Dramma in due atti
di
Giulia Berardi; Federica Damiani; Lucile Daubercies; Linda Demichelis;
Letizia Grippi; Nzumba Marta Luamba; Marie Perreau;
Elena Prato; Martina Schettino
(2022)
Materia del dramma: Il dramma si apre con il monologo poetico di una magica San Pietroburgo che, presentandosi allo spettatore, descrive il proprio personaggio principale e le sue azioni. Costui è un Raskòl’nikov che ha già compiuto il proprio delitto e, quindi, che ha già realizzato il proprio destino. Questa ‘San Pietroburgo di carta’ è abitata da persone reali, così come da spiriti, spiritelli e anime. Raskòl’nikov, fatto di carne e sangue, incontrerà tre fantasmi del proprio passato che lo porteranno a interrogare se stesso e a conoscersi veramente. Apparentemente solo Sonja potrebbe salvarlo, ma, in questo fantasmagorico universo, Sonja è sparita e di lei è rimasto soltanto un diario: una voce di verità che non trova posto nel testo originale e che racconta il dramma di questo personaggio femminile, le sue fragilità e i suoi credi. Così come gli altri fantasmi, Sonja alla fine comparirà in scena solo come una figura impalpabile, per affrontare Raskòl’nikov e per guardarsi, per conoscersi, anche attraverso gli occhi di lui.
Nel finale, Raskòl’nikov, avendo conosciuto tutto, crollerà sotto il peso della sua coscienza e di un tanto instabile – quanto incredibile – bisogno di verità.
*Di quest’opera, composta a più mani, Lucile Daubercies e Marie Perreau hanno scritto atto I, Prologo; Nzumba Marta Luamba ha scritto atto I, Scena i; Letizia Grippi ha scritto atto I, Scena ii; Elena Prato ha scritto atto I, Scena iii; Martina Schettino ha scritto atto II, Scena i; Linda Demichelis ha scritto atto II, Scena ii; Federica Damiani ha scritto, composto e coreografato atto II, Scena iii; Giulia Berardi ha scritto atto II, Epilogo.
*
Atto primo
1. Prologo – Pietroburgo entra in scena e presenta la materia del dramma, se stessa e il suo personaggio principale: Raskol’nikov. (Lucile Daubercies; Marie Perreau)
2. Scena I – Raskòl’nikov incontra il primo fantasma: Marmeladov. (Nzumba Marta Luamba)
3. Scena II – Raskòl’nikov incontra il secondo fantasma: Lizaveta. (Letizia Grippi)
4. Scena III – Raskòl’nikov incontra il terzo fantasma: Alëna.(Elena Prato)
Atto secondo
5. Scena I – Raskòl’nikov inizia la propria rivoluzione morale e interiore. (Martina Schettino)
6. Scena II – Raskòl’nikov legge il diario di Sonja.(Linda Demichelis)
6. Scena III – Confronto onirico tra Raskòl’nikov e Sonja (intermediale). (Federica Damiani)
7. Epilogo – Raskòl’nikov scrive la sua confessione nel diario di Sonja. (Giulia Berardi)
Dramatis personae
Pietroburgo, il prologo
Raskòl’nikov, il colpevole
Marmeladov, il primo fantasma
Lizaveta, il secondo fantasma
Alëna, il terzo fantasma
Sonja, l’anima bianca
Atto I
Scena i
Esterno.
Ambientazione di una città metropolitana con un fiume che scorre.
Entra Pietroburgo.
PIETROBURGO
Mi chiamo Pietroburgo.
Si dice che le cose atroci
succedano durante le notti.
Quando il mondo sembra spento.
Quando i cani gridano verso il cieloe i miei lampioni non illuminano più.
Come se solamente,
la chiarezza della luna
e il canto dei gufi,
potessero acquietare
le menti tormentate,
purificare il sangue versato,
e cancellare i corpi inerti.
Alcuni pensano
che l’oscurità sia favorevole
a un sonno profondo e leggero.
Ma quante anime lacerate
vi smarriscono il loro cammino?
Il sole è già in alto,
eppure,
non si è mai fatto il giorno.
Il tempo non ha più nessun senso.
Vanno e vengono,
all’angolo delle mie lunghe strade,
i fantasmi,
che si salutano,
gli spiriti,
che si confondono.
Pensieri,
desideri,
paure.
S’intrecciano fino a creare un nesso.
I cuori battono forte
accanto a questo mio porto,
questo dolce mare,
che non si vede.
Un’unica soluzione si delinea,
si intrufola.
Un raggio di sole
scuro e freddo
uccide.
Il male è attivo.
La follia si sveglia.
[Entra Raskòl’nikov o si vede gironzolare una figura]
Ho visto quell’uomo,
andare e tornare.
Girare,
camminare,
riflettere,
torturarsi,
seduto sulle mie panche,
attraverso le mie strade.
La sua anima,
come antitesi,
della mia bellezza.
La sua vita non è altro che un sogno,
un incubo.
La sua interiorità è simile alle mie vie.
Buio, dubbio, caos,
oggi regnano,
sul mio spettacolo.
Ressemblance dissemblable.
Un labirinto di pensieri infiniti.
Il se fuit.
Il s’enfuit.
Il suo atto finisce sempre per raggiungerlo,
aggrapparlo.
Scisso è il mio cuore,
la Neva
scorre.
La sua psiche è scoppiata,
nella sua testa
non è mai da solo.
Il suo corpo,
ovunque,
macchiato di sangue.
Il castigo bussa,
sulle porte della sua coscienza.
Voci e immagini.
adesso,
è terrorizzato.
Eppure, i rimorsi non ci sono.
Aveva bisogno di compiere,
qualcosa di grande.
Ma è per forza morale
la grandezza?
Se una morale esiste.
Pallido,
è raggiunto dal delirio.
Nel suo sonno infinito,
la malattia, gli tiene la coscienza,
la follia, gli ruba l’anima.
Mi chiamo Pietroburgo,
città giusta,
città ordinaria?
No.
Città astratta,
città straordinaria,
dal male, segnata,
popolo peccaminoso.
Urliamolo forte:
“gli uomini sono,
affinché possano provare gioia.”
Che cosa rappresentano allora,
i miei più sfortunati ospiti,
nella miseria e nella pena,
nella malattia e nella povertà?
Come la possono ottenere,
questa felicità
quando persino le stelle
si confondono
nel buio del mio cielo,
Nel cuore
dell’eterna notte.
Vedo tutto.
sento tutto.
Si chiama Raskòl’nikov,
in me, vive.
Apparenza banale,
ma doveva,
tuttavia,
uccidere,
per sentirsi vivere.
Che paradosso.
Un uomo straordinario,
adesso lo è.
Certezza c’è.
Esce Pietroburgo.
Scena II
Bettola frequentata da Marmeladov.
Raskòl’nikov, entrato in scena, passa
dall’ambientazione ‘esterno’ a ‘interno’.
Entra in una bettola per bere.
Improvvisamente sente una voce soprannaturale
che richiama la sua attenzione.
MARMELADOV
Così ti uccidi, Raskòl’nikov. Ti ho cercato e ora ti trovato Raskòl’nikov!
[Raskòl’nikov, confuso, non capisce da dove arrivi la voce:
è fuori o dentro di sé?]
RASKOL’NIKOV
Eccomi, parla.
MARMELADOV
Guarda come ti sei ridotto! Sembri ubriaco fradicio. Sei consapevole delle conseguenze? Come si può essere così ingenui. È inutile parlare di questioni serie. Non sei nelle condizioni di comprendere… E cos’è quello? Sì, esatto, quel bicchierino sul tavolo.
RASKOL’NIKOV
Nessun bicchierino. Nessun tavolo vedo! Buio vedo, soltanto buio. Perché mi disturbi, adesso? Non c’è nessuno. Il nero colora la mia vita. Intorno a me tutto gira. Io rimango fermo. Immobile. Freddo. Lasciami in pace! Questo è il mio unico desiderio.
MARMELADOV
Amico mio, animo! È un consiglio per il tuo bene. Io non auguro il male a nessuno, ricordatelo! Tu sei sempre stato diverso da me. Non continuare su questa strada! Da qui non si torna più indietro, mio caro.
RASKOL’NIKOV
Rivoglio la mia solitudine. Provo piacere nel dolore. Provo stanchezza. Chi mi libererà dalla nostalgia e dall’amarezza? Nessuno. Allora voglio essere pazzo e non pensare più!
