Erasmus a Münster

Simone risponde ad alcune domande sul suo Erasmus a Münster, in Germania

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In che città hai svolto il tuo Erasmus?

Germania, per la precisione Münster, Renania settentrionale. Una cittadina di 300 mila abitanti: il centro della città era abbastanza piccolo perciò non sembrava nemmeno di trovarsi in una città universitaria

Ripensi mai alla tua esperienza in Erasmus? In quali occasioni ti torna in mente?

Sì, ripenso ancora al mio Erasmus, principalmente quando metto a confronto la mia vita di allora con quella di oggi, più impegnata e legata al lavoro. Fondamentalmente, una vita un po’ più adulta rispetto a quella di uno studente Erasmus. Però quando cerco un po’ di leggerezza, mi torna in mente e anche molto volentieri.

Quando ne parli, come ne parli?

Ne parlo principalmente molto bene: è stata un’esperienza positiva, davvero poche cose erano negative. Ne parlo con molta malinconia e felicità. Mi ha lasciato davvero un bel ricordo.

Hai fatto due viaggi: uno di andata e uno di ritorno. Come li descriveresti brevemente, se dovessi metterli a confronto?

Il primo viaggio è stato entusiasmante: ero felice di questo cambiamento, di vivere all’estero per un lungo periodo, nonostante la Germania fosse considerata comunemente un paese “freddo”, io ero felice di immergermi in una nuova realtà. Quello di ritorno è stato invece un viaggio piuttosto triste e nevrotico: mi ero abbastanza innamorato della vita laggiù. Il peggio però ho iniziato a sentirlo dopo qualche settimana. Appena tornato in Italia, non avevo ancora realizzato di essere davvero tornato a casa e di non tornare più in Germania. Effettivamente, devo dire che la differenza fra viaggio di andata e di ritorno è grande.

L’Erasmus per te rappresenta più un viaggio, una lunga gita oppure vita, nel vero senso della parola?

Lo definirei un viaggio. Un lungo viaggio pieno di esperienze. Non lo definirei “vita”, perché per me l’Erasmus è stato un po’ come una bolla: si vive questa parte di vita con un senso di leggerezza e di socialità estremamente differente rispetto alla vita da adulti, ad esempio la mia vita di ora, fatta di lavoro e studio.

Come hai organizzato la partenza? Ad esempio la lista di cose da portare e quelle da lasciare a casa…

Ho portato più cose possibili, cercando di lasciare davvero poco a casa. L’idea di dover star via per tanto tempo mi ha fatto pensare di dover portar via tante cose, senza dimenticarmi nulla: ad esempio, tutto il mio armadio, ho fatto migliaia di scatoloni, valigie enormi. Non sono stato tanto a pensare cosa portare, ecco.

La burocrazia che sta dietro all’organizzazione è stata semplice da gestire?

Voto 4 su 10. Non è stata per niente d’aiuto, soprattutto dalla parte italiana. È stato molto faticoso, forse una delle cose più difficili dell’Erasmus. Ho trovato insensata la quantità di documenti necessari. Il problema più grande è poi stato però quello di mettere in contatto le due università, quella estera e quella italiana.

Hai dovuto affrontare dei momenti di solitudine?

Sì. Mi sono sentito solo durante la fase invernale: la luce va via un’ora, un’ora e mezza prima, piove e c’è vento molto spesso da metà ottobre fino a inizio marzo. Il sole per diverse settimane non l’ho proprio visto. Dal punto di vista sociale ci sono state delle volte in cui ho sofferto la solitudine. L’Erasmus ti dà la sensazione di poterti mettere in contatto con tante persone ed è vero, però la maggior parte dei rapporti che si creano sono abbastanza superficiali, soprattutto all’inizio. Questo contesto di facile socializzazione spesso dà l’illusione di poter ottenere qualcosa di più profondo. Posso però dire che avendo la possibilità di conoscere tante persone, è comunque più semplice trovare qualcuno che ti stia a cuore. Non posso dire che la solitudine sia stata un grande problema, fino ad un certo punto perlomeno.

