Liegi, Belgio: un’intervista a Silvia dott.ssa in Culture dell’Asia e dell’Africa

Silvia Mangia, Dottoressa in Lingue e Culture dell’Asia e dell’Africa, laureanda magistrale in Comunicazione ICT e Media, risponde ad alcune domande sul suo Erasmus a Liegi.

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In che città hai svolto il tuo Erasmus?

Liegi, Belgio.

Ripensi mai alla tua esperienza in Erasmus? In quali occasioni ti torna in mente?

Sì, a distanza di mesi mi capita spesso di ripensarci. A volte mi capita di ripensare alla mia routine o alle abitudini che io e i miei amici avevamo là e le metto a confronto con la vita quotidiana che svolgo oggi in Italia.

Quando ne parli, come ne parli?

È sicuramente un’avventura incredibile, che fa cambiare il proprio modo di vedere le cose e che permette di creare tanto networking, oltre che esperienze irripetibili. In generale, ne parlo bene, ma a differenza di quanto si possa pensare, non credo sia un’esperienza che consiglierei a chiunque. L’Erasmus dà la possibilità di creare tanti bei ricordi con persone da tutto il mondo, ma è anche vero che mette a dura prova sotto molti punti di vista, specialmente se si capita in una città come Liegi, ovvero non molto accogliente, soprattutto non appena ci si trasferisce.

Hai fatto due viaggi: uno di andata e uno di ritorno. Come li descriveresti brevemente, se dovessi metterli a confronto?

Per quanto riguarda il primo viaggio, quello di andata, non vedevo l’ora di partire ed ero tanto eccitata all’idea di trasferirmi in Belgio: passare un periodo prolungato di studio all’estero era sempre stato uno dei miei sogni. Invece, quello di ritorno è stato un viaggio abbastanza destabilizzante e mi ci è voluto del tempo per realizzare che stavo salutando tutte le belle persone, le abitudini e i luoghi che erano ormai diventati la mia quotidianità, e quindi riabituarmi alla “normalità”.

L’Erasmus per te rappresenta più un viaggio, una lunga gita oppure vita, nel vero senso della parola?

Credo che per me l’Erasmus sia stata una vera e propria parentesi di vita. Ho vissuto quest’esperienza cercando di immergermi il più possibile nella cultura e nelle tradizioni locali per trarne il meglio, riadattando anche le mie abitudini e creando una nuova routine.

Come hai organizzato la partenza? Ad esempio la lista di cose da portare e quelle da lasciare a casa…

Ho creato delle vere e proprie liste di cose che mi sarebbero servite in Belgio e che avrei dovuto portarmi necessariamente dall’Italia, non essendo in commercio lì o comunque difficilmente reperibili (ad esempio, alcuni medicinali). Mi sono informata sul funzionamento dell’assicurazione sanitaria e della sanità nazionale in Belgio. Ho contattato persone che già erano state in Erasmus a Liegi o che addirittura abitano lì da anni, per farmi dare dei consigli riguardo la ricerca della casa (che ho poi trovato tramite agenzia). In generale, uno sbaglio commesso nell’organizzazione è stato portarmi troppe cose, in particolare vestiti: quindi consiglio di non portare troppe cose, se non ciò che è strettamente necessario.

La burocrazia che sta dietro all’organizzazione è stata semplice da gestire?

Assolutamente no. È stata terribile prima, durante, e dopo l’Erasmus. Si sono verificati gravi problemi di coordinazione tra UniTo e ULiège, tanto che ho dovuto insistere con entrambe le Università per andare a fondo di alcune questioni.

Hai dovuto affrontare dei momenti di solitudine?

Sì, specialmente all’inizio, ma ho conosciuto velocemente tante persone, alcune delle quali reputavo come una “seconda famiglia”, con cui poterci fare forza a vicenda durante gli immancabili momenti-no, e con le quali sono ancora in ottimi rapporti.

Ti mancava l’Italia?

La cosa che più mi è mancata è il cibo, soprattutto per la varietà e qualità delle materie prime. Per il resto, essendoci tantissimi italiani a Liegi, è stato facile ricreare l’atmosfera italiana nei momenti di nostalgia.