MARMELADOV
Cosa stai dicendo? Stai forse delirando? Non è da te. Sei un ragazzo lucido, colto e brillante. Non hai bisogno dell’alcol. Tu non devi diventare come me, intesi?
RASKOL’NIKOV
Ti sento ancora… mormorio saputello…A chi credi di fare la morale? A me, a te, a tutti… Io ho perso la ragione.
MARMELADOV
Dov’è hai la testa? Ti rendi conto di ciò che dici. Se continui così, non sarai più l’uomo di prima. Non avrai più un cuore. Perderai tutta la tua dignità!
RASKOL’NIKOV
Blah, Blah, Blah. Sono tutte sciocchezze! Vere e proprie stupidaggini da buttare in un angolo della spazzatura. Cerchi bene! Dovrebbe esserci nel mio cervello un posto riservato ai rifiuti mentali.
MARMELADOV
Non essere spiritoso, Raskòl’nikov! Io sono seriamente preoccupato per la tua salute mentale e fisica. Ritorna in te!
RASKOL’NIKOV
Io non ti vedo e non ti credo. Se sei nella mia testa? Allora vattene! Se opponi resistenza ti seppellisco io.
MARMELADOV
D’accordo! Io me ne vado per il momento. Non ti sto prendendo in giro. Hai bisogno di cure…
RASKOL’NIKOV
Si, hai ragione! E tu sparirai per sempre dalla mia vita. Al diavolo tu e tutte le voci insensate!
[Raskòl’nikov si lascia travolgere dal flusso
ininterrotto dei suoi pensieri]
RASKOL’NIKOV
Amo la solitudine.
Amo il silenzio.
Amo la libertà
Anche nel buio più profondo
in cui nascono le fantasticherie più infantili.
E ritorno bambino.
Un bambino innocente, spensierato, curioso…
[Dopo qualche momento,
Raskòl’nikov sente nuovamente la voce di prima]
MARMELADOV
Raskòl’nikov, sono tornato!
Ti scongiuro, ascoltami! Prima ero andato urgentemente in bagno, scusami… Eh, che c’è di strano? Anche esseri come noi hanno problemi di incontinenza. Ma tralasciamo questo particolare. Non è di questo che voglio parlare. Presta attenzione alle mie parole e non respingere i miei consigli.
[Una luce accecante attraversa la bettola,
Raskòl’nikov sembra riprendersi da uno stato di sonnolenza
e si spaventa]
RASKOL’NIKOV
Per tutti i santissimi pietroburghesi! Da dove è uscita questa visione fantasmagorica? Che luce accecante e penetrante. Ma chi diavolo sei?
MARMELADOV
Il sogno si è trasformato in incubo,
Il piacere il dolore.
La vita è diventata una trappola per topi.
Io sprofondo nel gelo dell’umanità
In cui regna sovrana l’immobilità.
Ma il mio pensiero naviga nei mari infiniti.
Il mostruoso attraente.
Il selvaggio istruito.
Il deforme perfetto.
Tu, Raskòl’nikov, se l’eccezione.
Tu sei uno spirito vivente.
Invece io
sono reale ma immateriale,
vivo nel deserto pietroburghese,
nessuno conosce me
e nessuno conosco io.
RASKOL’NIKOV
Ora voglio da te una risposta secca: rivelami la tua identità.
[Marmeladov si materializza nella bottiglia di vodka,
illuminata dalla sua presenza.
Avvicinandosi diventa sempre più riconoscibile]
MARMELADOV
Marmeladov, chiamami così. Una volta, quando ero in vita, eravamo amici. Con te mi sono confidato. Eri l’unico istruito. L’unico che riusciva a capirmi. L’unico che mi voleva vivo più di tutti. Non te ne sarai dimenticato, vero? Ascoltami con attenzione. Vengo dal mondo dei morti per rivelare ciò che tu adesso ignori.
RASKOL’NIKOV
Sei tu…? Marmeladov? Ora ti riconosco. Ora ricordo. Ti vedo morto ma sento la tua voce. Perdonami… Non ti capisco. A volte sei chiaro e diretto. A volte sei ambiguo e misterioso. Adesso rivelami ciò che sai. Sono curioso.
[Marmeladov confessa i suoi errori e cerca di persuadere
Raskòl’nikov a seguire la “retta via”]
MARMELADOV
Amico mio,
Pietà hai avuto di me e della mia famiglia.
La stessa pietà provo io adesso per te.
Compassione sento per te.
Concordo con te.
Questo buco è un mondo di lupi affamati.
Non c’è spazio per l’innocenza, per la bontà, per la gentilezza.
Qualunque anima viene corrotta
anche la più nobile.
Guarda mia figlia!
Un’anima leggiadra
destinata alla prostituzione.
La povertà l’ha ridotta in stracci.
La purezza l’ha condotta alla miseria.
Era questione di tempo.
La fine era già prevista.
Sono morto per il mio vizio.
Non mi lamento.
Ma non sopporto che il vizio sopravviva,
che aleggi nell’aria,
che prenda forma in altri corpi,
che distrugga altre vite oltre la mia.
Meglio spararsi, morire sul colpo
con rumori, scoppi ed esplosioni!
Poi zero assoluto. Silenzio. Pace.
Invece di lottare tra la vita e la morte
e di soffrire fino all’ultimo respiro.
Lo sguardo disperato della mia famiglia
penetrò il cuore nell’anima.
Mi ha ucciso.
Il tempo mi ha risucchiato,
mi ha costretto ad abbandonare tutti.
Tutti attoniti. Tutti confusi
Visi offuscati, voci lontane.
E perdo i sensi. Perdo la testa. Perdo i capelli.
Galleggio nell’aria malsana.
Assuefatto dal chiasso,
mi sciolgo nel mare dei mali.
Improvvisamente,
nel vuoto infinito,
ritorno nel nero assoluto.
Lo spazio e il tempo si confondono.
Tutto diventa uniforme e poi niente.
Non c’è più cuore, non c’è più battito
Non ci sono polmoni, non si respira più.
Ho creduto di disintegrarmi,
di lasciare il mondo alle spalle
e di dissolvermi nel vuoto.
Mi sentivo come dentro un frullatore,
triturato in vari pezzi
da una macchina telecomandata.
Dalla bocca all’esofago
precipito giù
per arrivare lentamente all’intestino.
Quanto assurda e insensata
è la morte!
Erano cavalli e carrozze a schiacciarmi.
Era un letto a sorreggermi a stento.
Era lo sguardo truce della donna
che mi voleva morto all’istante.
Era l’alcol,
la mia ossessione,
la ragione di vita per eccellenza,
il piacere immediato e confortante.
Ma la vita di un mortale non è illimitata,
e prima o poi sarebbe arrivato il momento
in cui avrei fatto i conti con la realtà.
Mostro sono stato in vita,
santo da fantasma.
Questa è la vera rinascita.
imprigionata dentro la gabbia di San Pietroburgo.
[Dopo un lungo respiro]
Amico mio,
alzati e cammina.
Trova la retta via
in Una Seconda Vita.
Esce Marmeladov
[Raskòl’nikov rimane in silenzio e segue i suoi ordini:
si alza, cammina ed esce dalla bettola]
Scena iii
Mercato cittadino.
Entra Rodja / Raskòl’nikov.
Cammina per il mercato
e guardandosi attorno
si accorge di trovarsi circondato da anime
RASKOL’NIKOV
E ora in che posto mi trovo? Conosco questo luogo ma d’un tratto mi sento un estraneo: dove sono le grida dei mercanti, perché le persone mi sembrano fatte d’aria e i loro passi non provocano rumore? Cos’è questo freddo che stringe il mio cuore? [Si guarda attorno più attentamente] Mi deve essere tornato il delirio, il mio delirio malato e corrotto. Anche prima… e ora eccolo che di nuovo si ripresenta; ma queste anime tuttavia mi sono sconosciute, nulla mi lega a loro ora come niente ci legava in vita, perché il mio mercato si è trasformato in purgatorio?
[Dietro ad un banco vede il fantasma di Lizaveta Ivanovna.
