Letizia Baldioli immagina, attraverso lo stratagemma del sogno, che una lettrice si ritrovi ad ascoltare pazientemente le confessioni, talvolta disperate, dei personaggi del Macbeth. In questo modo cerca di far conoscere loro il punto di vista di una persona esterna alle vicende, sollevandoli umanamente dal peso della tradizione letteraria, nell’ottica del corso di Letterature comparate B, Verità e coscienza. Narrativa, poesia, teatro (Prof.ssa Chiara Lombardi)
“Io lo ascoltai attentamente, poi passai ad ascoltare tutti gli altri, parola per parola, per poi essere sicura di poter prendere la decisione più giusta. Chi fu tra loro il vero colpevole? Certamente tutti a loro modo lo furono, ma chi innescò il meccanismo del male, del sangue e dell’omicidio?”
Una ragazza prima di andare a dormire scorge sul comodino della sorella l’opera shakespeariana Macbeth. Una volta addormentata verrà catapultata in una pagina di quel libro dove incontrerà cinque personaggi i quali, uno alla volta, racconteranno la loro versione dei fatti accaduti nell’opera letteraria seduti su una poltroncina di velluto blu. Il racconto si trasformerà in una vera e propria seduta di psicoanalisi in cui i personaggi si sfogheranno liberamente senza mai essere interrotti dalla giovane. Sarà lei che, alla fine delle sedute, dovrà decidere in modo oggettivo chi tra loro sia il più colpevole tra tutti.
CINQUE PERSONAGGI IN CERCA DI RISPOSTA
Ieri notte ho fatto un sogno. Vagavo per un sentiero senza conoscere la mia destinazione. Ero sola. Il cielo si era fatto bianco, a pensarci bene tutto attorno a me pareva come ammantato di neve. Gli alberi, i cespugli, le colline sembravano disegni a matita su un foglio. Alla fine del sentiero, una casa. La porta era aperta. Decisi di entrare. Seduti ad un tavolo si trovavano cinque figure. Un uomo, una donna e tre… in verità non capì subito cosa fossero, forse delle figure femminili, ma diamine avevano la barba lunga fino alle ginocchia! Non si erano accorti del mio arrivo, parlavano o meglio litigavano incolpandosi a vicenda. Ero convinta che non mi potessero vedere, ma poi la donna si girò di scatto verso di me. Mi guardò per un istante e gridò: «Ho la soluzione!». Io ero la loro soluzione o almeno la sua. «Raccontiamole tutto, uno alla volta. Lei sarà il nostro giudice, lei deciderà chi tra noi si è macchiato di una colpa maggiore». «Io giudice? Di cosa? Ma poi… voi chi siete?». «Chi siamo noi?!» esclamò l’uomo alzandosi precipitosamente dalla sedia, che cadde a terra per la sua furia. Li riguardai attentamente, mi concentrai sui loro volti, esaminai i loro sguardi cercando di scrutarne qualche particolare a me familiare ma… nulla. Allora l’uomo esclamò «Shakespeare in persona ci ha creati, la sua mente ci ha ideato, la sua penna ci ha dato la vita. Macbeth è il mio nome, signore di Glamis, di Cawdor e re di Scozia». Allora capì. Prima di andare a dormire mi ero voltata verso il letto di mia sorella, sul suo comodino avevo notato una sfilza di libri impilati uno sull’altro. Su uno di essi, quello dalla copertina rossa, la scritta: Macbeth, di William Shakespeare. Sì, era andata proprio così. Il cervello gioca strani scherzi, è proprio vero. Avevo letto il titolo di quel libro e, una volta addormentata, la mia mente mi ci aveva catapultato all’interno. Ecco perché tutto ero bianco e nero, bidimensionale. Io mi trovavo esattamente dentro alle memorabili pagine del Macbeth. «Se tu sei Macbeth, allora lei…» dissi indicando la donna «dovrebbe essere lady Macbeth, e loro le tre streghe». L’uomo mi fece un cenno di approvazione con la testa. Conoscevo la trama, ma avendo letto l’opera del grande Shakespeare una sola volta e diversi anni addietro, avevo bisogno che la mia memoria letteraria venisse rinfrescata. «Meglio così» disse Macbeth che aveva partecipato segretamente al mio ragionamento. «Un giudice neutrale è proprio quello che ci serve!» e, prendendomi la mano, mi accompagnò a sedere. Improvvisante apparve una poltroncina. Se fosse sempre stata lì o meno non me lo chiesi, d’altronde era pur sempre un sogno. Ed ecco che su quella seduta blu, uno alla volta, i personaggi dell’opera si misero comodi. Macbeth in particolare attirò la mia attenzione. Appoggiò i piedi su uno sgabello di velluto trapuntato e mise entrambe le mani dietro la testa. Fissò per un momento il vuoto e, come un vero paziente pronto a sfogarsi con il suo terapista, cominciò a parlare. Io lo ascoltai attentamente, poi passai ad ascoltare tutti gli altri, parola per parola, per poi essere sicura di poter prendere la decisione più giusta. Chi fu tra loro il vero colpevole? Certamente tutti a loro modo lo furono, ma chi innescò il meccanismo del male, del sangue e dell’omicidio?
