Alice Nesta, in questo suo secondo racconto breve, ha voluto dare descrivere un momento di gioia e di speranza contrastando l’atmosfera di soffocamento e chiusura del romanzo di Dostoeskij Delitto e castigo, nell’ottica del corso di Letterature Comparate B, Verità e coscienza. Narrativa, poesia, teatro (Prof.ssa Chiara Lombardi)
“Si risvegliò dai suoi pensieri quando sentì le porte della piccola chiesa aprirsi. Una luce grigia ma accesa entrò nell’ambiente e illuminò tutto. Quando mise a fuoco la figura che era comparsa sulla porta, rimase senza fiato.”
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Razumichin ogni tanto si fermava a riflettere su quanto fosse cambiata la sua vita nell’ultimo anno.
Sapeva perfettamente che la casualità e il destino erano due concetti che si sfioravano, forse volevano dire la stessa cosa, ma non aveva mai capito esattamente secondo quale criterio si insinuassero nella vita degli uomini e ne modificassero le sorti. C’erano stati momenti in cui l’idea che il futuro fosse solo un’insieme di cose indefinite, che l’essere umano non poteva controllare, gli aveva messo paura e si era chiesto se forse l’idea di destino e casualità non fossero state inventate dall’uomo stesso per giustificare le cose che succedevano al di fuori del suo controllo.
Non sapeva quale legge governasse l’universo, ma di una cosa era sempre stato certo: dalla prima volta che aveva visto la sua futura moglie si era irrevocabilmente innamorato di lei.
Ricordava il giorno in cui era entrato nell’appartamento dell’amico Raskolnikov e l’aveva vista seduta lì, impaurita e incerta su come comportarsi mentre il fratello discuteva con la madre.
Per quanto si leggesse la stanchezza sul suo volto, per quanto sembrasse piccola seduta su quella sedia cigolante, per quanto potesse rimanere in silenzio ad osservare gli altri due litigare, Razumichin aveva percepito una forza e una sicurezza quando l’aveva guardata negli occhi che l’avevano atterrito.
Dal momento in cui quegli occhi si erano incastrati nei suoi, aveva sentito la terra mancargli sotto i piedi, come se la gravità dipendesse dalla presenza di Dunja nella stanza e non dalle leggi della fisica che governavano il mondo. Da allora le era sempre stato affianco.
Razumichin era consapevole che Dunja avesse dovuto affrontare tanti dolori nella propria vita; lei ne parlava poco e malvolentieri. Lui non voleva vedere il suo volto delicato rabbuiarsi e aveva imparato a non chiederle mai troppo del suo passato e di tutto quello che aveva sopportato prima di conoscerlo. Portava tanti dolori nel cuore, Razumichin lo sapeva, ma questo non lo aveva mai fermato dall’amarla incondizionatamente.
Il giorno in cui avevano arrestato Raskolnicov per l’omicidio di due donne, Dunja aveva passato tutta la giornata con la madre e non aveva versato una sola lacrima. Era rimasta al fianco della madre per darle forza fino a quando non si era fatta sera e si era addormentata. Solo a quel punto Dunja era andata da lui, si era appoggiata alla sua spalla, lui l’aveva abbracciata e lei era scoppiata in un pianto silenzioso. Non si erano detti niente, non c’erano parole che avrebbero potuto migliorare quella situazione. Avevano passato la notte così, finchè non si erano addormentati entrambi sfiniti e stanchi.
Da quella sera non si erano più separati. Razumichin, qualche settimana dopo, le aveva chiesto la mano e Dunja gli aveva chiesto perché mai la amasse, lui era un uomo buono e di bell’aspetto, poteva sicuramente aspirare a qualcuna migliore di lei. Razumichin non poteva credere che lei potesse pensare una cosa del genere. L’aveva guardata e le aveva detto che lei era il suo mondo e lui le gravitava intorno come fosse la Luna per la Terra. La forza dell’amore che provava lo portava a guardarla e ad innamorarsi ogni giorno un po’ di più. Dunja aveva sorriso e gli aveva accarezzato il viso con la mano fredda. Ricordava perfettamente la sensazione di quella carezza sulla guancia, se si concentrava poteva sentire la mano morbida di lei sfiorargli la pelle dove la barba stava ricrescendo.
All’università aveva studiato tanti filosofi e letterati che parlavano di amore, di quel sentimento tanto forte da portare un uomo a fare qualsiasi cosa, persino a fare guerre o a percorrere tutti i regni ultraterreni pur di rivedere anche per pochi attimi la donna che amava. Un sentimento così astratto e sconfinato che nessuno sembrava riuscire a descriverlo davvero, come se non esistessero delle parole per delineare quello che voleva dire amare una persona al di fuori di se stessi.
Razumichin non aveva mai compreso a pieno quel sentimento finchè non aveva conosciuto Dunja.
Si risvegliò dai suoi pensieri quando sentì le porte della piccola chiesa aprirsi. Una luce grigia ma accesa entrò nell’ambiente e illuminò tutto. Quando mise a fuoco la figura che era comparsa sulla porta, rimase senza fiato. I raggi di luce contornavano perfettamente la sagoma di Dunja dandole un aspetto angelico. La sua pelle bianca risaltava così tanto che sembrava brillare di luce propria, il vestito bianco le avvolgeva il corpo in modo delicato e il velo le gettava un ombra seria sul viso.
Mentre camminava verso di lui guardava dritto davanti a sè. Il suo passo era sicuro.
Al suo fianco camminava sua madre che aveva gli occhi lucidi per la commozione e per la gioia di porter accompagnare sua figlia all’altare. Questo matrimonio aveva reso la madre di Dunja estremamente felice, era la prima cosa bella dopo un lungo periodo di sofferenza e le si leggeva negli occhi che era orgogliosa di quanto forte fosse sua figlia. Ma era anche consapevole che avrebbe dovuto essere il fratello ad accompagnarla all’altare, e questo aveva amareggiato profondamente quella donna che faceva di tutto per non crollare sotto il peso del dolore.
Nella chiesa angusta c’erano poche persone, ma Razumichin avrebbe avuto occhi solo per Dunja anche se si fossero trovati in mezzo ad una folla di centinaia di persone. Sentiva il cuore battere all’impazzata nel petto. Era impazziente di averla davanti e di prometterle che l’avrebbe amata in eterno, che avrebbe asciugato ogni sua lacrima e che avrebbe condiviso con lei ogni gioia che la vita gli avrebbe donato.
Quando le due donne finalmente giunsero all’altare, la madre di Dunja porse a Razumichin la mano della figlia. Lui le sorrise gentilmente e strinse tra le sue mani ruvide quella della sua sposa. Dunja salì sull’altare e si mise davanti a lui. La stava ancora tenendo per mano e per nessun motivo al mondo l’avvrebbe lasciata.
Lei gli sorrise e ricambiò quella stretta. Quello era il suo modo per fargli capire che anche lei era impaziente di iniziare finalmente la loro vita insieme e di prendersi cura l’uno dell’altra.
In quel momento Razumichin capì che per quanti dolori possano esserci nella vita, l’amore è tutto quello che serve ad un essere umano per essere definito tale. Quel giorno comprese il senso di tutte le poesie degli scrittori e i pensieri dei filosofi che aveva letto all’università e che gli erano sembrate solo fantasticherie.
Continuando a stringere la mano di Dunja capì che da quel momento in poi si sarebbero scelti l’un l’altro ogni giorno della loro vita, e improvvisamente il futuro non gli fece più paura.
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Bibliografia:
Delitto e castigo, Fedor Dostoevskij