Lei sta cucendo la sua camicia e guarda in basso, lui si blocca]
No… non è possibile, non può essere, voi siete… io…io vi ho ucciso” [Cammina avanti e indietro agitato, porta ripetutamente le mani alla testa]
[Tra sé e sé] Non siete reale, non potete esserlo. Prima Marmeladov e ora voi… sono io ad essere pazzo, pazzo! Aveva ragione Svidrigajlov; gli ho dato del matto e ora anche io soffro del suo stesso male, un male incurabile che mi attanaglia la coscienza e tormenta non solo le mie notti ma anche i miei giorni. [A Lizaveta] Ma perché siete qui, cosa volete da me? Voi non ci siete più… voi non siete più e non potete fare niente, nulla, per ritornare ad esser carne. Tutto ciò che ora siete è un fantasma.
[Si ferma e la guarda.
Lei impassibile continua a rammendare
la camicia senza alzare lo sguardo.
Lui perde di nuovo la calma]
Perché non mi guardate? Dite qualcosa Lizaveta e smettetela con quella camicia! Ah ma vi ho capita sapete, non mi ritenete degno di essere guardato, vero? Lo so che pensate di essere migliore di me, voi innocente, voi colomba… mentre io, io sono un assassino, un rapace che ha tagliato il filo della vostra vita con un colpo d’accetta senza neanche pensarci.
Questa è la verità Lizaveta: non volevo uccidervi, oh no… non era nei piani, solo la vecchia doveva pagare, ma voi siete dovuta entrare e mi avete guardato con quegli occhi spaventati… voi avete rovinato tutto, è colpa vostra! Non mia! [Tra sé] Ma perché, perché questo sentimento, perché questa colpa… No, non mi devo giustificare.
[Si avvicina a Lizaveta]
[A Lizaveta] Siete solo delle formiche in un immenso formicaio, persone ordinarie, tutte uguali: lavorate e correte avanti e indietro senza farvi domande, senza aver nulla da dire. Vi accontentate di briciole, ve le passate tra di voi pensando di contare qualcosa senza accorgervi che ad ogni passaggio quei già minuscoli frammenti diventano ancora più piccoli e la fine della catena è destinata a rimanere senza niente. Vi siete creati il vostro mondo sotterraneo senza rendervi conto della prigione in cui siete rinchiusi, costretti a guardare il cielo dal vostro buco pieno d’ignorante ingenuità. La vostra vita mediocre si riduce alla mera sopravvivenza, che diritto avete di giudicare chi vi è superiore? Io non sono Napoleone e mai lo sarò, ma davvero mi ritenete simile a voi? E dunque, perché vi rifiutate di guardarmi se vi sono superiore?
[Lizaveta si punge il dito con l’ago,
si sporge per prendere altro filo
e continua a rammendare la camicia
come niente fosse successo]
Per l’amor del cielo, guardatemi! Quella camicia assorbe tanto la vostra attenzione da non poter guardare in faccia nemmeno il vostro assassino? [Più calmo e a voce più bassa] Sapete… non potete rammendarla, quella camicia. Uno strappo non può sempre essere riparato, prima o poi si scucirà di nuovo e il freddo tornerà a pungere la pelle, [Tra sé] così come il sangue sulle mie mani non potrà mai più essere lavato via e continuerà a sporcare la mia coscienza.
[Lizaveta alza la testa e lo guarda con occhi neutri,
senza alcun giudizio e Raskolnikov cade in ginocchio]
Perché… perché ora mi guardate così? Smettetela… io vi ho ucciso… Odiatemi! Oh anima semplice, cos’ho fatto, perché non riesco a ragionare e la morale per cui ho ucciso non mi viene in aiuto. Tutti i miei ragionamenti hanno portato solo morte, e come voi siete un’anima in questo mercato così anche io mi ritengo, un’anima tra le anime, inadatto alla vita sebbene ancora vivo. L’usuraia meritava la morte, eppure l’assassinio pesa sulla mia anima come un macigno… ma cosa dovrei dire allora di voi? Voi che mai vi siete lamentata e non avete neanche provato a difendervi dai colpi della mia scure, voi che non avete mai fatto del male ma siete sempre stata fedele serva di vostra sorella e degli altri… Anche quella camicia… la mia, voi l’avete rammendata e io vi ho ringraziato con rubli sporchi di sangue e disprezzo.
[Si avvicina in ginocchio a Lizaveta con atteggiamento
completamente nuovo rispetto all’inizio, pentito]
Oh Lizaveta… la mia morale valeva dunque questo tormento?
[Le appoggia il capo sulle ginocchia
e lei lo copre con la camicia rammendata]
Escono
Scena iv
Androne della casa di Alëna, poi appartamento.
RASKOL’NIKOV
È mai possibile… Dopo tutto quello che è successo, dopo tutto quello che io ho fatto… Mi chiedo: è mai possibile essere di nuovo qui, in questo luogo, e sentirmi ancora come se ci entrassi per la prima volta?»
[Raskolnikov si osserva le mani:
tremano come foglie]
L’angoscia che provo è la stessa, i pensieri mi mangiano il cervello e l’ansia mi stringe la bocca dello stomaco… Proprio come se io, quella cosa, dovessi ancora farla… Che sciocco sono stato a pensare di potermela cavare! Che ingenuo! Ma cosa pensavi, eh? Che nessuno mai avrebbe dubitato di te? Ma come avrebbero potuto? Come? E perché mai avrebbero dovuto? Io, la vecchia, la conoscevo appena… Eppure… Non riesco a liberarmi dalla sensazione che loro, e lui soprattutto, sappiano tutto… Come farò?
[Raskolnikov, ancora tremante, si guarda attorno.
Il caldo è soffocante: tutto sudato, si sbottona la camicia
e si passa una mano sul viso, con aria rassegnata]
Ma guardami… Come sono ridotto… Questo caldo mi uccide! Sono forse arrivato all’Inferno? È questo il mio castigo? Dolermi in eterno, in questo buco di città, per ciò che ho fatto?
[Raskolnikov si siede sulle scale e comincia a singhiozzare,
provato dagli incontri precedenti con i fantasmi di Marmeladov e Lizaveta.
Dopo qualche istante, si asciuga le lacrime con fare deciso]
Ma ora basta perder tempo! È tardi… Sono venuto qui per vedere come ho lasciato quella cosa… Ho bisogno di tornare sui miei passi per capire cosa fare.
[Raskolnikov si avvia per le scale.
Salendo, si guarda attorno:
il luogo è buio e spoglio.
Raskolnikov trema e suda contemporaneamente.
Sale molto lentamente.
Arriva davanti alla porta dell’appartamento
vuoto in cui si era nascosto dopo aver ucciso Alëna e Lizaveta.
La porta dell’appartamento è chiusa. Raskolnikov si avvicina]
E questo?!
[Raskolnikov strappa dalla porta un biglietto con scritto:
“Polizia. Vietato oltrepassare il passaggio.
Luogo sottoposto ad indagini”.
Raskolnikov ha il fiato corto, il cuore gli batte all’impazzata]
Ma che… Com’è possibile? “Luogo sottoposto ad indagini”… Ma questo vuol dire che…? Oh Dio! Qualcuno mi ha visto! Sicuro! Qualcuno mi ha visto intrufolarmi qui dentro quel giorno, dopo quel fatto! Oppure… Oppure peggio ancora, ho lasciato delle impronte! Ma sì, che so io… una sciocchezza: una goccia di sangue sulle travi del pavimento, un lembo di stoffa della mia camicia strappata dalla scure…
[Raskolnikov assume un’aria pensierosa e si morde un labbro]
Ma certo! Gli imbianchini! Quei maledetti imbianchini! Devono aver trovato qualcosa subito dopo che me ne sono andato, appena hanno ricominciato a lavorare.
[Di nuovo, Raskolnikov singhiozza. Respira affannosamente]
Son proprio i dettagli a rovinare ogni cosa… Povero me… Ma ora è tardi, è tardi… io… io devo andare… devo andare al piano di sopra… io… io devo andare
[Raskolnikov riprende a salire le scale.
Arriva al quarto piano e si ferma davanti all’appartamento di Alëna.
Ancora tremante, apre la porta ed entra.
Subito, sente un urlo acuto]
ALENA
Salve, bàtjuška. Mi chiedevo quando saresti passato a trovarmi. È un po’ ormai che ti aspetto… Pensavo ti fossi dimenticato di me.
[Raskolnikov si ritrova davanti il fantasma della vecchia.
Il suo cranio è spaccato e il viso è completamente ricoperto di sangue.
Raskolnikov, nauseato, balbetta]
RASKOL’NIKOV
A-Alëna… Io… Ma allora a-anche voi s-siete… Oh, Dio!