MACBETH:
«Io sono un tiranno, un assassino. È colpa di quelle streghe, loro non dicevano tutta la verità, o meglio, la dicevano, ma a modo loro, ingannandomi. Le loro profezie erano tutto ciò che io desideravo sentirmi dire. La loro colpa è stata quella di aver dato voce alle mie ambizioni, la mia di averle ascoltate. E anche tu, grande Shakespeare, avresti potuto far sì che le profezie di quelle streghe fossero come quelle degli antichi oracoli. “Tu diventerai re” e allora ecco che, come per magia, mi sarei ritrovato sul trono e invece no, troppo semplice… Eh no perché quel William Shakespeare era convinto, ma cosa dico, era CER-TO che fosse l’uomo il creatore del proprio destino. Beh allora ripensandoci è colpa mia. Oh si è tutta colpa mia, se solo non avessi dato retta alle parole delle streghe e se non mi fossi fatto manipolare da quella donna. Ma aspetta, allora è anche colpa loro. Quella Lady Macbeth mi disse: mostrati come il fiore, innocente, ma sii …»
LADY MACBETH:
«… la serpe che esso nasconde. Sì, gli dissi proprio così, testuali parole» rispose lei con un tono svogliato, come se quella storia l’avesse sentita troppe volte. «Ah quella lettera, è proprio vero, la lettera mi fece rinascere. Tutte le mie fantasie e le mie ambizioni più segrete stavano per realizzarsi. Ma poi ecco che re Duncan decise di nominare suo figlio Malcolm come erede e allora i miei occhi, alla notizia, si irrorarono di sangue, il mio cuore palpitò sempre più velocemente a causa della rabbia e le mie mani si chiusero a pugno tanto che le mie unghie si conficcarono nella carne. Una cosa era certa: Macbeth sarebbe diventato re. Ma ecco, un ostacolo si presentò sul mio cammino. Il nuovo principino o re Duncan potresti pensare tu, ma… no, eh no mia cara, lui sarebbe stato facile da togliere di mezzo. Il mio problema? Beh, quello aveva un altro nome: Macbeth. Mio marito, un uomo ambizioso, ma giusto, desideroso di potere tuttavia inetto. Sapevo già che per convincerlo dell’efficacia del mio piano avrei dovuto mettere in piedi un bel discorsetto. Così feci. Se avessi fatto tutto questo per lui? Certo che no. Sì, lui avrebbe regnato sul trono di Scozia, ma io… non più moglie di Macbeth, non più signora di Glamis, bensì regina. Una vera corona avrebbe potuto finalmente essere posta sulla mia testa regale. Io, donna, ero convinta di potermi comportare come un vero re. Io ero l’uomo, io ero il coraggio, io ero la mente, lui? Le mie braccia, la mia marionetta. Uno strumento nelle mie mani. Il piano di uccidere re Duncan e di far cadere la colpa sulle guardie era il mio. Era giunto il tempo di essere l’uomo che avevo sempre sognato, di rimboccarmi le maniche e agire da uomo.»
