.), Lewisburg, Bucknell University Press, 2005, pp. 202-216.


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