ALENA
Anche voi siete” cosa, eh, bàtjuška?! “Anche voi siete” un fantasma, forse? E cosa ti aspettavi? Dimmi: cosa ti aspettavi di trovare dopo che mi hai colpita, ammazzata, trucidata? Dimmi: cosa ti aspettavi?!
[Alëna guarda Raskolnikov con occhi furenti]
RASKOL’NIKOV
Io n-non… Certo, voi… Voi non potete c-che essere così… È solo che io… Io non pensavo… Prima Marmeladov, poi Lizaveta e adesso voi. I fantasmi del mio passato mi stanno facendo visita…
ALENA
Ma guardati! Sei ubriaco e i tuoi pensieri sono offuscati dall’alcol. Guardati come balbetti e ti rivolgi al Signore sperando che salvi la tua anima distrutta! Non rivolgerti a Lui, bàtjuška! Rivolgiti a Me. Io sono qui, davanti a te. Dimmi perché, Rodion Romanovic Raskolnikov: perché ti sei macchiato le mani e lo spirito di questi atroci delitti?
[Raskòl’nikov urla]
RASKOL’NIKOV
Voi non siete vera! Siete il prodotto della mia coscienza malata! Io… io sono malato. Molto malato. Questa cosa… questa cosa mi ha fatto ammalare. Ma io posso guarire… Sì, certo! Posso guarire… voi non siete reale!
ALENA
Illuso! Certo che sono reale, bàtjuška! Sono quanto di più reale tu abbia visto in seguito agli omicidi che hai commesso. Le tue fantasie, i tuoi sproloqui: quelli non erano reali! Ma io sono qui. Sono presente in questa stanza esattamente come lo sei tu. E ancora una volta ti chiedo: perché? Me lo devi, bàtjuška. Mi devi una spiegazione. Altrimenti, il mio spirito ti perseguiterà in eterno.
[Raskolnikov osserva il collo sottile e lungo di Alëna.
Lo coglie una furia improvvisa]
Tu, vecchia megera! Te lo meritavi! Avrei dovuto colpirti alla gola… Sì, quel tuo collo sottile e lungo, simile ad una zampa di gallina, avrei dovuto tagliarlo e guardarti morire in una pozza di sangue! Perché era questo che ti meritavi!
[Raskolnikov si scaglia verso la vecchia e tenta di strangolarla,
dimenticandosi che si tratta di un fantasma.
La oltrepassa e cade a terra.
Dolorante, si rialza e continua il suo monologo]
RASKOL’NIKOV
Ma non vedi in che razza di mondo disperato viviamo?! Io avevo bisogno di soldi! Ma non capisci?! Mia sorella avrebbe sposato un uomo meschino e spregevole per salvarmi. E io cosa avrei dovuto fare? Restare a guardare?! E come avrei potuto?! Avresti potuto mostrare un po’ di compassione nei miei confronti; e invece niente! Sei sempre stata così attaccata ai tuoi denari! Sempre lì con i tuoi: “interessi di qui, interessi di là”, “stai attento, bàtjuška, che tutto dipende dalla mia pazienza”. E così, mi è nata questa fantasia… E tu te lo sei meritata, perché sei una vecchia orrenda che non conosce pietà!
ALENA
Non osare cambiare discorso, bàtjuška! Qui non si parla di me, ma di te! Il motivo della tua follia non è stato il mio presunto egoismo, né tantomeno i soldi che avresti guadagnato dall’uccidermi. Andiamo, bàtjuška… Perché ti ostini a mentirmi? Perché ti ostini a mentire a te stesso?
[Raskolnikov rivolge ad Alëna uno sguardo perplesso.
Lei continua]
Io credo, sono certa, che la tua azione sia stata alimentata da un qualcosa di più grande di te… Una malattia, che fin dalla tua prima infanzia ha fatto ombra sulla tua ragione e sulla tua coscienza. Da morta, ho potuto viaggiare nel tempo e nello spazio, e ho fatto visita al Rodion bambino… Io ti ho visto. Ho visto di cosa eri capace già in giovane età. Ho visto i tuoi attacchi d’ira: improvvisi, giustificati da motivi futili. Ricordi quando quella volta, a scuola, il tuo compagno di banco ha preso un voto più alto del tuo nella verifica di matematica? Ti ricordi cosa hai fatto? È stato impressionante osservarti… Mantenendo una calma insolita in un bambino arrabbiato, hai pazientemente aspettato che terminasse l’ora di lezione. Appena usciti in cortile per la ricreazione, sorridendo gioioso hai avvicinato il tuo compagno: “Vieni, voglio farti vedere una cosa!”. Lui, ignaro, ti ha seguito, speranzoso di giocare insieme a te. E tu… tu, mostro… L’hai spinto a terra e hai cominciato a prenderlo a calci! Non sembravi nemmeno umano… No, sembravi piuttosto un animale mosso da una forza oscura. E hai continuato, continuato e continuato finché non è giunta l’educatrice che, terrorizzata, ti ha separata dal tuo amico. Solo allora sei tornato in te: con occhi velati di lacrime, hai cominciato a piangere e a dire che non sapevi proprio come fosse potuto accadere. Io ti ho osservato come si osserva una scena dipinta in un quadro, e ho provato pietà per quel povero bambino scioccato dalla sua stessa azione
[Raskolnikov è incredulo e sbalordito dal racconto di Alëna.
Comincia di nuovo a piangere]
RASKOL’NIKOV
Io… io mi ero dimenticato di questo evento. L’avevo cancellato, rimosso… è come se, per tutto questo tempo, il ricordo di quel giorno fosse stato chiuso a chiave in un qualche scompartimento della mia coscienza. I-io… come ho potuto…
[Raskolnikov si lascia cadere a terra
e tiene il volto tra le ginocchia, continuando a singhiozzare]
Ora ricordo… ricordo tutto. Ero ancora molto piccolo, ma già avevo sviluppato quell’idea… Sì, quell’idea che da sempre mi porto dentro e che ho esposto anche in quel mio articolo… io ero un bambino straordinario. Ero molto bravo a scuola, eccellevo in tutte le materie. Non potevo sopportare, non potevo accettare che lui… lui, un bambino ordinario… fosse stato più bravo di me. E così l’ho punito… Sì, l’ho punito… perché è questo che fanno gli uomini straordinari: puniscono gli uomini ordinari, li controllano, li piegano al loro volere per portare la giustizia nel mondo, per arrivare ad un futuro che sia diverso dal passato e migliore del presente. E così l’ho punito…
[Raskolnikov alza la testa
e osserva Alëna dritto negli occhi]
Alëna, io… io penso di sapere… finalmente, penso di sapere. Ciò che mi ha animato nella mia impresa, ciò che mi ha spinto a meditare a lungo sul vostro assassinio e poi a commetterlo è stato proprio questo: la convinzione che voi siate una donna ordinaria ed io un uomo straordinario; e stando così le cose, io ero legittimato a fare di voi ciò che preferivo… Il delitto che ho commesso ha aperto la strada alla verità, che finalmente ha trovato un posto nella mia coscienza: io sono un Napoleone in un mondo di Kutuzov. Ma allora perché… perché non mi sento “un grande”? Perché sono infelice e schiacciato dal peso delle mie azioni? Questo ancora non mi è chiaro… è un quesito che non so se troverà mai soluzione…
[Alëna, impietosita, si avvicina a Raskolnikov
e gli poggia una mano sulla spalla]
ALENA
Bàtjuška… è proprio qui che volevo farti arrivare. Non sono le nostre azioni a renderci grandi, ma il peso emotivo che attribuiamo ad esse. Grande o piccola, un’azione conta solo sulla base del valore che noi le diamo. Ora, Napoleone ha ucciso centinaia di persone e tu lo reputi “un grande”; tu hai ucciso una vecchia usuraia e la sua disgraziata sorella e ti reputi… non lo so, un misero vigliacco? Un uomo spregevole? Un mostro senza cuore? Bàtjuška… questo accade perché sei umano e sei dotato di una coscienza: una coscienza che non si lascia minimamente sfiorare dal male degli altri, ma che diventa pesante come un macigno se questo male comincia ad essere fatto da te in prima persona. Capisci, bàtjuška, la differenza? Capisci perché non potrai mai essere felice nei panni di Napoleone? Perché, anche se eri convinto di poterla sovvertire, la legge sociale esiste e interviene sul destino degli uomini; e, soprattutto, esiste la legge di Dio, che dall’alto ci osserva e ci giudica
[Raskolnikov poggia la testa sulla spalla di Alëna che,
con fare materno, gli accarezza i capelli e cerca di confortarlo]
RASKOL’NIKOV
Alëna… io… cosa devo fare? Come devo agire? Quale sarà il mio destino?
