Citato in
Idrogeno, SP, I: 876-877Passo
Il fratello di Enrico, misterioso e collerico personaggio di cui Enrico non parlava volentieri, era studente in chimica, e aveva installato un laboratorio in fondo a un cortile, in un curioso vicolo stretto e storto che si diparte da piazza della Crocetta, e spicca nella ossessiva geometria torinese come un organo rudimentale intrappolato nella struttura evoluta di un mammifero. Anche il laboratorio era rudimentale: non nel senso di residuo atavico, bensì in quello di estrema povertà.
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La Crocetta, uno tra i più belli e ricchi quartieri torinesi, situato nel centro a pochi passi dalla stazione di Porta Nuova, era il quartiere di Primo Levi: uno dei ricordi che ritroviamo nelle pagine del Sistema periodico ci riporta al periodo liceale. Nel racconto Idrogeno, in particolare, troviamo una delle più belle, significative e sincere lodi alla chimica, vista qui dagli occhi del giovane Levi che, affascinato e quasi stregato, crede di poter trovare in questo necessario sapere le chiavi per comprendere correttamente il mondo e le regole che governano il flusso della vita.
In Idrogeno è centrale anche la figura di Enrico (al secolo Mario Piacenza), uno dei compagni di studi nei confronti di cui Levi provava grande stima e ammirazione (e che lo accolsero con gioia al suo ritorno da Auschwitz). È una presenza molto importante per il suo periodo adolescenziale: è uno dei suoi grandi amici, tanto importante che è entrato a far parte del racconto in prosa della sua vita, nella quale è stato raffigurato con il personaggio di Enrico.
E, non di meno, del suo mestiere di chimico: profondamente legato alla lezione che l’idrogeno insegna ai due ragazzi, l’omonimo racconto riporta la storia di quando, sedicenne, primo Enrico vollero andare nel laboratorio del fratello di quest’ultimo per sperimentare di prima mano ciò che leggevano sui testi di scuola. Era all’opera ai loro danni, secondo quanto scriverà Levi, la ‘congiura gentiliana’ che li obbligava a preferire le materie che avrebbero rafforzato il loro spirito, a discapito invece di quelle più pratiche (come appunto la chimica). Appena si presenta loro l’occasione di poter saggiare da sé la materia che avevano conosciuto soltanto in via teorica, i due giovani si fiondano di nascosto nel laboratorio del fratello di Enrico e iniziano immediatamente ad armeggiare con qualsiasi cosa trovino a portata di mano. Il loro esperimento dimostra che il giovane Primo era quello più accorto e preparato tra i due: era certo grazie a Enrico che i due giovani inesperti potevano condurre queste piccole (ma tutt’altro che sicure) prove, ma non era sicuramente stata sua l’iniziativa di provare l’esperimento dell’elettrolisi, né l’acribia di dimostrare che i fatti seguivano esattamente la formula scritta solennemente alla lavagna. Primo, invece, si sentiva come un savio cerimoniere, e guidava l’amico alla scoperta dei misteri della materia.
E infatti Primo che, spinto e leggermente infastidito dall’indeciso scetticismo dell’amico che non si fida della lezione spiegatagli, vuole testare l’effettiva essenza dell’elemento: per provare all’amico la sua ragione, avvicina un fiammifero ad un contenitore pieno di idrogeno e innesca una piccola esplosione (al pari, sebbene in scala estremamente ridotta, dei fenomeni astrogonici che avvengono nello spazio cosmico). Nonostante i simbolici frantumi di vetro sul pavimento e la paura retrospettiva generata dall’avvenimento, Primo si sente pervaso da «una certa sciocca fierezza, per aver confermato un’ipotesi, e per aver scatenato una forza della natura» (Idrogeno, SP, I: 877): per aver previsto e sfruttato a proprio vantaggio il comportamento della materia pura.
Questo episodio è particolarmente significativo perché illustra come, sin dalla sua giovinezza, Levi cercasse il confronto pratico con il mondo intorno a sé: la chimica era quel sapere che gli permetteva di conoscerlo, di affrontarlo ad armi pari, magari prevedendone il comportamento e svelandone ogni segreto. Più e più volte Levi ritornerà su questo argomento, rivendicando l’importanza, per la sua formazione, di quel mestiere che lo aveva formato, che aveva svolto per più di trent’anni, a cui aveva dedicato (pur diversamente, dopo la pensione) tutta la sua vita.