MACBETH:
«Agire, continuò a dirmi di agire, ma commettere un delitto sarebbe davvero stata l’unica soluzione? Duncan era un re ed era mio cugino. Un uomo buono che amava i suoi sudditi. Unico sprone al mio disegno fu l’ambizione, supportata dalla bramosia focosa di mia moglie. La sua alimentò la mia.» Poi, da sdraiato qual era sulla poltroncina, si alzò di scatto e si voltò verso di me. «Un pugnale. Un pugnale fu l’ultima cosa che vidi prima di compiere il fatto. Una fatale visione percettibile al tatto come alla vista o forse solo un pugnale della mente? Questo bisognerebbe chiederlo a quel Shakespeare. Oh, continuavo a vederlo, era uguale al pugnale che stavo per sguainare, uguale eppure diverso. Prima avrei compiuto l’omicidio e prima tutto sarebbe finito. E così io lo uccisi. Sono un assassino. Ma poi…oh, ma poi sentì una voce. Macbeth non dormirai più. Queste parole cominciarono a rimbombare senza pietà nella mia testa, poi il mio sguardo si posò sulle mie mani. Rosse come il…». Si fermò un momento e si corresse «sì, rosse di sangue, sangue reale, sangue fraterno. Vidi solo quelle mani, nient’altro. Le mani di un omicida, di un traditore.»
LADY MACBETH
«Le mie mani erano come le sue. Le guardai bene e mi accorsi che, diamine, non era riuscito a portare a termine il mio piano. I pugnali avrebbero dovuto rimanere in quella stanza e i corpi delle guardie essere sporcati di rosso, solo così la colpa sarebbe ricaduta di loro. Ma lui no, non era stato capace di mettere a punto il mio diabolico progetto. I pugnali li teneva stretti tra le sue mani. L’ho sempre pensato, peccava di coraggio.» disse convinta. «E così dovetti farlo io al posto suo. Che codardo, lui non voleva neppure rientrarci in quella stanza. Macbeth aveva paura, restò immobile come una statua di cera, lì, con lo sguardo fisso nel vuoto. Cercai di fargli capire che quel sangue sarebbe andato via con l’acqua, ma lui niente, non ne voleva sapere e restava a fissare intensamente le sue mani. Continuò a ripetere che neppure tutta l’acqua del grande oceano avrebbe potuto lavare quel sangue e che quelle mani avrebbero insanguinato tutti i mari del mondo. Io, le mie, non le fissai. Lui si disperava mentre io, sommessamente, sorridevo soddisfatta.»
MACBETH
Macbeth si guardò attorno e solo dopo aver constatato che fossimo soli, mi disse di avvicinarmi a lui e bisbigliò: «Ora ti confesso un segreto. Piena di scorpioni era la mia mente. Ero re, ma non mi bastava più ormai. Mi ero trasformato in una persona nuova che non avevo mai conosciuto fino ad allora e che, tutto sommato, non avrei mai voluto conoscere. Ero stato corrotto dal male e non si poteva più tornare indietro. Mi ricordai all’improvviso le parole delle profetiche sorelle. Si rivolsero a Banquo chiamandolo padre di re. Uccidere era diventata ormai l’unica soluzione ai miei problemi. Banquo e suo figlio avrebbero dovuto morire. Oh, non avrei mai pensato che tali fantasie potessero tormentare tanto la mia mente di brav’uomo e invece… non riuscivo a pensare ad altro. Morte, sangue, omicidio. Fu come se non avessi più il controllo di me stesso. Davvero simili pensieri potevano nascere nella mia mente? Dov’era finito il Macbeth puro di cuore che conoscevo bene?» l’uomo tacque per un momento, si coprì il volto con le mani e cercò di rispondere a quelle domande. «Semplicemente, non esisteva più. Ed ecco la metamorfosi del personaggio che gli studiosi amano tanto. Si dice che Shakespeare avesse creato il personaggio “umano” ma spero che le persone del tuo mondo non siano come me. Banquo era morto. Suo figlio era riuscito a scappare. Eppure io continuai a vedere l’uomo che un tempo chiamavo amico. Non ero pazzo, c’era davvero. Al banchetto reale continuava a fissarmi. Aveva la faccia nera per il sangue che si era mischiato alla terra umida del bosco in cui era stato ucciso dai miei uomini. Mi fissava. Perché mi fissavi?». Gridò talmente forte guardando verso il cielo che il sole per la paura tramontò prima del tempo. Poi, una volta calmatosi, continuò la sua storia. «Gli ordinai di andarsene. Le sue ossa ormai erano senza midollo e il suo sangue gelido come l’inverno. Gli occhi dei presenti allora si posarono su di me, mi guardarono come si guarda un povero pazzo. Sangue chiama sangue. Quella stessa notte decisi di andare dalle sorelle fatali. Ero deciso a sapere coi mezzi peggiori il peggio.»