ALENA
Bàtjuška, non posso certo essere io a dirti cosa fare. Il mio desiderio era quello di incontrarti e di parlare con te, soprattutto dopo aver osservato quella scena dal tuo passato. Ma io ormai sono morta e non posso consigliare ad un vivo come agire. Devi capirlo da te… solo quando l’avrai capito, solo allora, forse, sarai libero… libero da te stesso, consolato dal pensiero di poter ottenere il perdono di Dio.
RASKOL’NIKOV
Voi… Alëna, voi avete ragione… ma io… io sono terrorizzato. Io non so… non so proprio cosa…
[Alëna interrompe Raskolnikov]
ALENA
Ora basta, bàtjuška. Devi andare via. Vai… vai e ritrova la luce. Fai ciò che devi e, poi, perdonati… perdona te stesso, bàtjuška. Io ti ho già perdonato.
RASKOL’NIKOV
Non so se potrò mai farlo… io… non lo so proprio… Però vi ringrazio, Alëna. Incontrarvi è stato illuminante. Io…
[Alëna, volenterosa di porre un termine
al suo incontro con Raskolnikov, lo interrompe,
lasciando in sospeso il discorso del giovane]
ALENA
Raskolnikov, il tuo tempo con me è finito: ormai, appartengo al tuo passato.
Addio, bàtjuška.
[Raskolnikov, sconsolato, osserva un’ultima volta
il fantasma della vecchia usuraia]
RASKOL’NIKOV
Arrivederci, Alëna
[Raskolnikov esce dall’appartamento
e chiude la porta alle sue spalle]
ALENA
Che Dio ti aiuti, bàtjuška… che Dio ti aiuti
[Alëna lancia un ultimo sguardo al fuori campo
e la scena si chiude]
Esce
Atto II
Scena i
Interno.
Casa di Raskòl’nikov.
[Raskolnikov, dopo l’illuminante
incontro con Alëna, torna a casa.
Durante il tragitto trova per strada un piccolo diario, proprio vicino a quella panchina
che tanti ricordi riporta alla mente.
Arrivato nella sua stanza,
febbricitante e tormentato
dal peso della sua coscienza,
sembra distaccarsi dalla realtà per entrare
in un mondo altro che lo angoscia furiosamente]
RASKOL’NIKOV
Apro gli occhi
È sera, l’oscurità scorre fitta attraverso i vetri della finestra
tutto intorno a me è ombra.
Un flebile raggio di luna si insinua timido
chiedendo permesso.
Accogliendolo potrei rivelare ciò che tanto voglio nascondere;
<NO> sento urlare all’improvviso.
Chi è? chi diavolo è entrato nella mia stanza?
Faccio correre lo sguardo attraverso il buio
nessuno.
Chi diavolo ha urlato?
Chi c’è?
Nessuno.
Sento rumori; passi.
La porta leggermente si socchiude,
una figura nera, alta, imponente minaccia di svelare il mio segreto.
<NO> sento urlare nuovamente.
Con uno slancio la figura si precipita verso di me,
poi nulla; oscurità.
Apro gli occhi
Il sole entra indisturbato nella stanza,
Non voglio, non posso accoglierlo
tutto è deciso oramai, tutto è scritto.
Pensieri fluiscono nella mente, ho la vista annebbiata.
questa è la mia punizione.
Tutto il corpo è dolore
sono sul pavimento, solo, infreddolito
è questo ciò che merito
<NO>
Nuovi passi, questa volta più leggeri
“CHI URLA, CHI VUOL FARMI PRESENZIARE AL COSPETTO DEL DIAVOLO?”
Si apre la porta, una sagoma di donna si avvicina
<Per l’amor di Dio, è caduto! Com’è potuto accadere? Ma, cosa stringe al petto? Sarà forse un quaderno? Un diario? Cielo, non ha importanza ora… devo chiamare il signor Razumichin, non riuscirò mai a sollevarlo da sola>
Che nome familiare; sarà forse colui che mi giudicherà?
No no no no.
Qualcuno ride, un riso selvatico, malvagio;
Questo è il mio processo.
poi nulla; oscurità.
Apro gli occhi,
tremo
sono stato scoperto! Tutti qui sospettano
tutti qui sanno;
con che sguardo freddo, ostile mi…
<Rodja, amico mio, come vi sentite?>
<NO! Ridatemelo, so che l’avete voi, ridatemelo!>
Ora posso associare un volto al nome,
Razumichin;
eccolo dunque, colui che sentenzierà la mia colpevolezza.
Nulla è più udibile,
solo risa putride di malignità affliggono l’animo.
Affondo la testa nel cuscino
Non voglio sentire
Non voglio sentire
<RIDATEMI CIÒ CHE MI SPETTA!>
Basta, smettetela
non urlate
poi nulla; oscurità.
Apro gli occhi
Dove sono
Dove mi trovo
I miei occhi osservano una cosa
Il mio cuore ne percepisce un’altra.
Sto bruciando dentro
Una mano mi sovrasta
Questa è l’ora del giudizio
No
Non lascerò che mi prendano
Sono stato bravo
Attento
Cosa posso aver dimenticato
Diavolo d’un uomo che sono
Lasciatemi
LASCIATEMI
Cosa vogliono da me?
è tutto qui quello che ho,
tutto qui ciò che possiedo.
Non tormentatemi,
non assillatemi.
Andatevene oscure creature
<NO>
<NO>
<no>
poi nulla, buio.
Scena ii
Esterno. Ponte sulla Neva con panchina.
Raskòl’nikov passeggia tra il pubblico mentre in scena si cambia scenografia.
[Raskolnikov si dirige verso il ponte.
Si siede sul parapetto,
con le gambe a penzoloni nel vuoto.
Dalla tasca tira fuori un libretto consunto.
Dopo un momento di contemplazione
lo apre, sfogliandone le pagine]
[In sottofondo si sente lo scorrere della Neva]
[La voce che legge è quella di Sonja]
[Si sentono delle monete cadere su tavolo]
SONJA
2 giugno
30 rubli
29 rubli e 50 copeche a Katerina Ivànovna e ai bambini
Oggi ho mangiato del pane nero. Se potessi mangerei di più: questo corpo non attira clienti e con il guadagno di oggi Katerina Ivànovna e i bambini potranno mangiare solo per tre giorni. Lavorerò di più. Mancano poche ore al controllo igienico mensile. Osservo sempre con estremo rigore i rituali di pulizia personale da quando ho preso il cartellino giallo: sfregando ogni centimetro di pelle di questo corpo, disonorato da mille altri, mi sembra di lavare via anche il peccato inestinguibile che mi consuma. Ma poi eccomi di nuovo, rivestita di vergogna, che mi sorprendo a desiderare ancora più offese, ancora più insulti, ancora più violenza nel tentativo di mettere da parte qualche rublo in più per pulirmi ancora meglio questa volta e quella dopo ancora e ancora, per offrire a Pòlen’ka un’alternativa a tutto questo.
Ho visto cosa succede alle ragazze che smettono di pulirsi.
[Si leva un coro di sussurri]
“Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri”.
Per qualche mesemi sono presa cura di un’altra ragazza come me, che non aveva più la forza di lavarsi. Mi sono dimenticata il suo nome, come ho potuto! A volte mi chiedeva di leggerle qualcosa fra un cliente e l’altro e allora io le leggevo ad alta voce qualche passo dal quarto Vangelo. Era bello tenersi compagnia, condividere il peso di quelle ore, finché un giorno ha cominciato a rifiutare le letture, preferendo l’isolamento alle mie cure. Forse ho sbagliato qualcosa. Questa città l’ha annientata. E io l’ho lasciata andare, sola, non ho insistito. Non me lo perdonerò mai. Prego che il Signore lo faccia al posto mio. La Neva, ingorda, ha inghiottito ciò che di lei è rimasto qui, un altro guscio vuoto che si è aggiunto al suo anonimo fondale di morte. Signore, ti chiedo umilmente perdono per aver covato per lungo tempo le stesse intenzioni prima di radicarmi in Te e chiedo perdono per lei, che non ha avuto il tempo di trovare un luogo sicuro in cui riporre il suo dolore. Prego che la sua anima abbia trovato pace fra le braccia misericordiose di Dio, che perdonai peccati, lenisce le ferite e crea vita nuova dalle ceneri della sofferenza.