Il rapporto con la nuova lingua com’è stato?

Da sempre reputo il francese una lingua difficile; perciò, la maggior parte del tempo non me ne sono interessata, preferendo piuttosto impegnarmi ad imparare solo ciò che era strettamente necessario per comunicare quotidianamente. Col tempo però, anche grazie ai corsi che ho seguito, mi sono abituata ed è risultato sempre più facile impararlo, per cui sono anche riuscita a passare di livello.

Il confronto con il sistema scolastico e la mole di lavoro accademico italiano è un tema sempre presente quando si parla di Erasmus. Tu come l’hai vissuto?

Ho seguito corsi afferenti a diversi dipartimenti e devo dire che la maggior parte degli esami che ho sostenuto avevano un livello di difficoltà molto inferiore rispetto a quelli che ho sostenuto in Italia. Mi è sembrato che tutti i professori non avessero grandi aspettative e quindi spesso fossero facilmente impressionati dalla nostra preparazione. In generale, mi sento di dire che la mole di lavoro è minore, oltre che distribuita in progetti e lavori di gruppo durante il semestre, piuttosto che in un unico esame finale.

Hai incontrato delle persone importanti?

Sì, in Erasmus si incontrano inevitabilmente tantissime persone, quindi credo sia normale legarsi a qualcuna di loro. Penso di essere stata molto fortunata in questo: molte di loro fanno ancora parte della mia quotidianità, pur sempre a distanza, e con alcune ci siamo riviste anche dopo la fine del periodo di mobilità.

Hai qualche aneddoto da condividere?

Con i miei amici facevamo spesso delle “cene internazionali” o “a tema”, in cui ognuno portava un piatto tipico del proprio paese. La prima cena di gruppo a cui ho partecipato era proprio a tema Italia: io e un mio amico avevamo deciso di portare un tiramisù. È stato tanto divertente (e difficile) reperire gli strumenti e gli ingredienti per prepararlo: ad esempio abbiamo cercato di montare a neve degli albumi con una forchetta (con discreto successo!). Ma, in generale, è stato bellissimo collaborare e impressionare i nostri amici internazionali.

Cosa ti aspettavi dall’esperienza? Le aspettative sono state rispettate? Cosa c’è stato di diverso?

L’avevo sottovalutata, soprattutto dal punto di vista dell’impatto mentale. Essendo entusiasta di partire, non avevo considerato le difficoltà che derivano da cose materiali, come la ricerca della casa, o relazionali, dovuti al confronto continuo con tante culture e personalità diverse, che mi hanno portata a passare diversi momenti di sconforto. Ripensandoci adesso, credo che tutto questo sia stata una grande occasione di crescita e di confronto, soprattutto per me stessa.

È un’esperienza che ripeteresti? Se sì, dove?

Sì, assolutamente, ma stavolta mi informerei meglio sulle università e sulle città, prima di scegliere. Sicuramente, se ci fosse una prossima volta, andrei in un posto con un clima più mite e soleggiato, come la Spagna o il Portogallo.

Dovessi dare al tuo Erasmus una parola, un aggettivo, un verbo, un nome, quale sceglieresti?

Movimento. Durante l’Erasmus mi sembrava ci fosse un flusso continuo di cose da fare, progetti, eventi, opportunità, viaggi, feste e novità. Si era sempre in movimento per evitare di perdersi qualcosa, trascurando magari altri aspetti della propria vita. Credo sia importante trovare un equilibrio e bilanciare il tutto.

C’è qualcosa che non ti ho chiesto e che vorresti condividere?

No

Dovessi dare uno o più consigli a chi ha intenzione di intraprendere quest’avventura, cosa diresti?

Pianificare bene tutto, approfittare di qualsiasi tipo di informazione disponibile (bandi, brochure, siti web, opinioni, ecc..) in modo da non risultare impreparati in caso di emergenze. Partire con la mente e il cuore aperti, pronti a lasciarsi stupire e ad abbracciare il cambiamento, in particolare il proprio.

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