LE TRE STREGHE
«Macbeth non verrà mai sconfitto, finché il grande bosco di Birnam non avanzerà verso l’alto colle di Dunsinane contro di lui. Sii sanguinario, audace e risoluto. Nessuno nato da donna potrà mai ucciderti. Queste le nostre profezie. Noi dicemmo la verità, nient’altro che la verità. Parole chiare ma ingannevoli. Frasi precise ma confuse. Il bello è il brutto e il brutto è il bello. Shakespeare ci battezzò con queste parole. Noi siamo ambigue di natura. Siamo donne con la barba, questo dice tutto. Siamo la verità e la menzogna. La gloria e la sciagura. Siamo? E se non fossimo? Nulla di reale, solo un finto prodotto della mente. Noi, voce delle fantasie più oscure e delle ambizioni di Macbeth. Solo una voce o qualcosa di più? Il soprannaturale è reale? Perché William ci ha dato una forma? Credeva forse nei fantasmi? D’altronde anche nel suo Hamlet ha dato parola ad un fantasma, non è così? Se non fosse stato per le paure di quel Giacomo I, che accusava streghe e demoni di complottare contro di lui, Shakespeare non ci avrebbe mai create. La colpa di tutte le sciagure non è nostra, lo capisci o no? Non per influenzarti nel tuo giudizio, ma per noi l’unico colpevole qui è Macbeth. Soltanto sua è la colpa. È stato lui a decidere e a disegnare una volta per tutte il proprio destino. Il brutto è il bello e il bello è il brutto. Ma in questa storia di bello c’è ben poco. Praticamente nulla». Aggiunsero di aver provato a far ragionare Shakespeare, di avergli ripetuto spesso che, se le avesse fatte parlare in quel modo tanto ambiguo, nessuno le avrebbe prese seriamente ma, a quanto pare, qualcuno lo ha fatto. Povero Macbeth!
LADY MACBETH
«La situazione di mio marito peggiorò di giorno in giorno. Precipitò quando venne a conoscenza della partenza di Mac Duff per l’Inghilterra. Appresa la notizia, digrignò i denti e le sue mani strinsero sempre più forte la sua tunica che per poco non si strappò. Lui diventò rabbia, tirannia, vendetta. Gli scorpioni nella sua mente si triplicarono. La ragione la perse completamente. Decise di assalire di sorpresa il castello in cui la moglie e i figli di MacDuff vivevano e di ucciderli selvaggiamente. L’onesto Macbeth ormai era morto. Ma perché si comportava così?». La donna si alzò precipitosamente dalla poltroncina e uscì dalla casa correndo. Io la aspettai. L’aspettai per molto. Poi tornò da me. I suoi occhi erano lucidi, come se avesse appena finito di piangere. Numerose lacrime scesero dai quei suoi occhi che, a guardarli bene, erano profondamente cambiati. Non più colmi di sangue o di smania di potere e morte. No, non più. Senso di colpa, sì, era questa la parola giusta. Si mise di nuovo seduta. Mi fissò e ricominciò a parlare. «La colpa era mia. Io l’ho corrotto e portato verso il male e il male pesa sulle nostre coscienze molto più del bene. E io lo so per certo. Diventai ossessionata dalle mie mani, sulle quali il sangue era onnipresente. Non sarebbe mai andato via. La mia condanna, il mio castigo mi avrebbe perseguitato a vita. Vita… morte… l’inferno è buio. Vergona mia signora, vergogna! Un soldato che ha paura? Chi avrebbe mai pensato che in quell’ uomo ci fosse così tanto sangue? Le mie mani non sarebbero mai più tornate pulite. Se solo non avessi dato retta ai miei desideri e se non avessi bramato così intensamente il potere. Io spinsi Macbeth ad uccidere, ma per cosa e per chi? Solo per me stessa! Che egoista sono stata. Stupida ambizione, sciocco potere. Shakespeare inizialmente scrisse un finale diverso per la mia storia. Sarei dovuta essere imprigionata a lungo per poi essere uccisa dal mio stesso marito, ormai anziano. Guardai l’autore del mio personaggio e una lacrima scese sulla mia guancia. Stetti a fissarlo, gli presi la mano e lui mi sorrise. Cancellò tutto e ricominciò daccapo. Avrei dovuto farlo io, avrei fortemente voluto farlo io. Mi pentì per tutto ciò che avevo compiuto, volevo solo smettere di esistere e farlo subito. Essere o non essere? Mi gettai in un fiume e con la testa rivolta verso il cielo, lo guardai. Tutto si fece buio. Le stelle non splendevano più, la civetta cantò un’ultima volta. Era tutto finito. L’incubo era finito. Me ne andai pentita.»