Non devo permettere che questa miseria intacchi anche il mio cuore. Continuerò a pulirmi finché Egli mi darà la forza.
[Si leva un coro di sussurri]
“Signore, non lavarmi soltanto i piedi, ma anche le mani e il capo”. Gesù rispose: “Chi è già lavato non ha bisogno di lavarsi altro che i piedi. È completamente puro”.
Mi aggrappo alla croce di cipresso che la cara, dolce Lizaveta mi ha donato, insieme al Vangelo.
Sel’acqua e il sapone puliscono il corpo, la sofferenza e la parola del Signore purificano l’anima. Ma questo non basta a cancellare la mia profonda angoscia: la malattia è qualcosa che sfugge al controllo degli uomini, su cui i miei sforzi e le mie precauzioni non possono prevalere per sempre. Ho paura. Non rimane che affidare la mia salute alle mani nel Solo: Dio, ti prego, ti scongiuro, fai che questo corpo non confessi un terribile morbo ai dottori che domani lo visiteranno…non tanto per me, quanto per la famiglia di Katerina Ivanovna e i poveri piccoli, le cui bocche smetteranno di essere sfamate!
Vado a dormire con i pensieri inquieti e il cuore angustiato.
[Il coro di sussurri accompagna la voce di Sonja]
Abbi fede sempre, Sonja, Egli fa tutto.
[Suono di monete che cadono sul tavolo]
3 giugno
30 rubli
29 rubli e 50 copeche a Katerina Ivànovna e ai bambini
Si! Egli provvede a tutto! Il Signore ha ascoltato ancora una volta le mie preghiere. I dottori hanno rinnovato il cartellino e mi hanno garantito che almeno per qualche mese potrò continuare a lavorare. A cosa succederà dopo, però, non ci voglio nemmeno pensarci: a quanto pare, il mio corpo è stanco e consumato. Presto non avrò più la forza di vestirmi, o di sforzarmi di sorridere ed essere bella per guadagnarmi una notte. Forse nemmeno di mangiare. Mi arrenderei adesso, se non fosse per Katerina e i bambini. Invece ora poserò la penna e cercherò di rimettermi in sesto, se Lui vorrà.
[Risuona un solo rintocco di campana]
17 giugno
30 rubli
29 rubli e 50 copeche a Katerina Ivànovna e ai bambini
30 copeche a mio padre
Come ogni tre giorni, da due anni a questa parte, oggi ho fatto visita a casa per consegnare i soldi a Katerina, attenta a non attirare sguardi indiscreti. Papà non c’era, non c’è mai, soprattutto nei giorni in cui faccio visita; vedermi lo fa soffrire. Oggi il guadagno è stato buono. Ho posato sul vecchio tavolino di legno il gruzzolo di monete. Katerina ha cominciato a contarli smaniosamente, mentre le sue guance scarlatte per la malattia si infuocavano ancora di più. Il senso di colpa mi annodava la gola. Ha notato immediatamente che mancavano 50 copeche rispetto alla somma prestabilita. Mi ha rivolto uno sguardo pieno di accusa e di supplica. Mi faceva una tale pena guardarla. Le ho detto che quelle copeche mi servivano per rimettermi in sesto per aumentare il guadagno. «Come se bastasse una scatola di fagioli in più a cambiare le cose» mi ha risposto lei. Mi si sono riempiti gli occhi di lacrime. Katerina ha ragione. Quanto sono ingenua, quanto sono stupida a farmi guidare dalle mie false speranze, da futuri improbabili. Ho lasciato sul tavolo le altre 50 copeche e sono uscita prima che scoppiassi a piangere in quella casa, che sicuramente non aveva bisogno anche delle mie lacrime. Almeno quella scatola di fagioli andrà ai bambini.
Mi sono rifugiata nel buio della mia stanza e ho pianto per non so quanto tempo. Poi dei colpi pesanti alla porta e una voce cantilenante mi hanno riscosso dal torpore. «Sonjaaaa, Soneckaaa, colombella mia, apri la porta al tuo povero vecchio!»
In un primo momento ho finto di non essere in casa. Ultimamente vengo sopraffatta troppo spesso da un sentimento egoista, giudicante, di cui non pensavo di essere ancora capace e che mi spinge ad agire crudelmente. Chi sono io per negare rifugio a un essere umano in difficoltà, un’anima errante in cerca di un posto dove andare, per di più quella di mio padre? Lo invito ad entrare. L’ubriachezza e la mancanza di denaro sono le uniche due cose che spingono papà a farmi visita. Lui ha riposto erroneamente tutta la sua fede nell’alcool, la sua croce e panacea, preferendo la soluzione più semplice e immediata, sostituendo Dio con la bottiglia. Ah, se solo sapesse quanto è grande il Signore, e di come, con la sua parola, mi salva ogni giorno!
Si reggeva a malapena in piedi. L’ho aiutato a sedersi con fatica sull’unica sedia presente nella stanza, che si è piegata pericolosamente sotto il suo peso. Le sue parole impastate rimbombavano nella stanza semivuota.
«Sonecka cara, colombella mia, luce della mia vita… quello che ti sto chiedendo è una bestialità…è inammissibile…una padre vero non chiederebbe, no, non chiederebbe mai una cosa del genere alla propria figlioletta, che si sacrifica ogni giorno…piuttosto morirebbe…avrei dovuto morire al posto di venire qui a disturbarti…approfittarne…ma, insomma…se avessi qualcosa da darmi per farmi passare questa sbornia tremenda…tu che sei così buona…giuro, giuro su tua madre che non lo faccio più…questa è l’ultima bottigl-…no no questa è l’ultima volta…si si te lo prometto…Sonja, Sonja, ti prego…ti prego…prego per te ogni ora, ogni giorno…figlia…perdona!…» Il suo respiro affannoso e nauseante riempiva la stanza.
[Coro accompagna la voce di Sonja, in crescendo]
“Papà, non ti preoccupare, Egli perdonerà tutto e tutti perché ha pietà di noi, di me, di te, di tutti, degli ultimi!” avrei voluto dirgli. Invece non ho detto niente. Gli ho messo nel taschino della giacca da funzionario 30 copeche, quasi tutte quelle che mi sono rimaste. “A-addio Sonja” ha biascicato quasi fra sé e sé mentre lasciava la stanza.
Signore, avrò sbagliato di nuovo?
[Risuonano due rintocchi di campana]
3 luglio
25 rubli e 50 copeche
24 rubli a Katerina e ai bambini
Mio Dio! Lizaveta è stata uccisa in casa insieme a sua sorella a colpi di scure! Oh, mio Dio, questo è il più nero dei giorni! Esiste un limite alla scelleratezza dell’uomo? È in ore buie come queste che il mio spirito oscilla pericolosamente, messo alla prova da Dio che interroga la sincerità della mia devozione e la mia fede, la stessa che do per scontata ogni giorno. Oggi io scelgo di rimanere radicata in te Signore, combattendo il terremoto di impulsi che minaccia di stravolgere tutto quello in cui credo! Oh, proprio tu Lizaveta, anima gentile, che sei stata una njan’ka per me, che per prima ti sei accorta del mio smarrimento di fronte a un mondo le cui leggi oscure ed eccezioni erano fuori dalla mia comprensione di ragazzina e in cui adesso sento di sapermi orientare e difendere. Non ti ringrazierò mai abbastanza per avermi raccolto e presentato al cospetto di Dio e della sua parola, che continua a guidarmi nel bene, facendomi vedere l’umanità dove prima non riuscivo a scorgerla. Grazie per avermi sottratto alla lettura sterile di quel libretto scientifico che mi appassionava così ottusamente, mettendomi in mano le Sacre Scritture, che mi aiutano ancora ogni giorno a navigare questa vita.
Quanto deve sentirsi solo e impotente davanti alla vita grama che ci accomuna tutti, l’autore di questo atto infame! Prego affinché quest’uomo riesca a ritrovare tutta la propria umanità, soffocata dal peso di tanta sofferenza. Prego affinché l’illusione che l’ha spinto ad ergersi ad arbitro della vita e della morte delle persone si infranga, e che il desiderio di usurpare il trono di Dio si riveli ai suoi occhi in tutta la sua assurdità.