Ti mancava l’Italia?

No, assolutamente. Non vedevo l’ora di tornare in Germania ogni volta che tornavo a casa, in Italia. La Germania mi è piaciuta molto: la mia era una cittadina internazionale ma anche molto tedesca. Ho potuto conoscere la mentalità locale e il contrasto con la mentalità tipicamente italiana mi portava spesso ad assumere una visione molto negativa dell’Italia. L’aria pessimistica di qui è stata enfatizzata dalla leggerezza dell’Erasmus. Mi mancava il sole d’inverno, quello sì.

Il rapporto con la nuova lingua com’è stato?

Studio lingue perciò ho vissuto con estrema passione il fatto di dovermi confrontare tutti i giorni con una lingua tanto diversa e difficile come il tedesco. È stato positivo all’inizio proprio per la grande volontà che avevo di imparare, ma allo stesso tempo si è rivelato molto frustrante: nei primi mesi pensavo che le mie nozioni grammaticali di base potessero bastare in molte situazioni ma non erano sufficienti nemmeno per portare a termine una conversazione. A fine Erasmus, invece, dopo qualche mese, la lingua l’ho imparata e ho iniziato a parlare molto più fluentemente: è stata una soddisfazione personale.

Il confronto con il sistema scolastico e la mole di lavoro accademico italiano è un tema sempre presente quando si parla di Erasmus. Tu come l’hai vissuto?

In Erasmus si sa che tendenzialmente si studia meno, siccome tutto è in direzione dell’apprendimento della lingua. Non passare gli esami in Erasmus allo stesso tempo significa perdere tempo e sprecare molti soldi dati dall’Università. Posso dire che la più grande differenza sta nell’approccio più pratico del metodo di studio tedesco: conoscono meno manuali, la mole di studio è inferiore, il tutto a favore di più praticità, come i lavori di gruppi, presentazioni e tirocini. Personalmente, preferisco questo approccio a quello italiano.

Hai incontrato delle persone importanti?

Sì assolutamente. Con alcuni ho anche mantenuto un buon contatto. Ho dei bellissimi ricordi: non mi posso lamentare delle persone che mi circondavano in quel periodo. Ero davvero felice di condividere il mio tempo con delle persone di qualità.

Cosa ti aspettavi dall’esperienza? Le aspettative sono state rispettate? Cosa c’è stato di diverso?

Sono principalmente andato per la lingua: mi aspettavo di imparare il tedesco ed è successo. Dal punto di vista sociale, mi aspettavo di conoscere tante persone, anche questo rispettato. Forse non mi aspettavo di immergermi nella cultura locale così velocemente: quando ero lì mi sentivo un cittadino italiano che viveva in Germania, una cosa che assolutamente non mi aspettavo.

È un’esperienza che ripeteresti? Se sì, dove?

È stata un’esperienza bellissima che arricchisce veramente tanto ma no, non la rifarei. Molto spesso provavo questa sensazione di leggerezza che a volte però sembrava solo uno spreco di tempo, dal punto di vista pratico. Da adulto, parlandoti oggi, sono più improntato su cose pratiche per cui rifarla ora sarebbe davvero come voler perder tempo.

Dovessi dare al tuo Erasmus una parola, un aggettivo, un verbo, un nome, quale sceglieresti?

Leggerezza.

Dovessi dare uno o più consigli a chi ha intenzione di intraprendere quest’avventura, cosa diresti?

L’Erasmus dà la sensazione di essere un cittadino effettivo del paese estero in cui si risiede però non bisogna mai dimenticarsi del fattore di permanenza limitata. Stare nel paese estero non significa rimanerci: consiglierei di non farsi soprassalire dalla sensazione di essere un cittadino, perché lo si è pur sempre per un tempo limitato. Se si scopre di voler vivere in questo nuovo paese, è necessario allora impegnarsi piuttosto sfruttando il tempo di permanenza per trovare un lavoro, un percorso di studi adatto, muoversi insomma.

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