MACBETH
«Morta. La vita non è che un’ombra che cammina. La vita non significa nulla. Non avrei mai pensato di poter pronunciare parole simili. Ma lo credevo davvero. Uccidere diventò per me qualcosa di meccanico come se la mia coscienza si fosse logorata quasi del tutto. Sarebbe dovuta morire prima o poi, non è così? La strage della famiglia di MacDuff la cambiò nel profondo. Duncan fu meno uomo di quella donna e quei bambini? Proprio non la capì. Fu lei a escogitare il piano diabolico che ci avrebbe condotto sul trono di Scozia. Con lei iniziò tutto, la nostra ascesa e… il mio tracollo. Adesso mi è chiaro! Si è uccisa spinta dal senso di colpa che la stava logorando lentamente dentro. È andata esattamente così. Dopo la sua morte mi giunse notizia del ritorno di Malcolm e MacDuff. Tornarono con quasi diecimila uomini. Paura? Nessuna paura! Avevo dimenticato il sapore che aveva la paura. Passato era il tempo in cui mi sarei raggelato per un grido notturno». Mentre continuava a parlare, lo osservai attentamente. Il suo sguardo era vuoto, quasi alienato. Era lì davanti a me eppure sembrava completamente assente. Appoggiai i gomiti sulle mie ginocchia e con le mani mi tenevo la testa. Stetti ancora ad ascoltarlo. «Secondo la profezia, né Malcolm né MacDuff avrebbero potuto sconfiggermi. Io non sarei stato sconfitto finché il bosco di Birnam non fosse avanzato, eppure venni annientato: il bosco avanzò verso di noi e MacDuff mi uccise. Il sole mi aveva stancato. Vieni rovina!»»
LE TRE STREGHE
«Sì, gli abbiamo detto così, o meglio, è stato Shakespeare a suggerirci di farlo. Macbeth non sapeva che MacDuff non fosse nato da donna ma dal ventre di costei. Avrebbe potuto benissimo ucciderlo. Ma non si aspettava neppure che il bosco si sarebbe mosso per davvero grazie all’esercito di Malcolm. Macbeth sarebbe stato sconfitto. Davvero astuto il nostro Shakespeare. Povero Macbeth! Oltre al danno, la beffa».
Tutti avevano parlato. Ognuno aveva detto la propria. Ora toccava a me. Li richiamai tutti nella stanza. Si sedettero attorno al tavolo che magicamente ricomparve. Avevo cercato di ascoltare tutti con assoluta attenzione, senza distrarmi mai. Camminai avanti e indietro per la stanza, cercando di prendere la decisione più giusta. Poi capì e mi fermai. «Ho la risposta alla vostra domanda!» esclamai soddisfatta di me stessa. «Il responsabile di tutte le vostre disavventure è solo uno. Lui è…», ma la sveglia suonò e io riaprì gli occhi. «Shakespeare. La colpa è solo sua!», urlai talmente forte che persino mia sorella si alzò di soprassalto. Quel libro era ancora sul suo comodino. Lo guardai e sorrisi. Non osai pensare a cosa potesse essere accaduto in quella stanza dopo la mia scomparsa. Ma una cosa era certa, quei personaggi si erano sinceramente sfogati con me e le loro coscienze da quel momento sarebbero state un po’ più leggere. Benché nessuno avesse beneficiato della mia risposta, i loro cuori si erano pacificati nella certezza dell’ascolto. E allora il mio, alla fine, l’avevo fatto.
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Bibliografia selezionata:
Macbeth di William Shakespeare, Feltrinelli 2013
Film Macbeth di Justin Kurzel (2015)