Prego affinché la sua anima trovi riparo definitivo nelle mani del Solo. Solo allora capirà cosa vuol dire davvero vivere in libertà. La grandezza è solo quella di Dio. C’è ancora speranza.
Oggi provo ancora più pietà per i vivi e soprattutto per coloro che vivono senza amore.
[in coro]
Amen.
[Risuonano tre rintocchi di campana]
7 luglio
15 rubli
15 rubli a Katerina Ivànovna e ai bambini
Le pagine di questo diario si potrebbero sbriciolare sotto il peso dell’enorme dolore che vi ho impresso! Oggi non credevo di avere la forza di impugnare la penna, ma scrivere mi aiuta a capire.
Papà è morto. È stato schiacciato da una carrozza padronale mentre peregrinava per le strade della città, accecato dall’ubriachezza. Ho agito così crudelmente l’ultima volta che ci siamo visti! E quante, quante altre volte l’ho fatto. Non gli ho rivolto nemmeno mezza parola! Nemmeno un addio! Che gesto meschino accontentarlo così facilmente, come a dire “Hai avuto quello che vuoi, ho fatto il mio, ora vattene, non sei il benvenuto qui”. Tanto valeva continuare a fingere di non esserci, negargli la mia ospitalità. L’ho privato del mio affetto per anni e sono riuscita ad abbracciarlo un’ultima volta solo da morto. Lo rimpiangerò per sempre. Dio, non mi merito il tuo perdono, ultimamente dubito sempre di più della sincerità della mia fede. Ti prego Signore, abbi almeno pietà di lui, raccogli i frantumi della sua anima per ricomporli nel Tuo regno di pace, infondendoli di vita nuova. Riposa in pace, papà. Spero che lassù tu possa conoscere Lizaveta.
Quando la terribile notizia mi ha raggiunto, mi sono precipitata a casa ancora vestita degli spregevoli stracci della strada. La folla di occhi che si sono posati su di me, gli stessi che cerco di evitare prudentemente ogni giorno, mi ha paralizzato. La vergogna incandescente che ho provato in quel momento mi ha pietrificato sulla soglia, dando ancora più tempo a quegli sguardi che non ho avuto il coraggio di sostenere, di ispezionarmi da capo a piedi, giudicandomi dalle ridicole vesti che palesavano il loro scopo in modo chiaro e vergognoso. Il mio sguardo era inchiodato a terra. In quel momento avrei voluto strapparmi gli occhi e rimanere al buio, per non vedere più le guance infuocate e tisiche rigate di lacrime della povera Katerina Ivànovna, i volti pallidi e scavati di Pòlen’ka e Lìdočka, il corpo massacrato di mio padre, il mio corpo stanco di vestirsi e spogliarsi ogni giorno di questi ridicoli ornamenti, la povertà, la miseria, la morte! Così tanta morte! Che cosa ne sarà di noi? Di Katerina, sempre più pericolosamente vicina a papà, dei bambini, di me! Signore oggi invoco tutto il perdono di cui sei capace, tutta la tua protezione. Neanche in un giorno come questo, davanti a tanta sofferenza mi tiro indietro. Anche oggi decido di vedere e sopportare e vivere insieme a Te e insieme agli altri.
Poi è successo qualcosa di strano. Quando sono finalmente riuscita a oltrepassare la soglia di casa, il mio sguardo, staccatosi da terra, ha incontrato quasi immediatamente il volto, sporco del sangue di papà, del giovane che per primo ha chiamato i soccorsi.
Ci siamo guardati per pochi secondi. Non so se siano state le orbite scavate o le pupille così tanto dilatate da far apparire i suoi occhi neri, ma qualcosa nel suo sguardo mi ha turbato, facendo nascere in me un presentimento ambiguo che ancora adesso non riesco a decifrare. Sembrava come separato da tutto il resto, come se si ponesse al di fuori di quella stanza in cui si mischiavano sangue, lacrime e sudore. Eppure è come se in quella folla anonima ci fossimo riconosciuti all’improvviso, come se non fosse la prima volta, ma una delle tante. Prima di perderlo di vista io e Katerina abbiamo mandato Pòlen’ka a chiedere il nome e l’indirizzo del giovane, per poterlo ringraziare di persona.
[pausa forte]
Il suo nome è Rodiòn Romanovič Raskol’nikov.
A Pòlen’ka ha detto di farsi chiamare servo Rodjòn.
Per te, servo Rodjòn, pregherò ogni sera.
[suono di gocce]
Non riesco a dormire. La mia mente propone ossessivamente immagini orribili che si mescolano tra di loro, ricombinandosi in quadri incoerenti.
La mia unica ora di sonno è stata disturbata da un sogno terrificante. L’Apocalisse era arrivata a San Pietroburgo e io facevo da spettatrice. Dall’alto vedevo la Neva rigettare i suoi neri flussi sommergendo le strade della città. Il torrente scuro abbassandosi faceva riemergere a poco a poco il suo fondale perlaceo fatto di corpi inerti, che uno ad uno ripopolavano le strade vuote, trasportati dalla corrente.
[in coro]
Tutti avevano il suo volto.
[La Neva scorre in sottofondo]
Scena iii
Esterno. Ponte sulla Neva con panchina.
[VIDEO DA VISUALIZZARE AL SEGUENTE LINK
https://docs.google.com/presentation/d/1WG-_82WOLf9CBcOMCqZSCx4PBt7hFztf/edit?usp=drive_link&ouid=105684261812567503652&rtpof=true&sd=true]
SONJA
Caro Diario,
oggi ho temuto il peggio per me.
Ho provato il terrore che si nasconde dietro la sensazione di aver perduto Dio e con esso la fiducia che ho nell’essere umano e in questo mondo, che nonostante la sofferenza che provo è così pieno di bellezza.
Sai? Alla fine oggi è venuto da me.
Dopo esser scappata dalla casa paterna e finalmente aver trovato riparo nella mia piccola stanza, l’ho atteso.
Non ho dovuto attendere molto e quando aprì la porta fu come se tutta la mia sofferenza venisse un po’ meno.
Ero attratta da lui, sono attratta da lui terribilmente, e nel frattempo ne avevo così paura.
Mi sentivo così sciocca, una bambina, dopotutto è umano, pensai.
Mi alzai e gli corsi incontro.
Fino a quel momento non potevo immaginare che cosa Dio avrebbe avuto in serbo per me.
Fino a quel momento non sapevo che avrei fatto un viaggio nelle profondità più oscure e impenetrabili dell’essere umano.
Fino a quel momento non conoscevo la reale forza di Dio.
Oggi sono morta e rinata.
—
Ho cercato e cercato e ancora ricercato una motivazione, una spiegazione che potesse apparire alle mie orecchie plausibile. Comprensibile. Che potesse giustificare quegli atti, atti incidibili.
Oh che terribile male stava prendendo il sopravvento su di me!
Stava prosciugando in me anche l’ultima goccia di speranza e fede.
Non avevo mai, mai dubitato prima!
Mai… Fino a quel momento…
—
Poi qualcosa accadde e allora capii.
Quando pensavo di aver toccato completamente il fondo, di aver compiuto il peccato più grande… Allora incrociai di nuovo i suoi occhi ed è lì che ritrovai Dio.
—
Sofferenza.
Dolore.
Umano.
Sofferenza.
Dolore.
Umano.
—
Non potevo far altro che abbracciarlo.
Ormai eravamo diventati una cosa sola.
Non potevo e non volevo abbandonarlo.
Promisi a lui, a me stessa e a Dio che mai l’avrei lasciato.
Avrei accettato e portato sulle mie spalle anche la sua sofferenza.
C’è speranza per tutti gli esseri umani.
Le strade della redenzione sono infinite e lui, noi avremmo percorso la nostra insieme.
—
Oggi sono rinata.
Didascalia video
Scena 1 – 00:00-01:56
Inizio lettura del diario dopo avvenuto incontro con i fantasmi.
Il diario è la personificazione di Sonja che apparirà successivamente nella scena.
Raskolnikov dalla lettura del diario, diverrà attore che racconta i fatti passati.
Attraverso i suoi movimenti racconterà gli atti che ha commesso. I due giri vogliono rappresentare le due uccisioni e la mano tremante è quella del colpevole.
Lo sguardo che avrà nei confronti di Sonja (anche lei materializzata come attrice interprete dei fatti che il diario narra) sarà quello che farà cadere lei.
