Una recensione di Anna Lanfranconi dello spettacolo “La Tecnica della Mummia” debuttato al Teatro Sant’Anna di Torino, il 2 marzo 2024
Sabato 2 marzo, al Teatro Sant’Anna di Torino, c’è stata la prima de “La tecnica della mummia”, vincitore del Premio Scintille 2023 della compagnia pugliese Amaranta Indoors.
Si tratta di una rilettura interessante e per volta eccentrica dell’omonima opera del e drammaturgo inglese della prima metà del ‘900 John Mortimer, che si avvicina, sia per la rappresentazione che per la scelta del testo, al teatro dell’assurdo.
La storia inizia in una cella dove è rinchiuso Fowle, colpevole di aver ucciso la moglie perché “rideva troppo e questo lo distraeva dall’occuparsi dei suoi pappagalli”. A Fowle viene assegnato (o meglio sceglie lui casualmente) il difensore d’ufficio, Morgenhall, avvocato fallito al quale non viene mai assegnata una causa nonostante il suo grande impegno. Morgenhall vede in questo caso la sua svolta, ma subito si presenta come una missione impossibile: Fowle è deciso a dichiararsi colpevole e a passare il resto della sua vita in prigione dove gli è consentito non fare nulla, coronando così il suo sogno d’ozio.
Nonostante questo i due iniziano a lavorare sul caso inscenando il processo attraverso il gioco dell’immaginazione, inventando personaggi, accuse e difese e proprio mentre sono immersi in questo gioco inizia il processo. Qui il velo dell’illusione si alza e viene rivelata la verità: Morgenhall preso dal panico fa scena muta, la cosiddetta “tecnica della mummia”, condannando il suo cliente all’ergastolo, come ci viene rivelato dalla conversazione tra i due condannati dopo il processo il quale non viene effettivamente mostrato. Davanti a questo fallimento l’avvocato cerca di suicidarsi ma viene fermato da Fowle che gli rivela di essere stato scagionato proprio grazie alla sua incapacità, rendendo il processo “invalido”.
Due sono i grandi temi di questa rappresentazione: l’immaginazione e l’ansia. Il primo che si esprime nell’inscenamento del processo: due uomini adulti, che non hanno più speranze per il futuro, ritornano per un momento bambini e si allontanano dalla realtà, dimenticandosene, costruendosene una a loro più consona. Ma l’immaginazione è destinata a fallire, proprio come da bambini si diventa adulti e si perdono i giochi, anche la realtà arriva e distrugge l’illusione in tutta la sua crudeltà.
In questo modo arriviamo al secondo importante tema: l’ansia. Morgenhall che durante la preparazione al processo sembrava così sicuro di sé e così determinato, proprio nel momento in cui deve dare prova di sé stesso dimostra tutta la sua inettitudine. È per questo che non gli assegnano più casi, proprio perché ogni volta si fa prendere dall’ansia e non riesce a parlare. L’attacco di panico è magistralmente rappresentato nello spettacolo per cui il processo, l’ambiente circostante svanisce nel buio e rimane solo Morgenhall, in preda ai suoi pensieri e completamente staccato dalla realtà, che si contorce e si muove tormentato sul palco buio arrivando nel picco dell’attacco ad addirittura avvolgersi il microfono al collo, come un cappio.
Questa dissociazione dalla realtà è un altro punto focale e ponte dei due temi, in quanto sia l’immaginazione che l’attacco di panico lo provocano, ma anche dei due personaggi, perché dove Morgenhall si dissocia con l’ansia, Fowle si dissocia con la mente, tanto che vuole andare in prigione proprio perché lì può passare il tempo a guardare fuori dalla finestra e immaginarsi una foresta.
Lo spettacolo si presenta come generalmente ironico e buffo, specialmente nella prima parte, ma che contiene sotto la superficie delle sottili venature di grottesco e di oscuro che vanno via via a farsi sempre più evidenti.