Citato in
Segni sulla pietra, 1979, poi in AM,II: 848Passo
I marciapiedi più vecchi e più tipici sono invece fatti di lastroni di pietra dura, pazientemente sgrossata e scalpellata a mano. Il grado dei loro logorìo ne consente una grossolana datazione: le lastre più antiche sono lisce e lucide, lavorate dai passi di generazioni di pedoni, ed hanno assunto l’aspetto e la patina calda delle rocce alpine levigate dal mostruoso attrito dei ghiacciai. […] Dove […] l’attrito è stato minore o nullo, si distingue ancora la ruvidezza originaria della pietra, e spesso i singoli colpi di scalpello: questo si vede bene lungo i muri, per una distanza di un palmo, e particolarmente bene sul lastricato che sta davanti al Palazzo Carignano; il percorso rettilineo tangente all’ingresso principale è eroso normalmente, mentre i recessi della facciata barocca albergano lastre ruvide, perché per più di tre secoli non ci è passato quasi nessuno.
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Nell’Altrui mestiere, la raccolta pubblicata nel 1985 che conteneva gli articoli pubblicati su «La Stampa» a partire dal 1976, Primo Levi dà sfogo al suo caledoscopico talento di scrittore, compiendo invasioni di campo che lo portano a speculare su settori assai diversi dalla memorialistica e dalla chimica, di cui era ormai divenuto campione. Nelle pagine di questa raccolta è all’opera un talento poliedrico interessato alle manifestazioni della cultura in tutte le sue forme: dalla linguistica alla critica letteraria, dalla chimica alla biologia e all’entomologia, dalla geografia alla storia, il vagabondaggio del letterato curioso e chimico ormai in pensione segna una delle tappe di riflessione più interessanti del secondo Novecento. In particolare, possiamo vedere qui all’opera una tendenza archeologica: il tarlo metodologico di Levi sembra portarlo costantemente verso la pratica di scavo nel passato, specialmente in relazione alla sedimentazione delle parole, componendo un’assidua e originale ricerca (e ricomposizione) della loro storia perduta. Quasi come uno storico che interroga i segni lasciati dall’ineffabile flusso degli eventi che dietro di sé non lascia che disunite tracce da interrogare, il chimico-scrittore ragiona su quanto osserva e stende i propri testi offrendo ai suoi lettori i risultati delle sue elucubrazioni e ricostruzioni.
L’articolo da cui proviene l’estratto succitato, Segni sulla pietra, mantiene il suo nome anche dopo la conversione nella raccolta di saggi (a differenza di molti altri testi). Iniziando dapprima con un’attenta disamina della storia torinese che si può osservare sulle superfici pietrose e rocciose che occupano i lati delle strade cittadine, termina infine con la presa in considerazione dell’azione dirimente e deturpante della modernità su quella parte della facciata urbana di Torino che sembra essere lì da tempi immemori. Oggetto di osservazione privilegiato sono proprio i marciapiedi, le cui superfici lastricate che furono posizionate moltissimo tempo fa (in specie agli albori della città in epoca moderna), e resistono tutt’oggi, affiancati dai loro nuovi compagni in asfalto e cemento. «I marciapiedi della mia città (e, non ne dubito, quelli di qualsiasi altra città) sono pieni di sorprese» (Segni sulla pietra, 1979, poi in AM,II: 847), scrive esattamente: sono dunque pieni di segni da inventariare che possono essere fecondamente interrogati, tanto guardando al passato quanto immaginando il futuro. Così come noi oggi possiamo leggere le trame e gli avvicendamenti della Storia che proprio su questa parte del quadro urbano hanno lasciato la loro traccia, anche gli archeologi del futuro potranno infatti ritrovare quanto noi oggi lasciamo distrattamente e imprudentemente dietro di noi in seguito al nostro passaggio. Levi immagina che, nel futuro, tutte le scorie da noi depositate verranno ritrovate, saranno restituite dal sottosuolo e, come fossili, interrogate da appositi studiosi interessati a ricostruire le nostre abitudini, e non da meno tutto quello che fa parte della nostra quotidianità senza che noi ce ne accorgiamo, mentre nelle nostre frenetiche vite scalpicciamo su questi luoghi, lasciando traccia del nostro passaggio.
Una splendida prova di questa pratica è costituita proprio dall’analisi dei marciapiedi più antichi in cui il chimico-scrittore si cimenta nel suo articolo: il lastricato che troviamo davanti a Palazzo Carignano nel centro storico di Torino subito dietro piazza Castello (che fu vitale organo pulsante della vita politica cittadina nell’Ottocento), è un esempio che ben si presta a una lettura di questo tipo. Nell’estratto succitato è descritta la facciata barocca costruita nella seconda metà del Seicento da Guarino Guarini, architetto che ha progettato la costruzione di diversi edifici nel centro del capoluogo.
Qui il lessico descrittivo di Levi diventa estremamente chiaro e preciso: parla dei «recessi», cioè delle rientranze che spezzano la monotonia delle facciate e dei plessi circostanti (caratteristiche dello squadratissimo centro torinese), e con il suo cristallino modo di esprimersi descrive l’usura del lastricato (purtroppo oggi giorno sostituito dai tipici porfidi geometricamente disposti a forme di onde). Al suo tempo, si poteva infatti scorgere una differenza notevole: le lastre su cui fluiva il traffico cittadino erano quelle parallele alla linea della facciata, e non quelle che rientravano verso l’interno dell’edificio; erano dunque le prime a dover sopportare un frequente e continuo attrito dovuto al passaggio di uomini, bestie, carri e, più tardi, automobili. Lo stesso attrito di cui, con grande interesse e acribia di urbanista storico, Levi porta notizia, descrivendone minuziosamente gli effetti nel suo interessante e originale articolo.