All’ascolto degli atti commessi inizierà a essere titubante rispetto a ciò che sente e prova per R., ma soprattutto per Dio e l’essere umano in generale (come le parole vogliono sottolineare; infatti la pagina di diario verrà incentrata molto su come lei vive questo momento e come la sua fede, anche se teme di averla persa, sarà la chiave di volta per vedere realmente R., la sua sofferenza e quindi quella dell’intera umanità).
Scena 2.1 – 00:57-02:35
Lei vuole capire il perché degli atti compiuti da lui e quindi domanda.
I movimenti fatti da lui e imitati da lei, vogliono essere la rappresentazione delle parole di lui attraverso le quali prova a dare la prima motivazione di quello che ha fatto.
Il tentativo di lei di imitare e stare dietro ai versi di lui, vuole essere la rappresentazione dello sforzo di ascolto e immedesimazione che Sonja prova a fare.
Sonja perderà le speranze, interrompendo la sequenza, e non crederà più alle parole di lui.
Vacilla sempre più la speranza e la fede.
Scena 2.2 – 02:36-04:03
Lei proverà a fare un secondo tentativo di ascolto andando verso di lui, il quale non sarà subito convinto di voler continuare il confronto.
Poi R. decide di provare a dare una seconda spiegazione.
Riparte l’imitazione dei gesti, con una sequenza più dolce che potrebbe sembrare simbolo di una spiegazione veritiera.
Anche qui Sonja abbandonerà quasi le speranze, non riuscendo a credere nemmeno a questa seconda motivazione.
Sonja si guarderà le mani come se fossero mani peccatrici. “Il peccato più grande” si riferisce alla perdita di fede.
Poi illuminazione, momento di rilevazione, guidato da Dio che ritroverà negli occhi di lui.
Solo attraverso questo sguardo, simbolo della capacità di Sonja di guardare in fondo all’anima di R., S. sarà in grado di vedere la sofferenza di R. e dell’intero genere umano.
Scena 3 – 04:04-05:30
S. e R. si fondono in un abbraccio, diventando una cosa sola.
Lui si affiderà a lei, che attraverso i suoi gesti (sono il primo vero contatto tra i due corpi) inizierà a prendersi cura di R., fino ad ottenere da parte sua un totale abbandono e affidamento.
Lei rialzerà lui e sorreggerà il suo carico, scegliendo, attraverso quello che sembra essere quasi un voto, di farsi carico della sofferenza e dei gesti da lui compiuti e di percorrere con lui quella che sarà la strada del futuro (mano nella mano).
Scena 4 – 05:31-05:33
I colori bianco e nero, utilizzati anche per gli abiti, indicano rispettivamente la purezza di lei e la negatività di lui, coscienza malata e negativa.
Le mani toccandosi tra di loro concedono ai colori di mischiarsi e mescolarsi, dando vita a un grigio.
Questo momento simboleggia la coscienza di Sonja che si macchia.
Più in generale il grigio simboleggia l’animo degli esseri umani, buono e cattivo contemporaneamente; capace di grande bene ma anche di grande male.
Scena 5 – 05:54-08:08
Lui sceglierà di scrivere la sua verità e quindi di confessare, ma sul diario.
Diario personificazione di Sonja, macchiato dall’inchiostro che è la personificazione di Raskolnikov.
Scena IV
Esterno. Ponte sulla Neva.
[Raskòl’nikov scrive la propria
confessione nel diario di Sonja]
RASKOL’NIKOV
Sono stato io ad uccidere la vecchia vedova del funzionario e sua sorella Lizaveta, con una scure, e le ho rapinate.
La lotta fra luce e tenebre che ho dovuto affrontare in questo lungo peregrinaggio, una battaglia contro le mie paure e la mia coscienza, tutto questo mi ha portato fino a te, mia protettrice e compagna amata. Ora, dopo tutto questo errare, sono pronto a dire la mia verità, sono stato chiamato, e sono pronto ad uscire dalla caverna buia della mia interiorità.
Ai grandi uomini, i “Napoleoni”, sì proprio a questi, è consentito il privilegio di vivere ed agire al di sopra della legge e del comportamento morale, a questi tutto è concesso; a Noi persone comuni, i “pidocchi”, gli “scarti”, i “reietti”, che devono sottostare alle leggi e al senso comune, non è concesso niente! Anzi, siamo sottomessi dai Napoleoni, i quali hanno il privilegio e il diritto di vita e di morte. Quello che ho fatto, sì già, quell’orribile e scellerata azione che mi perseguita, come una macchia indelebile che provi a lavare, a lavare, ma che ahimè non viene lavata via; questo peso che mi opprime lo stomaco, me lo contorce e non mi lascia respirare, è la dimostrazione che Io, rifiuto e sacrato della società, non sono fatto per appartenere alla categoria dei grandi uomini. Ogni notte rivedo quella scena brutale, il fiato corto, la bocca pastosa, l’ansia che sale, il panico, e subito dopo riapro gli occhi, ansimante mi alzo dal letto e mi guardo le mani, quelle mani! Le mani di un bruto, coperte di sangue, che purtroppo non potrò mai lavare via del tutto. L’angoscia e la paranoia mi perseguitano, come se fossero delle care amiche che mi accompagnano durante le mie passeggiate. Esco, prendo un po’ d’aria, la brezza di Pietroburgo è gelida, trascinato dalle mie stesse gambe, senza forza, passeggio e con me mano nella mano il mio destino, rovinato, spezzato nel momento stesso in cui ho perso la testa e reciso come un fiore d’inverso la vita di due persone innocenti. Nessun uomo è superiore nella morte. Ho cercato e mi sono sforzato di mascherare il mio senso di colpa, autoconvincermi che l’atto che ho commesso era necessario per impormi e realizzare il mio sogno di vana giustizia, entro il quale volevo giustificare tutte le mie azioni, ma ho fallito nella ricerca di una libertà assoluta ed illimitata! Il tormento e la disperazione da quel momento sono state mie compagne di stanza, attenuate ad intermittenza dalla tua presenza. Tu dolce angelo! Che non ti sei lasciata contaminare dal tuo lavoro, ti sei mostrata intatta e ferma nell’animo, tu che sei condannata alla misera, alla corruzione e alla sofferenza sei riuscita a non farti sopraffare da essa, mantenendoti pura. Hai saputo ascoltare la tempesta che avevo dentro e come un marinaio esperto sei riuscita a domarla. Tutto il travaglio e la sofferenza che hai dovuto passare e che ti ho fatto passare! Oh, anima fragile che Dio mi porti, tu non giudichi, non condanni, anzi ti sei sentita responsabile dei miei tormenti, soffrendone come se fossero i tuoi; tu emblema degli sfortunati, degli oppressi, delle vittime del male. Tu sei stata il punto luminoso che mi ha rischiarito la mia esistenza sciupata. La tua cieca fiducia in Dio è la salvezza, è l’appoggio che ti impedisce di precipitare nell’abisso di disperazione, della follia o della voluttà. Io, uomo perduto, abbraccio la ragione euclidea, mentre tu abbracci Cristo. Grazie alla tua fede e alla tua persona, mia dolce compagna di viaggio, ho potuto intraprendere il mio faticoso percorso di espiazione; perché anche tu in fondo come me hai distrutto la tua vita, sacrificandoti per gli altri. Siamo maledetti insieme. Sono morto dentro, moralmente e spiritualmente, ma ho scelto di seguirti, tu che credi e vivi in Cristo. Non ho ucciso per denaro, per la fama, ma per capire se fossi anch’io un pidocchio come tutti gli altri, se fossi una semplice ed insignificante creatura tramante oppure un Napoleone. Un peccatore che ha trasgredito la legge divina e della società, proprio come me, non può essere riconosciuto salvo della prigione o dall’esilio. Deve pagare, essere punito per poi risorgere, deve affrontare le pene del martirio come Cristo in croce e giungere alla salvezza. Il mio amor proprio era smisurato, non ho voluto cedere alle tue parole e non ho confessato quando mi ordinasti di farlo, ho voluto elevarmi e cercare di avere la meglio su coloro che mi davano la caccia. Il mio amore per te aggravava il mio dolore e mi rendeva infelice, ero troppo orgoglioso per amare e dunque per risorgere. Ora, è tempo di inchinarsi, di confessare al mondo intero chi sono veramente: un assassino.
Sipario